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sabato 24 marzo 2018

Storia di Palme blasfeme

Entràr a Sòlima! Orrendo è il Fato
del Dio adorato!....
Mirate, oh Popoli! è soltanto un uomo,
un sembiante d'atòmo,
e nella sua profonda, empia Natura
è la paura.
Così sogghigna d'in su' il ciel suo tetro
Sàtana co'  un ferètro.
All'erta, Giuda! Ti chiama l'Inferno,
e più non sei tu eterno,
ma ombra di menzognera larva e tuono
per Lui che disse "Io sono!"....
All'erta, stirpe adamìtica e folle,
s'erge furioso un colle!....
Ha trionfato Lucìfero, e il pio Tempio
crolla per Morte e scempio;
e Tu, che avesti in cuòr Colui che ardeva,
negletta se' ombra d'Eva!....
Entràr a Sòlima! e Tu preghi e invochi
una Grazia per pochi:
che Iddio ti tolga il Càlice sì amaro...
oh volèr tuo profano!....
"Che fia?.... È Giove?" si chiede Pilato
con stanco fiato,
e poi si chiude nella sua aspra coorte,
ignorando sua Sorte.
All'erta! All'erta, oh Romano! è Plutone
che parla a gambe prone...
è un grido che desìdera per l'Ade
Quei che il tuo impèrio invade!....
Ahi Oscenità de' i Sogni e Vaticini!....
"Che un muoja è ne' Destini
acché di Roma la legione invitta
contra Iddio non stia ritta"...
così pensa il crudèl, vìl sacerdote
tra l'altre Anime vuote.
Entràr a Sòlima! E qual è il pegno, alfine?
Uno scettro di spine!....
Òdimi, oh sciagurato! Òdi il Demònio!
Va', fuggi... ingrato conio!....
Se' pazzo?.... Ascolta! Non puoi salvàr loro
che sempre ti divoro.
E di timore... e di terròr sì pieno
chièdesi Nicodèmo:
"Giusto sì!.... Ma il Signòr forse non è!", e
al Sinedrio muove il piè.
Entràr a Sòlima! Alfìn è sol follia
del Figlio di Maria,
d'un uom di carne e d'ossa che ricorda
la calca sorda,
i bei tempi remoti quando Pietro
pescava a' un màr di vetro,
e Lazzaro rideva, e Maria e Marta
udìan la sua ombra santa...
e Maddalena coinvolgeva al seno
co' il suo folle veleno,
e di Roma il guerrìer chiedeva aiuto
pe' il servo suo perduto.
"Ritorna indietro, Iddio!.... Infatti io ho detto
- Non tentàr il negletto
Prence di codest'Orbe! -" esclama il Diàvolo
del Tempio sotto un tàvolo.
E Giuda piange... e Giuda implora... e Giuda
lamenta e suda,
ama e sprezza, Lo adora... e Lo allontana,
ma la lotta fia vana...
e piano... piano... e lento s'avvicina
all'orecchia divina;
e dire gli vorrebbe "Non entràr,
Maèstro!" ma a parlàr
sì tosto s'interrompe, e poscia tace
ma nel cuòr non ha pace.
Entràr a Sòlima! Oh sublime istante!
E una folla danzante
osanna il Figlio di Dàvid co' allori....
Sono i Crocifissori!....
"Egò eimì Àlpha kài Omèga: archè kài tèlos*".
Questo è il Volèr del Cielo!

El Greco, Cristo porta la Croce, 1580


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Sabato XXIV del Mese di Marzo dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

* "Io sono l'Alpha e l'Omèga: il Principio e il Fine".

