Vento… è gelido, il vento… il grido del
nembo che fùlmina i spìriti erranti
dell’àëre inumano. E al nuovo dì
singhiozza l’alba, tramontando immane
e qui immediatamente in altra Notte,
dove risplende il ceppo della Luna,
la scure delle tènebre mai vinte.
E il labbro tace del Ciel. Ov’è Iddio?
Vento… è gelido, il vento… il grido del
sangue dei tuoni errabondi e vaganti
che oli e bàlsami effòndono così
perpetuamente - e di Morte - a’ lontane
cime segrete, e nelle loro grotte,
dove l’Ànima muore in ansia cura
di pene e strazi. E l’acque appena attinte
e insanguinate chièdono: «Ov’è Iddio?».
Al suo passaggio una fanciulla chiese
pane, coperta di stracci di lana.
Non aveva che sei anni, e accanto un teschio…
un difforme sembiante di sepolcro,
uno schèletro, una donna… sua madre.
Ed ei ingemmato e inciprïàto e giòvine
lì passando oltre smorzò il pianto e il cuore;
e fu l’ùltima sera.
Fresco fiore di Estate, occhio di donna
la sera… qui, la Luna che mai dice?
Illuminerò le pietre che càdono.
Geme ora una regina.
Calmo… su’, calmo, bimbo mio! È soltanto
Notte. Hai tu udito i tuoni di Tempesta;
e presto tornerà la quiete bella.
Si nasconda, o bimbo mio, a te almèno, che
conteranno i miei finti nei in sul ferro
del patìbolo. Or dormi! Non svegliàrti!
Domàn miràr potresti un Orco orrendo,
scampato alle mie fole per raccòglierti -
come fa un vendemmiante con un tralcio morto
tra le vìpere ghiotte di montagna -
in un bacio di Morte.
E la Gargolla della cattedrale
si incupisce e dibatte le triste ale.
Quante ossa conterai, Sàtana, oh infame,
in questo eterno Sogno mai spiegato
che è nome Libertà?
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
In Dì di Giovedì
XIV Luglio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina
Misericordia AD MMXVI