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mercoledì 12 agosto 2015

Strofa d'un Sogno di Montagna

Era un sogno di Notte, o un mar insonne
l'alto orizzonte tra i monti infiniti,
e le montagne, tempestose donne,
urlavano furiose; e questi liti
irridenti e lontani lì ammiravo,
udendo il vento che fu un po' nevoso,
e nell'oscuro del ciel turbinoso
forse la Vita aulente respiravo.
Vennêr le Erinni, e il sognàr mio disparve,
come a una danza di folli e di larve.
La Vita fugge, e resta a un monte; ed io
ancor mi chiedo: «Perché, perché, oh Dio?».


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Mercoledì XII Agosto AD MMXV

sabato 30 maggio 2015

Ode alla Malattia del Crepuscolo

Quest’è l’istante, l’attimo
tubercolotico
dei tetri Sentimenti,
dei patimenti,
del Fato inesorabile,
l’ora in cui sangue il cuore
versa al terrore,
la malattia dell’Anima
che geme e s’agita
che non so dove china,
forse a una spina,
cupamente al crepuscolo,
come al tramonto il Sole
muor sulle viole;

è il Tempo d’immutabili
doglie di femmine,
quando Iddio s’è perduto,
lo sconosciuto,
quando la Croce esanime
proclama eterna Morte,
la nostra sorte,
dei singulti che passano
torvi e frenetici,
l’ora dei folli canti,
d’insani pianti
che dall’occhio si cadono,
dall’iride malata
che giace orbata,

come Notte d’immobili
ciechi di tenebre,
nel petto ansioso e aperto
abbiam sofferto,
al labbro muto i farmaci
bevuti e singhiozzati,
i freddi Fati,
quel che si scorre, il vivere,
l’incauto attendere
l’ambita guarigione
d’una passione,
e i Tempi si compiacciono,
e fuggon pei ruscelli
dei tetri avelli.

Allor irremovibili
i bronzi squillano
le lagne dei defunti,
veli trapunti
di nudo ferro e spasimo,
la malattia,
la Poësia
sono tutt’uno, e scorrono,
e s’accompagnano,
e all’orizzonte muore
debol l’Amore,
e noi… e noi, i miserabili
siam loculi viventi
in preda ai venti,

siam gli spettri spasmodici,
gli eterni epìgoni,
i vermi della fede,
caduti al piede
del veleno di Sàtana,
il ventre putrescente
del Ciel vivente,
la tosse ombrosa e tisica
degli aspri gemiti
che in mesto e crudo pianto
al camposanto
curva scioglie la vedova,
del Fato nostro adorna,
furiosa Norna.

È il Tempo degli Spiriti,
occhi deïstici,
morbo della Ragione,
senza canzone,
dove son vani i rapsodi,
i parroci e i profeti,
dove gl’inquieti
Orchi, i Demòni sorgono,
donne seducono,
uomini il sangue a terra
spingono in guerra,
per l’impotente nugolo
che minaccioso gira
in negra spira.

È l’ora delle tremule
febbri malariche,
di stare stesi a letto,
dubbio e sospetto,
come un scialbo cadavere,
i verdetti aspettando
e spasimando
del fuoco incontestabile
truce degli Inferi,
è il momento dei smorti
animi assorti
nei sepolcrali e lugubri
cancelli, le candele,
cero infedele,

l’attimo d’urla e d’orridi
sospiri spastici,
d’esser mangiati inermi
dai nudi germi
delle selve desertiche,
di urlare e di soffrire
all’avvenire,
dove regna l’incognito,
l’inconoscibile,
malattia che si vive
nelle corrive
Furie fatal del Dèmone,
morbo spirituäle
dell’Ideäle,

una vampa che flebile
gemendo spasima,
una ragna sdrucita
d’incauta Vita,
quando nell’ira d’Ecate
strappa del spiro il sajo
all’arcolajo
la Dea, geniàl Proserpina,
Ade salmodico,
quando giova la strega
l’aspra congrega,
la setta dei diabolici
intrugli della scienza,
fioca demenza. 

Malia oscura e anonima,
serpe satanica,
la nostra stirpe cade,
le tombe invade,
e viene tardi il medico,
non ha la medicina,
e si declina,
e i mari delle lapidi
tosto ci inghiottono,
e in nero e tristo dòmino
ci stringe il Diavolo,
in questa sofferenza,
senza coscienza,
siam destinati a un tumulo
di questi urlanti ossami,
secchi fogliami.

