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martedì 18 agosto 2015

In Ode d'una Rosa e d'un Cigno

Il lago palpita,
dal fresco lido
v’è la montagna.
E tu, e tu, oh càndido,
esci dal nido.
Che è questa lagna?

Cigno dei monti, perché piangi all'acque?
Forse è la rosa che scorgi e che grida,
e che appassisce, come un'altra giacque,
e un fiore della Morte in te s'annida.
Vedi? I suoi steli decadono, e lenti
ondeggiano sul lago; e va il tuo canto
a seguirli, e l’Ignoto asperge il pianto
di lunghi e incerti e intensi patimenti.
Ma non sai che defunti i canti, i tuoi,
i tuoi Destini, ahimè, saranno i suoi?
Non finìr di cantàr! La Sorte vede!
Se un cigno tace, sai tu che succede?

La rosa è l’ultima
del monte estivo.
Cantale un salmo!
Non sai che il petalo
sarà giulivo,
forse più calmo?

Ala di Luna, perché questa danza?
La rosa muore, e tramonta l’estate.
No! Non tacèr! Continua la romanza!
Sii tu del Fato il sempiterno Vate!....
Ma perché il fiore che annega s’avanza?
È il rosso sangue di sere dorate;
e nella Notte che viene s’ammanta.
Anima mesta, perché il cuor ti canta?

La Morte è in spasimo,
tinta di nero.
La senti, oh mesto?
Silenti i gemiti
del cimitero,
Fato funesto!

Rostro di nenie, non odi il silenzio?
È la valle d’intorno che guaïsce,
un labbro muto attoscato d’assenzio.
Vedi la rosa? Un’onda la ferisce,
e nel perenne flutto la trascina,
dove il lago in furòr la seppellisce.
Oh perché, oh cigno, ella non s’incammina
sotto le tue ali, cui l’acqua addestina?

Devi sol gèmere!
Oh falbe penne,
non v’agitate!
La Vita spasima,
volto perenne.
Perché lagnate?

Cigno in singhiozzi, perché piangi il fiore?
Non fu che vano, e vanamente langue.
Ma non era il tuo sogno? era l’Amore
che il tuo cuor lamentava in tanto sangue?
È morto! È morto! e il sognàr è finito,
e non ti resta che un canto d’eterno,
qui prolungato all’autunno e all’inverno;
e se vuoi, muori! E vedrai l’Infinito!
La rosa annega, e tramonta e scompare,
come fa il Sole al termine del mare.
Una speranza d’Amore è sepolta.
Tace il tuo labbro. La Morte! Ecco! Ascolta!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì XVIII Agosto AD MMXV

lunedì 17 agosto 2015

Romanticismo di Montagna. In Ode delle Lagnanze d'un Visionario

Monti di rocce perenni e di Morte,
dov’è una fonte all’ombra d’un castagno?
Oh voi tacete, oh pietre, oh cime insorte
alla mia sete! e perché ancor mi lagno?
Sono io un sogno represso, un visionario;
e stanco, oh vette, intorno peregrìno,
e il cielo e l’orizzonte m’è Destino,
donde rigiro un piangente rosario!
Lo ripeto alle nubi oscure e nere,
singhiozzi sono di vane preghiere!
Ho fame, e ho sete, oh mio Iddio; e m’abbandoni?
Tanto mi prometti; ma mi scagli i tuoni!

Sempre sentieri, e non ho altro d’intorno,
e tu, montagna, non è vero, esulti?
E quando finirà il chiaròr del giorno,
non avrò un pasto, ma angosce e singulti.
Vetta sublime infestata dai lupi,
dimmi, vuoi tu vedèr soffrìr un uomo?
È l’ombra tenue d’un debole atòmo.
La vuoi coprìr con i tuoi alti dirupi?
Mi inghiottirà la nascitura Notte!
Addio, oh foreste, addio, oh ruscelli e grotte!
O forse un covo troverò nel vento?
Folle sognàr d’un vano Sentimento!

Iddio, ti prego: dove sei, oh sublime
volto incognito? E a che mai fuggi via?
Mi restano le rocce, e queste cime,
l’empia catena che ha nòm Poësia.
Ma qui nel bosco scorgo un fungo, e forse
una fonte e il mio pasto, e il desiderio
lento s’avvera; e un canto di saltèrio
nel cuor ha Vita, nel cuor dove accorse.
Pur questi funghi mi dìcon: «Non ceno!»
chè rossi sono d’infame veleno.
È il Mostro della Croce: è morto Iddio?
No, no… abbi fede! Egli vive in cuor mio!