mercoledì 2 novembre 2016

Poesia per una Messa di Requiem

Dormite eterno sonno nella terra,
su cuscìni di rose e di vïòle,
placidamente cullati nel vacuo
abìsso delle nùvole;
il Sole... un Dio.
Una rosa per voi fu crocifissa,
sanguinò su Isräèle le sue chiome;
e Tu, Sìon, prega per sempre, in eterno.
E tu, tu dunque
oh rosa... oh rosa, d'Amore e di Vita,
dona il tuo occhio a noi, quando i nostri pètali
si chiùdono nel vespro delle tènebre,
pietà di noi....
E voi, Tempeste assordanti e furenti,
oh tuoni che gridate le fàuci delle Furie,
naufragi funerei nel cièl della Notte,
singulti d'un ùltimo spiro,
voi, tremendi e crudeli
vaticìni stridenti di ciò che è,
ahi quanto è il fuoco e il tremòr che portate,
ora che sarà l'ùltima e orba sera
della pàllida Luna.
E dovunque le trombe della Vita
miètono le ossa cui il corpo si aggiunge;
e nuovo giorno viene.
Così Natura crolla e si distrugge,
e il volto sarà chiaro della Morte,
e non vi saranno più Notti d'intorno,
né mai sarà päùra.
Ma io che dirò alla rosa quando - io muto -
mi chiederà le volte in cui raccolsi
i suoi pètali, e l'ombre sue e il suo sguardo?
E adesso sarà l'ùltima e orba sera
della pàllida Luna.
Si ricorderà questa rosa? un giorno
del piàngere versato, là, su' un prato
ordìto di deserto, con le fòrbici
che recìsero e cuore, e mani e piedi?
Le sue spine a sè rivolte?
Si ricorderà questa rosa? un giorno
avèr baciato il furto delle aurore,
il ventre di una strega?....
E io piangerò perché son fango e vermi,
con le mani di colpe graffïàte
sulle albe guance, presso un branco
di lupi - io pellegrino! - e tra le greggi;
e piangerò per sempre,
com'è scritto nel Fato;
e adesso sarà l'ùltima e orba sera
della pàllida Luna,
è il Tempo delle làgrime.
Dormite eterno sonno nella terra,
oh fiòr, dormite; dove eterni sono
i vostri pòllini e i vostri singhiozzi,
come un gregge promise al vostro nàscere,
e la rosa fu vìttima dorata
pe' il sonno vostro,
come un gregge promise al vostro nàscere.
E Tu, l'ignoto Altrove, reggerài
l'incògnito tuo Regno! Le tue schiere!
Pietà di noi! Oh santa rosa dei nùvoli!
Pietà di noi!
E il Sole eterno allùmini le vie
tra i monti e le foreste e per le vette
del pellegrinàr nostro,
perché le pietre divèngano quieti
cuscini per il sonno, e i faggi e i rami
ombre fresche e balsàmiche pe' i Sogni,
perché l'Eterno risplenda perpetuo!
E tu, mia rosa,
lìberami dal vespro mio perenne,
dal màr del ciclo di nàscite e morti,
quando il fuoco urlerà contro la terra,
dove resuscitando ella è in tremore,
quando i cieli si muòvono irrequieti
tra l'urlo di tante furiose tempeste,
tra i morbi dei volti di peste invisìbile,
tra vàcue e voraci cadute d'abìssi,
la Morte malvagia che sorge.
Lìberami dal vespro mio perenne;
che io possa coglierti, oh rosa ridente!

Filippo Carcano, Interno del Duomo di Milano, Tardo-Romanticismo italiano, Scapigliatura, 1882

Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì XXXI del Mese di Ottobre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI.

martedì 8 settembre 2015

Dies Irae

Odo tuonàr il Temporale, e il giorno
febbrilmente si oscura; e cos'è il grido?
Baldo corsiero s'avanza, e d'intorno
vedi, cuor mio? che versa sangue? E a un lido
di cenere e ossa e di deserti falbi
perduto ei volge; ed io impietrisco? e in manto
di nero lutto, che ho in petto? e che canto?
E sento i tuoni e scorgo i lampi scialbi;
e chi è quel Mostro che grida furente?
Esci! Esci! Oh mio Orco! dal cuor, dalla mente!
E così sento in me un'empia frattura;
e cos'è Iddio? e cos'è la mia Natura?

Ombre di Spiriti
vanno, e la Notte
svelta qui arriva,
e tremo ai turbini,
le sciolte grotte,
la spenta riva.
Orme di pallide
chiome di Vandali,
grida di bellici,
di cavalieri,
ascolto, e m'agita
il senso l'Anima,
e giaccio tremulo
sui miei sentieri.
E vedo: giungono
i suoi Demòni,
mi scruta Sàtana
con i suoi tuoni!
Oh cuore mio, misero
a che i tuoi palpiti?
Perché tu vuoi tremare?
E che mai dici? 
Trema! Risplende il Giudice
dei ciel, dei nugoli;
e ancora vai a sognare?
Ti maledici!
Sèntilo; e spèzzati!
Urla il Demonio,
ti prende l'alito,
è un matrimonio:
nozze tra due Anime
irremovibili,
tremanti e immobili,
l'una è l'Amore,
le guance pallide,
il ciglio rorido,
gli umori gelidi,
l'altro è il dolore.
Giorno è irascibile,
del suo Giudizio,
e tremo e piango,
e sono misero
morto nel vizio,
prono nel fango.

