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martedì 10 ottobre 2017

All'Ore dei Sogni

Se or più qui insonne io sarò, o Notte, inquieto
sì tanta calma avrò rapita, e spenta
la mia sognante possa che s’avventa
sul cuor mio. E dico: «Sogno! Vade retro!».

Pur tornerò sì al quotidiano metro
per cui la Vita ahi! m’è inumana e lenta,
che torvo e oscuro Fato mi spaventa
più della nascita il germe in un feto;

dond’io mi preparo al fàr di sera,
la qual so che sovvièn per darmi invano
questi Sogni melliflui e questa Luna.

Sì che ivi io non avrò che tetra cera,
le tenebre; e mi prende or pe’ una mano
questa che è in ciel mia estatica culla.

Erik Bodom, Minnensteiner, Romanticismo norvegese, Secolo XIX


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì X del Mese di Ottobre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.


lunedì 9 ottobre 2017

Alla Notte

Quanto or m’è d’astio il silenzio che intorno
qui sovviènmi; e il tramonto che empie cure
mi scaglia!.... Oh Notte! Muòr così il giorno,
il qual suo trono or cede a tue ombre oscure

che a lòr volta di nebbie vèston. Torno
io forse nel tuo ventre, alle tue cune?

Così viènmi il tuo Regno, co’ il tuo corno
che ora la caccia a’ Sogni urla alle alture
dond’io lo sento, e tremo; e sono adorno
di mestizia e d’un sentìr più sventure.

Allòr ogni occhio mi langue; ed è cieco
lo sguardo mio che pur discèrner vuole
tra tue nebbie il fiòr che fauce tua prende.

So che ‘l divora con quel ghigno bieco;
sì che io piango. E rimango senza Sole
ché nemmeno la Luna mi s’accende.

E fu il fiòr della mia quïete; e duole
questo cuòr che nel petto mi s’arrende.




Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì IX del Mese di Ottobre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

domenica 8 ottobre 2017

A una Sera di Ottobre

Non più questa or verrà sera d’Estate
donde gli occhi miei vedranno e ombre e brume;
e or le mietute spighe illagrimate
quelle nebbie sì a pàscer n’andràn che implume

sovr’esse il mio miràr volàr vuòl che Vate
si considera; e d’ansie e or torve e or brune
così il mio cuor si rïempie alle fiate
‘ve al Tramonto ei vedrà del Sol il lume.

Allòr m’immergo in tanta Notte oscura,
la qual si tace del mio respìr mesto;
e in così molta foschìa è il suo fetore.

Pietà di me, oh tu! oh sovvenuta cura!....
E viènmi in sonno un sentìr più funesto
che non so se fia un Sogno. Ma è dolore.  

Carl Spitzweg, Il Cacciatore e la Fanciulla, Tardo-Romanticismo tedesco, seconda Metà del Secolo XIX



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica VIII del Mese di Ottobre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

sabato 7 ottobre 2017

Tu, o Autunno, così a me vieni, e sempre

Tu, o Autunno, così a me vieni, e sempre
osi riportarmi da ogni via
le ricadute foglie che dal ventre
del primo vento cadono; e languìa

pur da tanto l’Estate co’ sue tempre
selvagge, e il Sole suo, e dunque venìa
sì svelto ottobre e sua nebbia. Ma mentre
penso, m’è dolce ‘l scrìver Pöesia.

Infatti m’è d’incanto la vendemmia,
che è un’ultima gioia prima dell’inverno;
e d’incanto, degli occhi oltre i confini

vado. Mi fondo nel Tutto, oh bestemmia!
e sono vento tra fango ed Eterno,
un’impiccata ombra agli aghi dei pini.



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Sabato VII del Mese di Ottobre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.


mercoledì 17 maggio 2017

Domani

Ti ho vista grande e ti ho guardata.
Ho richiuso le palpebre stanche
dalla vita,ma tu eri lì contenta.
Aleggiavi come un angelo:bianche
e corpose le ali di una donna
sull' Aurora lieta lasciavi un guizzo...
E formoso il mondo che abbandona
gli occhi glauchi a te giungeva in brezza.
E già chi soccombeva sotto la terra
nuda era contrito al tuo venire:
avevi forse da piccola lasciato
il tuo amore o ad alcuno guerra?
Gli alti cipressi fra cui di filato
correvi e le impronte linee a gioire
del volto e ai fuochi lontani alludevi
forse al tripudio :suonavano in festa
longeve campane e il capo nascondevi
(come era ingenuo il terrore nella scolaresca)
davanti ai tocchi e lo scocco diafano
del tuo cuore muto:ma pure ogni giorno
ridevi,e cambiavi gioco, e la giostra
distratta e al gorgheggio ritonfo tiravi
l`esca scelta e rimbrottavi un poco
per la mira storta...ed ora guardo il tuo volto
e ciò che vi corre attraverso: il fioco
sfiorarsi di un primo bacio,il raccolto
silenzio in una preghiera o il diverbio
barbassoro  insieme ad un  colto ...
Un giorno,cresciuta com`eri e come sei
 mi tingero` le gote per vederti
ad ogni lezioso travaglio,ridere ancora ...