Vetta montana, il vespro s’avvicina;
e ancor ramingo pei valichi io giro.
Scorgo la sera, la fiamma turchina
nel rubìno del Sole che ora ammiro.
Ho paüra! La Notte sopraggiunge,
e i boschi e rivi seppellisce oscura,
e la dormiente e funerea Natura
più che dormire, purtroppo, defunge.
Ora è dei sogni; è ora delle visioni,
di queste mute e perdute canzoni!
Ma, Iddio, l’intendo: una lucerna scialba,
certamente vedrò la nuova tua alba!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Lunedì XVII Agosto AD MMXV

Romanticismo di Montagna. In Ode d'un Sogno del Cuore

Sogno del cuore, che cosa tu brami?
Forse un ritorno alle fresche Alpi e ai monti,
all’ombre mattutine di alti rami,
e nella sera i montani orizzonti.
Oro, ricordi? è il crepuscolo alpestre,
tra le nubi di sangue e l’infinita
eco dei ghiacci ove, Anima smarrita,
tu contemplavi il ciel dalle finestre.
Ma attimi sono d’un dì tramontato;
e ora ti preme e ti resiste il Fato!
Insonne sogno del sonno dell’Io,
è dunque all’Alpe che senti d’Iddio?

Sonni irrequieti, perché spasimate?
Siete più muti del chiostro più nero,
freddi e spettrali, e insicuri tremate.
Non rivivete! Dov’è il cimitero?
Quivi vi attende la negletta bara,
e la Notte vi mostra e l’ossa e i crani,
e non siete che spettri umidi e vani.
Non è vèr che la Vita è tanto amara?
L’Alpe dilegua nel vespro del giorno,
e cosa vi rimane, ahimè, d’intorno?
I campi dei sepolcri e delle lagne,
l’atee e irredente e funeree campagne!

Insonne sonnecchiàr, che mai ricordi?
I fiori alpini e le possenti cime.
Tu eri - sognavi! - sui nordici fiordi,
Wòtan tuonava con urlo sublime.
Eri tu presso una vetta indomata,
gli Angeli e il soffio del Nume vivente,
e passavano l’ore e lente, e lente.
Ma questa sera oramai è tramontata!
Sogno del cuore, che cosa tu pensi?
Forse è meglio annegàr tra i nembi densi!
Eppur alla tua guancia in pianto e falba
verrà il Sole. Ma come sarà l’alba?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Lunedì XVII Agosto AD MMXV 

domenica 16 agosto 2015

Romanticismo di Montagna. Ode al Lamento d'un Contrabbandiere

Hai tu dell’oro, oh bandito irredento?
Senti! Va’ al monte e compra la tua Vita,
sì, lei che un dì hai perduta; e nel vento
ascolta! Suona il ciel d’un’eremita.
Oh piacèr del fugace contrabbando!
I boschi scruti, e hai timòr dei fucili,
ghigni vi sono più oscuri e più vili,
e il tetro sterpo può esserti nefando.
Orsù! Orsù! Bevi il liquòr della Luna,
sfida la Sorte, e la vana Fortuna!
Non senti che il pugnàl preme le spine?
È Notte tarda. Dov’è il tuo confine?

Taci! Nascondi il tuo sigaro. Senti?
V’è un frèmer di lanterne e di mastini.
Se muori, dimmi: cosa emani ai venti?
Sogni d’Amore, e angosce di Destini.
Ma qui i tuoi passi camminano lenti,
e riparo ti sono i neri pini.
Fermati! E pensa! Cos’hai nel tuo cuore?
Torna al paëse, ritorna al tuo Amore!

Zingara alpina la Notte t’avvince,
docile danza coi veli lunari,
e l’Alpe ha un occhio come d’una lince;
e ora sei un’ombra, sottìl più dei mari,
e al seno della roccia ti giaci al sicuro,
e invochi i Santi, quelli tutelari.
Così a un castagno nudo e tristo e impuro
la sera inghiotti, l’Infinito oscuro!