Senti, oh mio cuore? Non odi che ei assale
le vette antiche? e i ruscelli di fuoco?
Lo sai? Lo sai? E non tremi al Temporale?
Anima nuda che hai vissuto poco!
Perché non tremi? Guarda! Ecco le palme
dei Martiri! E non gridi? Ecco le divine
trombe furiose! Ed è questa la fine?
E chi... e chi salverà le nostre salme?
E mentre par che io stia qui per sognare
una Croce mi pòrtan l'onde e il mare.
Chi sei tu, oh Cavalier? Fai tu la Storia?
Oh mio Signore, pietà! Oh Re di Gloria!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì VIII Settembre AD MMXV

domenica 23 agosto 2015

Oltre il Tramonto

Vuoi andartene anche tu, oh tu, cuor mio?
Va' alle rive del mare, e va' lontano,
dove - non vedi? - che tramonta Iddio?
Ma se rimani, dammi la tua mano!
Non son che un fiore che chiede un po' d'onda,
e che tu stringi a una guancia intristita;
e lo sai? che mi puoi chiamare Vita?
E la Tempesta non è più iraconda!
Vedi il Tramonto sull'onde di nero?
Vieni! e riposa su questo sentiero!
Lo sai tu che io non son che un pàn che muore?
Vita perenne, onde e mare d'Amore


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

In Commento poetico al Sacro Evangelo di San Giovanni 6, 60-69


Domenica XXIII Agosto AD MMXV

sabato 22 agosto 2015

Et Resurrexit

Dove vai, oh tu Maria, con scialbi fiori?
Il volto piange e la tua mano trema,
e al ciel dell'alba ti lamenti; e muori?
La Morte vive! e non è un anatèma!
Vedi? Lontano? è il sepolcro adorato?
Non ha più pietre, e la caverna è vuota;
e tu, Maria, perché, tu resti immota?
Ha vinto il sonno, egli, ha consunto il Fato!
No! No! Non spaventarti! è qui la Vita!
La Sorte cade, e la Morte è smarrita!
Vòltati, e guarda! Non vedi un bagliore?
No, non t'inganni: è il Risorto, è l'Amore!

Or dove andate, uomini dubbiosi?
Guardate! Un uomo è con voi, uno straniero,
vi scorge i volti che son lacrimosi,
e il cielo a sera si fa ancor più nero.
Perché piangete? Oh voi, voi guance vane?
Qual era il Salmo dei vostri Profeti?
E osate, dunque? Voi, oh spettri irrequieti? 
Egli ora ha fame, e spezza e vi dà un pane!
Lo conoscete, vero? Ed esultate,
tramonta il Sole tra nubi dorate!
Oh meraviglia! Costui è qui, è Gesù!
Ma perché fugge? Tace; e non v'è più!

Dove vai, oh tu, fiammella, oh tu, divina?
Non ricordi la via che porta al cuore?....
Oh fiamma, oh fiamma, stridente e turchina,
di' lor che in gioja si muta il dolore! 
Ma chi grida? Chi strilla? Oh giorno oscuro!
Non ascoltate quest'urlo di conio.
Sapete? è un ghigno chè muore il Demonio,
e il fuoco scende, e splende ed è più puro!
Un occhio è cieco, e ancora non s'accorge,
un Uomo dal sepolcro ormai risorge!
Illùminami, oh Santo! nel cuor mio!
Tu, Luce e Vita, tu, Amore, tu, Iddio!

Egli è risorto; sarà questo il canto!
Angeli in coro: Santo! Santo! Santo!


Amen

martedì 23 giugno 2015

Ode dinnanzi alla Sindone

Il duomo è tetro e lugubre,
le volte timide,
nel silenzio dei ceri
giace un lenzuolo,
splende un'orrenda immagine
di sangue e spasimi,
e i lumicini alteri
volgono al suolo.