Sàtana egli è, è Lucifero
il Distruttore incauto,
lingua di vipera,
voce di flauto….
È giunto il crudo, il Mostro,
spalanca il rostro.
Ma in tanti e folli brividi,
d’intorno giace un farmaco:
a Te, o Croce, mi prostro,
e sono atòmo,
e Ti contemplo, o Dio,
e sono salvo,
e sono domo.
Ed ecco l’Uomo.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Sabato XXX Maggio AD MMXV

venerdì 10 aprile 2015

Ode a un Crepuscolo di Primavera

Nel fresco e mesto zefiro
che intorno spìrasi,
nell’ansia Primavera
che si riprende,
tra’ i blandi incanti e gl’incubi
de’i pruni esanimi,
l’aspide della sera
trista si splende.

Le spire sono lugubri,
la guancia si ulula,
l’alba Luna pasquale
avvolge e stringe,
e ne versa ‘l venefico
umore putrido
del sangue al maëstrale
che ‘l vespro attinge;

e pel fatal crepuscolo
immane un spirito
abbandona di Notte,
sempre più cupo,
tra l’argento de’i nugoli
che si riposano,
e d’in sull’orbe grotte
n’ìstiga ‘l lupo.

Allora i bronzi sònano
pe’i sassi gotici
degli altàr tutelari
donde co’i scettri
d’in su’i crocicchi immobili
le streghe sorgono,
come funerei mari,
demòni e spettri.

Frattanto ‘l cielo in tremiti
giace, e tormèntasi,
coll’impazzito senso
dell’etra oscura
che ovunque e trista làgnasi,
a’ rivi e a’ frassini,
e nel silenzio immenso
della Natura,

e lungi i monti in grandini
perenni e orribili
dalla sera inghiottiti,
avvinti e avvolti
tetramente ne vengono
in men d’un attimo,
e pe’i nembi infiniti
i ghiacci sciolti

tempestosi n’ondeggiano,
sempre invisibili,
e l’ombre della Vita
e delle cime
nel fior notturno fòndonsi,
e qui ne mèndicano
l’insonnia e inqueta e inclìta,
l’ansia sublime.

Così la serpe in tenebre
agli astri spasima,
come un verme d’avello
la Luna eròde,
d’ossa irridenti ‘l cenere,
sudario indocile,
e ispira ‘l folle augello,
a Morte un’ode;

e le ridde si splendono  
crudeli e in brividi
ai sabbath tristi e osceni
del prence terreo,
e le coppe gorgogliano
de’i filtri ignobili,
de’i meschini veleni,
un tino ferreo,

e gli Elementi aleggiano
in Furie barbare,
nebulose di doglie,
Caos sempiterno,
come gràcil fantasimi
che si lamentano
per le sorgenti foglie
d’in sull’Inferno.

Ulula ancora ‘l funebre
manto che tremola
della zanna affamata
del lupo insonne,
pel qual rabbrividiscono
nel letto i pargoli
alla fola narrata
dall’ansie donne;

e ‘l pastorello perfido
a quest’immagine
d’un capro, occhio di sangue,
tosto s’inchina,
e gli offre ‘l fieno e l’etere
côlto da Sàtana,
e l’orizzonte langue
di lampi e brina.

Di Morte tinto un nugolo
s’inebria d’àlighe
che un ruscello ne dona
all’alte sponde
quando l’acque traboccano
e ‘l suol ricoprono,
e ogni lume abbandona
le nubi bionde,

e le campane strillano
sempre più funebri,
un cranio è ‘l Sol che muore,
osso d’un uomo,
gli occhi si decompongono
al volto tisico
d’un terribile core,
d’un negro atòmo,

e la Notte si scalpita,
questo crepuscolo
la Primavera uccide,
e tetro strilla,
e regna solo ‘l Dèmone,
di dubbio incognito,
e l’alba e ‘l giorno irride
e in lazzi trilla.

Oh Poëta, di tenebre
è ‘l Tempo instabile!....
È giunto ‘l vespro, e resta,
più non dispare.
Fu ‘l Sole un sogno affabile,
un sonno docile.
Ma ora vien la Tempesta,
t’annega ‘l mare!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì X Aprile AD MMXV