La ronda s’allontana. Non la intendi?
Varca il confine, e compi il tuo mestiere!
Ora tu compri, contratti e poi vendi,
e dei banditi tu sei il cavaliere.
Allor tu puoi tornàr alla tua donna;
ma attento, oh folle, oh tu, alle carabine.
Non sognàr già le guance femminine,
e la temente e spasimante gonna!
Hai comprato la Vita; e vuoi morire?
Scappa! Stai quieto! Ora è meglio fuggire!
E se il tuo cuore tormentando sogna,
sappi: t’aspetta o la forca o la gogna!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Domenica XVI Agosto AD MMXV
 

Romanticismo di Montagna. In Ode d'un Viandante alpestre

L’Alpe è una donna che fugge il Poëta,
lo sai, oh viandante, oh tu, che erri lontano?
Tra le nevi disciolte ella s’allieta;
ma no, non del tuo canto ansio e profano.
Canti alle pietre, e ti lamenti ai falchi,
e nel Nulla dei monti e delle sere
tacciono l’arpe e le fredde preghiere,
e cos’è mai? Ah! Nel ciel senti: oricalchi!
Pellegrina ombra! È venuta la Notte;
e chiedo: «Avrai tu rifugio alle grotte?».
La caccia muore, e l’orizzonte è cupo;
lento, lento cammina! V’è un dirupo.

L’Alpe tra i tuoni annuncia un Temporale,
lo vedi che sei in pasto ai lampi e al vento?
Cupa è la sera di gelida opàle,
e tu lo sai? Forse avrai un patimento,
gelerà il cuore in mezzo al maëstrale,
palpito indarno d’insàn Sentimento.
Viandante, forza, la Sorte disfida,
e non temèr quel che in costei s’annida!

Curvo come ombra di spettro sottile,
fermati e ascolta! È il tuo affanno in respiro,
e nulla più ti par quieto e gentile,
nemmèn la fonte col fresco suo spiro,
né il vecchio pane che addenti dal sacco,
né un vuoto sorso di vino, né il ghiro
che va a dormire, e l’impronta del tacco
ti fa paüra. Non fare il bivacco!

L’Alpe è una Luna, argento capriccioso,
l’hai scorta, allora? E il tuo peregrinare
mai finirà, e nel venìr silenzioso
dell’alba nuova, camminerai, e urlare
forse dovrai supplicando il Destino,
e il viaggio eterno ti vedrà più solo,
come d’inverno a un ramo un usignolo,
e tu, ami ancora questo sasso alpino?
Ami purtroppo! Una pietra che è niente,
un folle sogno, oh sonnecchiàr demente!
Ma per te l’Alpe è davvero una fanciulla.
Meriti forse morìr nel suo Nulla?

L’Alpe è un segreto che tieni nel cuore,
e perché non lo dici all’Infinito?
Il cielo tace, anche il lampo in furore,
dillo, oh viandante! Perché sei smarrito?
La valle intende questo tuo dolore,
e Dio ha orecchi e occhi nel suolo impietrito.
Grida alle stelle e al vespro oscuro e nero
l’Anima tua con il suo almo mistero!

Silenzio oscuro si regna d’intorno,
e stanco e smorto or continui pei monti,
e qui ti fermerà almen l’altro giorno?
Giaci affamato e scruti gli orizzonti,
come se in te qualcosa s’è perduto,
e a stento baci le pietre dei ponti.
Non sai cos’è, e il tuo labbro si fa muto,
e a terra cade e s’infrange il tuo liuto.

L’Alpe è il Destino che ti chiama ai lunghi
sentièr perenni d’un insàn dolère.
Mangerai sassi, discorrerai ai funghi,
vedrai i giorni morìr nell’orbe sere.
Viandante, è il Fato; e tu ancor lo sopporti?
La Vita ti abbandona, e non hai un fiore
sulla bara vivente, e tane e Amore,
vivi fuggendo, e vivi come i morti.
All’alba dice la fresca montagna
niente se non la tua tremula lagna.
Vivesti male, lo dice il tuo volto,
fuoco d’un’ombra nei sogni sepolto!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Sabato XV Agosto AD MMXV

venerdì 14 agosto 2015

Romanticismo di Montagna. La Ricordanza del Villaggio di Olgia

Cuore, ricordi le montagne e i rivi?
È venuto il tramonto, e s’è dispersa
l’ombra dei monti, e i ruscelli e i giulivi
sassi, e la chiesa dalle nubi tersa.
Vedi? Le cime svaniscono, e il Nulla
dei scialbi campi regna le radure,
e tu, tu stesso, in ineffabili cure
a un sogno piangi, e alla sera fanciulla.
Cuore, rimembri il Gridòne, il Titàno?
Tu non lo vedi, ma s’erge lontano!
È ricordanza di una quieta estate,
la folle lagna d’un misero Vate.

Cuore, rammenti i sentieri nei boschi?
Ivi scorgesti le chiese montane
della Svizzera, e i sassi ombrosi e foschi
che un dì il bandito percorreva; e tane
di tetre serpi e di povere prede,
lì, ove ammiravi splendere una Luna
che falba e in pianto vestì la laguna
dell’alte vette d’argento. E la fede,
cuore, ricordi? Diceva d’Iddio,
nell’Infinito che regnava; ed io
in te brindavo col sangue secreto.
Cuore, rimembri? Era gelido il greto.