La Chiesa è cupa e in tenebre,
mesto il Santissimo,
piange di strazio e ardore
l'ostia che vive
nel vitreo tabernacolo
che orrido palpita
d'un insano dolore,
vene sorgive

d'un cuore che si sanguina,
nel pianto orribile
d'una donna che mesta
qui non si scorge,
e le campane tacciono
la nenia funebre,
e grida una Tempesta
che non s'accorge

di quel che i cuori sentono,
di ciò che credono,
i dubbi, e i Sentimenti,
e incauta Fede,
e in essa vanno i turbini,
si scoppia il fulmine
d'un Amor che nei venti
ne muove il piede.

Sono davanti all'arida
seta sindonica
d'un uomo crocifisso
in Palestina,
e ascolto e odo i suoi gemiti,
dolor di Martire,
e l’occhio mio gli è affisso,
guancia divina.

Mi prostro a questi brividi
che si distendono
nel mistero del cuore,
nel mare incauto
dove l’onde s’infuriano
e poi si placano,
nel volto dell’Amore
un suon di flauto,

e gemo al dagherròtipo
del sacro termine,
della Vita che crea,
e che è Infinito,
all’ultimo crepuscolo
d’un figlio d’uomini,
che per la stirpe rea
morì smarrito,

e piango al santo culmine
d’un ineffabile
sacrificio del Cielo,
Morte feroce,
su due travi che alzarono
verso le nuvole
e al di là del lor velo
la santa Croce.

Così vedo i drammatici
aspri e spasmodici
segni dei ferri, e cola
immoto e cupo
il sangue insopportabile
che va a discendere
dalle tempie alla gola
in pasto a un lupo,

i flagelli che gridano
al corpo immobile
d’un uomo che si spoglia
del suo Divino,
le spine che si fremono
e che colpiscono
ogni sua insana doglia,
empio Destino,

le percosse che gemono,
e che impazziscono,
la lancia al suo torace,
il cuor aperto,
gli sputi che si mòrmorano
al viso debole,
agli occhi della Pace,
eterno il serto.

Sei Tu! E andasti al patibolo,
per questi Popoli,
che soffristi l’arcano
del Fato tetro,
che in molti t’umiliarono,
e che t’irrisero,
soffrire disumano,
fràgil qual vetro,

Tu che vincesti l’Erebo,
l’Erinni indocili,
che ergesti gli Evangeli
ai peccatori,
Tu, nato da una Vergine
docile femmina,
Re e Spirito dei Cieli,
nembo d’ardori,

Tu che ne sei il Paràclito
Figlio unigenito,
e che moristi ucciso,
giovane, e nudo,
Tu che governi i nugoli
e all’indicibile
Padre donasti un viso,
nel strazio crudo.

Sei Tu! Signor degli Angeli,
e di quest’eremi,
che il suolo hai battezzato
nel sol tuo fuoco,
e che proteggi i monaci,
e il folle e il misero,
l’impuro, e intemerato
sospiro, e poco

può farti contro il Sàtana,
bieco Lucifero,
e Tu sei qui, il Signore,
Sovrano immenso,
Tu che vai oltre la cabala,
oltre ogni valico,
Tu che sei il Dio, l’Amore;
e guardo e penso:

quanto son miserabile,
e quanto piccolo,
condannato al potere
di questa terra,
al peccato e agli spasimi,
e a queste lagrime,
e a perenne dolère,
e a orrenda guerra.

Ma Tu sei qui; e in quest’attimo
accorri placido
a perdonarmi - e tanto -
e a dar speranze,
Tu che sulla tua Sindone
hai impresso l’iride
d’innamorato pianto
con tue doglianze.

Sia gloria a Te, Re nobile,
stirpe di Davide!
Gloria sia del tuo Tempio
ai Cavalieri!
Gloria ai Savoia, legittimi
sir di tua immagine!
Gloria al tuo strazio, all’empio
raggio dei ceri!

Amen

Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Notte tra Lunedì XXII e Martedì XXIII Giugno AD MMXV



venerdì 12 giugno 2015

La Ballata a un Cavaliere errante

Non so perché, nell'errar, cavaliere,
tu volgi il volto contristato e muto,
silenzioso pe'l bosco e pe'l perduto
colle, e svanisci all'ombra delle sere.

Non hai che un palafreno, e un fulvo manto,
la spada al fianco, una lancia alla schiena,
e il mento tuo s'allunga a un pelo affranto,
la barba bruna e invecchiata; e la vena
sanguina trista alla pupilla amena,
poiché tu sei uno Spirito qui insonne,
scandalo insano d'uomini e di donne,
ed è il tuo sguardo falbo come cere.