lunedì 17 aprile 2017

Pasquetta

Tanto mi è amaro il meriggio dell’Angiolo,
e il dì trascorso della festa santa,
e la notturna sera, e i vecchi áttimi
de’ i ripetuti Sogni e della noia,
e il vano disperàr per spenta gioia,
o per lontana requie, oppùr pe’ il sonno
che dopo tanta illusïone viene
a togliere dal giorno la mia spene,
pur non appena il Sol tramonterà.
Ah! sì ch’io piango a che so che alle ripe
dell’Arbogna mia quieta i pescatori
assaporano il vento dell’aprile,
e saltano i monelli per i campi,
e corrono i mastini per i boschi,
e all’onde nel scintillio in specchio al Sole,
cinti i capelli di rose e vïole,
come Ninfe, fanciulle lietamente -
o come belle Sirene del Reno -
sguazzano co’ i velami opachi al seno,
fino a che sera non si mostrerà.
E come pianto, e poi päura, e dubbi
il cuor mio assalgono i Ciel delle pievi,
convinte effigi di ghiaccio e di nevi!
severe impronte di severo Genio,
dove a me ignoti Santi con lo sguardo
gl’indici érgono alle falbe nubi,
e mi rimproverano a che son vinto
da Sogni, e speni, da’ il senso e da istinto,
e mi dìcon che tutto è Vanità.
E in questo Caos primordiale e furente,
quasi impazzito tra infinite scelte,
e ‘ve la Vita ne richiede poche,
allor io fuggo la festa e l’altare,
non voglio abbracci, né abito talare:
m’è conato di vomito pensar
a donna e a baci, e dispiacer m’è poi
non averli, e m’è sprezzo l’èsser prete,
e trista doglia questa eterna sete
d’andar oltre le vane ombre in vêr Dio;
e mi vergogno di vìver, sognare,
d’essere figlio della schiatta d’uomo,
come indeciso, serpeggiante atòmo
che dopo tanti scontri svanirà.
Eppure ho gelosia di quanti colgono
presunta gioia nel meriggio che scorre,
e che accettano il vìver per quel che è,
Vanità eterna! alti superomisti
che bevono l’Eterno presso i talami,
o sugli altari, e rìdon fino a sera
e si accontentano or d’una preghiera.
Ma dinnanzi a Iddio, chi si salverà?....


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Dante Gabriel Rossetti, Arcangelo, Pittura Pre-raffaellita, Tardo Romanticismo inglese, Epoca vittoriana, Seconda Metà del Secolo XIX


In Dì di Lunedì dell’Angelo XVII del Mese di Aprile dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Fede e di Grazia AD MMXVII.


venerdì 10 marzo 2017

La Primavera

Vedo che sorgono,
che si risvegliano
pur dopo gli incubi
del scorso inverno,
a mille, a mille
s'alzano, vengono
le viole mammole;
libere crescono
sotto le pallide
ombre del Sole,
sbocciano, ridono,
splendono in placida
vita che genera
più bianche nuvole,
cieli più limpidi,
la Primavera.
Soffiano, danzano
i freschi petali
nel vento tiepido
che bacia i platani,
frassini e roveri,
lungo le docili
vie delle selve,
come gli Spiriti
che si lamentano
sorti dai loculi
tra balli candidi,
che sono l'Anime
delle più vergini,
come Proserpina
le Villi meste.
Sento che scorrono
i fiori serici
pur fermi e immobili
nel quieto ètere;
e intorno a me
saltano, riddano,
prendermi vogliono,
gettarmi in vortici
di balli apatici
per queste nevi
che ora si sciolgono,
dov'erbe crescono
mute, selvagge.
Vedo le rondini
che ora dall'Africa
festose tornano
anche se il turbine
del mar terribile
molte ha sepolte,
Natura infame;
e qui edificano
i nidi ceruli
sotto le tegole
delle più tacite
cascine, cantano,
vòlan, cinguettano;
e i campi stuzzicano
corvi famelici,
merli che fremono
d'Amore e fregola,
e che moltiplicano
in uova e nido
le inermi vittime
le miserabili
bestie che vivono
d'un ciclo orribile
fatto di Vita,
di spene e Morte
cui qui soggiacciono
i germi e gli esseri,
i vermi e il loculo,
nessun ne fugge.
E se negli attimi
che già ne fuggono
d'un nuovo marzo
scorgo la gioia,
un senso lieto
di quiete e pace,
se i fior che nascono,
quei che germogliano
i rami tremuli
mi sono dolci,
co' uno starnuto
guardo e saluto
i biechi pollini
che mi ricordano
di ogni mio limite,
della mia schiatta,
che nulla è vero,
che è Poesia.
E piango e lagrimo
per l'allergia.



Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Jean-Léon Gérôme, Un Campo di Tulipani, Tardo-Romanticismo francese, Seconda Metà del Secolo XIX