Cuore, ricorda le selve e le spine,
dove hai sognato le Valchirie, e i lupi,
lì, sul sublime sguardo di ferine
aquile, e là dove udisti i dirupi
di Morte urlàr! E i torrenti alti e alpini,
i vàlichi scoscesi, e i freschi fonti,
rimembra, cuore! i serali orizzonti,
e i sempre oscuri e tàciti Destini!
Cuore, ricordi i fiori che da maggio
crescono quieti vicino al villaggio?
E le more gustate, e i rovi, e il vento,
rimembri, cuore, estatico il momento?

Cuore! Era sera e la Luna splendeva,
illuminava la valle d’intorno.
Pur sapevi che in ciel costei gemeva?
Visse la Notte, ma bramava il giorno!
Una Luna di marmo; e impietosito
muto la contemplavi, ansiosamente,
e cuore! Taci? Non era soffrente
nel ricercàr del Sole suo smarrito?
Eppur rimembri le festose Messe
dinnanzi all’Alpi dal Signor oppresse.
Cuore! Hai perduto questa Luna scialba,
e questi monti. Svegliati! chè è l’alba!

Cuore, rammenti di Olgia, la perduta?
Quando la dominavi in fin dall’alto!
E la tua valle in un campo si muta:
ve’!  la pianura, il grano e il riso e il malto.
Ma lassù, cuore, cos’hai abbandonato?
Cuore, rimembra le placide sere,
la dolce chiesa, i salmi e le preghiere.
Eppur non basta; s’infuria il tuo Fato!
Cuore, a quest’Alpe lasciasti un pensiero,
la fiamma che si spense sopra un cero.
Tu dimenticasti te stesso e il Signore!
Oh cuore, oh tu Alpe, oh singulto d’Amore!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì XIV Agosto AD MMXV

giovedì 13 agosto 2015

Tre Strofe d'un Poeta all'Alpe

Alpe, cos’ha il tuo cuore che si geme?
Quando t’ho vista, ho ascoltato un mistero,
e dico: «Vieni, sciogliti, e qui, e insieme!»,
e sento il ghiaccio, tue nevi… davvero!
M’hai tu stregato col fascino bello,
con il cuore portente e falbo e caro,
e odo non so, un sentimento un po’ amaro,
ma dolce e quieto come un tuo ruscello.
Alpe, no… no, non piangere, oh betulla,
e dimmi il tuo Destino, e poi il tuo Nulla!
Ma sei tremula, tanto nel ciel, cuore!
Alpe! Io gemo perché ti provo Amore!

Alpe, cos’ha il tuo ciglio che sta in pianto?
Vespro dilegua il tramonto, e vien Notte,
e qui sediamo, di fronte… d’accanto,
muto il mio labbro più delle tue grotte.
Una stella cadente! È un desiderio
che ora segretamente mi nascondo,
sì, sì, a me stesso, a te, a un sasso iracondo,
alla lettura del santo saltèrio.
Alpe, no… no, vorrei amarti ma il Fato
tetro e crudele prepara un agguato;
e il tuo pudore e il mio van per sentieri
diversi e oscuri, agli orizzonti neri.

Alpe, non scòrrer!.... Non piangere, sai?
O il tuo dolore finirà sul mio;
ma qui non voglio che tu te ne vai,
altrimenti che resta, se non Dio?....
Alpe, la sento: è una strana canzone,
un tremolìo nel cuore, ed è perenne,
un senso nuovo, un’aquila, orbe penne,
e a te dinnanzi mie membra son prone.
Alpe,  non posso amarti, e ora è finita,
strade diverse, tu e io, e la propria Vita!....
Addio! E si taccia di questo Poëta
che un dì ti ha ambita, oltre un Dio senza pièta!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Mercoledì XII Agosto AD MMXV

 

mercoledì 12 agosto 2015

Strofa d'un Sogno di Montagna

Era un sogno di Notte, o un mar insonne
l'alto orizzonte tra i monti infiniti,
e le montagne, tempestose donne,
urlavano furiose; e questi liti
irridenti e lontani lì ammiravo,
udendo il vento che fu un po' nevoso,
e nell'oscuro del ciel turbinoso
forse la Vita aulente respiravo.
Vennêr le Erinni, e il sognàr mio disparve,
come a una danza di folli e di larve.
La Vita fugge, e resta a un monte; ed io
ancor mi chiedo: «Perché, perché, oh Dio?».


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Mercoledì XII Agosto AD MMXV