Nascostamente ti seguo, io scudiere,
e nel tuo errar ti pizzico il mio liuto.
Ma in questi tuoi occhi non t'ho mai veduto,
mi sei lontano alle foreste altère.

Non so perché, Messèr, sei un pellegrino,
ne perché tu rifiuti ogni tenzone
che l'uom propone e della cacciagione,
né so qual sia l'errante tuo Destino.

Ma ho scorse un dì l'insanguinate mani,
dita di sangue per Furia d'Amore,
e ho visto che il tuo sguardo in fin i cani
intenerisce per lungo dolore;
e tu d'un feudo eri forse il signore,
e or per un monte terribile e arcigno
udendo il sol cantar d'un mesto cigno,
vanamente t'aggiri, e il tuo cammino

lì si lamenta all'ombre d'uno spino,
e canta e lagna un'arcana passione
che più cortese d'un'ansia canzone
ti proferisce un mistero divino.

Non so perché hai sguainato la tua lama,
e di certo la spingi or nella pietra,
e sceso dal destriero e in mezzo all'etra
dell'Alpe, siedi e il Sole di dirama.

Qui t'inginocchi, e a pregare t'accingi,
e la tua lancia cola sangue e umori,
e alle tue mani il tuo pianto ne stringi,
e implori la pietà per tanti errori,
e nei venienti e oscuri tenebrori
siamo soli, or tu ed io e il tuo maëstrale,
muti e lontani, e presso l'Immortale,
e tu ti lagni a una perduta dama.

Non so qual sia nel bosco la tua fama,
né qual arcano il tuo ciglio penètra.
Ma so che adori il suonar di mia cetra,
suon che il tuo cuore segreto ricama.

Non so che a questo monte tu hai pregato
per la campagna che t'allontanava,
per il rivale che ti tormentava,
e per me, tuo scudiere, e pel mio Fato.

Non so che tu ne sanguini perenne,
e che il tuo labbro è un soffiar dell’Eterno,
e che in te, o cavalier, il mondo è indenne,
un rosso fiore d’un nembo superno,
e che sei il fuoco che scioglie l’inverno;
e tu, che vaghi e sempre e senza meta,
per questo, o prode, concedimi pièta,
oh tu errante, oh tu l’intemerato!

Non so che a questo colle tu m’hai amato,
e che dal vespro che qui mi tentava
la tua preghiera certo mi salvava;
e a te, io scudièr, mi sono avvicinato.

Oh me, me sciagurato!
Non ho compreso, o cavalier, tuo cuore,
tu che sei Dio, e che sei l'errante Amore!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì XII Giugno AD MMXV

sabato 4 aprile 2015

Poesia di Preghiera e di Laude - Risurrezione

Per te, Anima mia, che sei l’unico sguardo di cui ebbi paura nel guardarlo, perché il volto di se stessi o d’una stella luccica dei volti degli altri. Ho avuto paura perché ero nudo d’Amore, e mi sono nascosto.

C’era una volta una favola vera,
un racconto tra quelli che ti riempiono
al lègger della fine il cuor di lacrime….
Ricordi tu la brezza d’una fiaba
che per la Notte andava, quando tu
perennemente avevi la paüra,
fauci di tenebre immote e furiose?....
Un tintinnio nel petto, sì, un solletico
breve sussulto d’una gioia inaudita,
e tu ridevi, e tu piangevi, e tu
eri la Stella padrona del Fato.
C’era una volta un Uomo che ti prese
come una madre tra le dolci braccia,
ninna nanna per te, un flebile suono
che coprì le percosse e l’empio sputo,
l’incùdin ferrea degli azzimi chiodi,
alle spalle ti pose, perché tu
non ricevessi nulla di quel Male,
aprì le mani per squarciarti il velo
del Tempio del tuo cuore, culto eterno;
e morì, e ti inondò di Vita immensa….
E tu, tu ne piangevi, sì, perché
era arrivata la fine festosa
della favola letta al vespro occulto,
gaudio indelebile e pio e immacolato.
C’era una volta un Morto; e si svegliò
nel sepolcro d’un sogno che è più vero
del Sole che si brilla, vero come
quello che senti, che provi, che esprimi,
come un «T’amo!» schioccato dalle labbra
d’un bacio che ghermì l’attimo fuggente,
irripetibile… e insognabile,
perfettamente ùnico, stupendo,
giorno senz’alba, una Notte di luce,
la freschezza dei monti all’albeggiare.
Volto a volto, e un timido e bel guardarsi!
Guardati! Sei l’immagine di Lui,
lo specchio del Dio vivente ed eterno,
l’occhio simile al suo, i capelli, il mento,
un giovane per sempre. Guarda! Tu
sei il suo conforto, il ginocchio che piègasi
a baciare il perdono… afferri la Vita!
Non arrossire, ascolta: il suo labbro
vola un mellifluo baciare, un abbraccio,
rondine lieta per i cieli in festa;
e nel tuo sguardo ameno riconosco
nel naufragio dei sensi, somma gioia,
l’impronta ch’è infinita, eternamente,
l’impronta della Vita, in un Ocèäno…
palpita!
Tu grida!
Tu giubila!.... Esulta!....
…. In un Ocèäno… in un Ocèäno, d’Amore!

*****

Va’; e annunzia alle genti che è risorto,
vinse la Morte, i peccati e il Demonio,
Cristo Signore, un fiammeggiar del Cielo.
L’ho visto… l’hai veduto! Nel madore
dei veli nuziäli della grande
Sposa che esulta nel cantico immane,
il suo volto al mio volto, al suo il tuo viso,
il mio sguardo al tuo sguardo, un fiammeggiare
di occhi perpetui che qui si ripetono
nei silenzi dei canti eccelsi e santi,
e siamo fusi in Lui al volo dell’incenso
È Notte! Ho raccontato questa favola
al tuo sonno pesante, al cuore tuo.
Chiudi gli occhi! E n’annunzia ai sogni: «È risorto!».
Domani ti risveglierai e sarai felice:
non più lacrime, non guerra,
tramutata in letizia la doglianza,
trasfigurato in miele ogni soffrire.
No!....
Non è un sogno: è la Potenza dell’Amore!

*****

Gloria a Te, oh Padre, e al Figliuolo e al Santo Spirito,
ora e per sempre, e nei secoli dei secoli.

Amen


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì Santo VI Aprile, Sabato Santo VII Aprile AD MMXV

giovedì 2 aprile 2015

Due Elegie sacre

Elegia romantica e sacra - Il Cantico di Maddalena

Addio, mio Amore perduto in eterno,
volto che geme nell’ultimo ischerno,
guancia che soffre nel sangue che cola;
e ‘l Ciel, no! no’l consòla!

E tu mi scorgi, e piagni, e mi conforti,
in tra l’ombre del vespro e i nembi morti,
tu!... che bevi ‘l silenzio, ‘l labbro muto
del mio core perduto.

Perché - dimmi! - ho mertato ‘l tuo lamento?....
Ve’, non son che urlo, uno spettro nel vento,
un verme che ne soffre le passioni,
de’i sensi le canzoni.

Perché ‘l labbro ne posi come un bacio
dolce e novello alle rocce ‘ve i’ giacio?....
E dovrò sopportare ‘l tuo dolore -
sta iscritto! - oh insano core!

È mellifluo ‘l tuo sangue, e ‘l corpo ameno,
calice eterno. Ah! ti stringa al mio seno!....
Fa’ che i’ ne beva una stilla, le vene,
la coppa dell’Imene!

E tu mi parli, e lagni, e ne proclami
santa una donna, una misera, e la ami…
tu! che al vespro salvasti questa Vita
che vagava smarrita.

Mira! Mi graffio ‘l volto e queste gote
alle tue membra in duolo, ansiose e immote,
e teco e qui d’Amor nel tuo martiro
redenta alfin i’ spiro.

Elegia romantica di Laude - Te Deum

Un Sole si lampeggia all’orizzonte,
astro che lieto si splende a una fonte,
nel tramontar al di là d’ogni mare,
delle Tempeste care;

e Te lodiamo, oh eccelso, oh sommo Iddio,
Signore delle nubi, oh core pio!

Fors’è una nenia dolce, e a un sen materno
un mellifluo cullar che sembra eterno,
la Luna che rischiara l’orba Notte,
l’alveo e le grotte;

e un coro di Portenti in lieto pianto
a Te ne inneggia e Te proclama Santo!

Allor d’un queto volto ‘l ciel si pinge,
alle guance ansimanti un pane intinge,
guardo che soffre e che in tremiti langue
e che ne versa ‘l sangue:

un Uomo che soffrìa per noi e che fu,
d’Iddio l’imago pia, Cristo Gesù.

Non v’è che l’alba, non Notte, non cupo
manto fatale d’un formido lupo,
un perpetuo brillar d’un Lume etesio
pe’un nembo cesio.

Abbi pietade delle nostre pene!....
In Te la Vita, in Te la santa spene!

Amen


Massimiliano Zaino di Lavezzaro


Mercoledì I Aprile AD MMXV

sabato 28 marzo 2015

Una Canzone per il Triduo pasquale - L'Angoscia dell'Ulivo

Ei orava nel Tempio d’un prato,
spasimando a’ nembi superni,
piagneva all’estremo suo Fato
tra ‘l coro degli Angioli eterni,
e al volto tremava impaurito,
singulti di preci interrotte,
i salmi al fatal Infinito;
è sempre più Notte.

Tremava a’ compari dormienti
su’i sassi de’i tremuli ulivi,
solingo pe’i legni soffrenti
nel grido degli ultimi rivi,
e mesto aspettava ‘l Destino,
le scolte del tristo Demòne,
un sandalo a terra ferino,
la cruda Passione.

I tremiti al labbro irrequieto
spezzarono i santi lamenti,
un sorso di fiele e d’aceto
scendeva alla gola, e i tormenti
andavano folli e illusori
d’un Calice tolto e consunto.
Ma andranno i fatali aspersori
sull’Uomo defunto!

Batteva le mani a una pietra
in duolo che dir non si puote,
s’ergeva alla tenebra tetra,
le membra ansimanti ed immote.
Udiva nel petto un tremore,
un palpito alla Furia feroce,
un fior che si squarcia nel core;
è giunta la Croce.

Piagneva al recordo degli ermi,
al Sole del ciel nazareno,
i guardi, le speni, gli infermi,
il frutto d’un vergine seno.
Gridava alla Madre lontana,
al sonno de’i stanchi fratelli,
la spene ansimava sì vana
a’ queti arboscelli.

In lagrime stava a membrare
i queti villaggi redenti,
il lago, ‘l Giordano e del mare
melliflui e terribili i venti.
Membrava la mesta Maria,
dal sasso salvata e dai crudi,
che tolse dall’orrida via,
dal core de’i drudi.

Lagnàvasi a Lazzaro e a’ morti
che alzava dal sonno supremo,
a’ figli da’i morbi risorti,
le bimbe dal tumulo estremo.
Membrava colui che gli disse:
«Signore, ti prego: ch’io veda!»,
gli storpi che un dì benedisse
pe’i quali fia preda.

Nel core un dolor deleterio
temprava sudando nel gelo,
copriva le nenie e ‘l salterio
d’un funebre e lugubre velo.
Lagnava alla Sorte assegnata,
fremeva alle posse del Dio,
co’ voce tremante e ansimata
chiedeva: «Son io?».

Ansante chiamava i compari,
bugiardi ne’i giuri proposti
or quando agli altàr tutelari
il pane ei donava co’i mosti.
Ma questi sen stavano in sonno,
temendo pur essi la Vita;
né lagne spezzare ne ponno
stanchezza infinita.

Tremava all’udir che gemeva
un nembo tra gli astri e la Luna,
che trista la Notte faceva
se istessa più cupa, più bruna,
e a un ramo gli apparve una forma
d’un torvo Demòne irridente,
le fiamme alle gote e in sull’orma,
terribile dente.

Mirava che questi inghiottiva
le terre d’un negro sudario,
che al Spirto nel volo appariva
e al santo e divin reliquario,
che ‘l Tempio struggeva ridendo,
nel foco d’un cupo tremuoto,
al corpo d’un legno tremendo
avvinto ed immoto.

Scorgeva che un Calice aperse
le nubi del cielo notturno,
il sangue le terre n’asperse
dinnante al Demòn taciturno.
Piagnendo accettava la meta,
morire in tra immenso dolore,
del Nume appagare la pièta
per te, peccatore.

Allora ei n’udiva le scolte,
le lagne del misero Inferno,
le spade di tenebra avvolte,
maëstre di doglie e d’ischerno.
Giungeva l’estremo momento,
la Morte schiudeva le grotte.
Veniva ‘l mortal patimento;
e fuvvi la Notte.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Lunedì XXIII Marzo AD MMXV