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mercoledì 16 febbraio 2022

Santa Giuliana. Lied ohne Musik. Romanza senza Musica.

Perché, oh nebbia, devotamente inebri

il mio vïaggio dalla mia finestra

nella campagna muta, un pugno bianco

che desolato si popola di ombre?

Perché nella mattina nuova gli ebbri

tuoi occhi folgoreggiano nella festa

del borgo che si sveglia ancora stanco

come Anime perdute dalle tombe?...

Ma suona il campanile l’alemanna.

Oh Anime, andate e pregate Iddio e il Cielo!

Qui, invece, m’è una tristezza perenne,

un sagittar di angoscia e di dolore..

un naufragio nel verno e nel suo gelo.

Opprimente orizzonte mi tortura,

infatti, e chiamo invan la Vita intera,

invano chiamo Iddio: mi dica tutto,

il vero, il falso. Mi dica quante ore,

quanti giorni.. anni.. mesi mi rimangano.

Però è il Silenzio. Tace la Natura.

Tace la schiera degli alberi in lutto.

Tace il gracchiar del corvo che saltella,

che va sul cornicione della chiesa..

che va a Messa in mia vece, mio vicario..

che vede ancora ogni campo e ogni stella..

che nella presa porta il mio sudario.  

Ed è là, oltre il mantel del corvo nero,

oltre la nebbia, il filar dei cipressi,

il sogghigno finale d’ogni cosa,

irrisoria risata del Signore:

una piccola tomba senza rosa,

la Vita eterna dentro il limitar

del cimitero.

Dipinto di Caspar David Friedrich (1774-1840), Ingresso del Cimitero (Friedhofseingang), Pre-Romanticismo, Romanticismo, Pre-Simbolismo tedesco, 1825 circa. Olio su Tela, Dimensioni 143,0x110,0 cm. Galerie Neue Meister, Dresda (Germania).
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Mercoledì XVI Febbraio AD MMXXII.

martedì 15 febbraio 2022

Nevicata. Lied ohne Musik. Romanza senza Musica

Ho disio della neve.. neve bianca,

di quella che discende a mezzanotte,

come malia di fole per visioni,

di quella algida, eterna, avida.. ombrosa,

che allumina più della Luna stanca,

più di ogni stella calda e luminosa..

allumina le mie vecchie canzoni.

 

Ma questa neve, dov’è? Perché tarda?...

Come potrei serbare intatti i Sogni

se dovesse mancare ancor per molto?...

Questi Sogni non durano per sempre,

per la rëaltà sono terra e sabbia,

cumolo di parole di maliarda,

nomi perenni, ma senza più volto

che invano escono dalle smorte labbia.

 

No! Questi Sogni non debbon passare

la nuova Notte! No!... Non ci sarà

nessuna nevicata! Non verrà

nessun fiocco di neve a conservarvi.

Al sovvenir del Sole, oh Sogni, addio!

Dipinto di Ludvig Munthe (1841-1896), Stadttheater e Alleestrasse nel 1891 (Stadttheater und Alleestraße im Jahre 1891), Tardo-Romanticismo, Realismo, Impressionismo germanico-norvegese, 1891. Olio su Tela, Dimensioni 103,5x80,5 cm. Collezione Privata incerta, non verificata.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Martedì XV Febbraio AD MMXXII.

La Gallinella. Lied ohne Musik. Romanza senza Musica

Pigola la gallinella affamata,

è venuta dall’acqua della roggia

sotto la mia finestra e si è fermata

a zampettare raspando, per questua

di grano.

 

E lì vicino, un giorno, c’era un albero,

che faceva ombra.. una bellissima ombra,

era un nocciuolo; ma è andato lontano,

lo hanno tagliato in un giorno di pioggia;

e io non ho più nocciuole e non ne ha

la gallinella che muore di fame

nell’inverno.

 

Maledetta allergia! Ma non è stato

per questo che hanno tagliato il nocciuolo.

È stata la gelosia di uno sciame

di luccichii di Sole che nel volo

delle rondini ha detto “No! Non fate

ombra!”. Ma ora, senza il suo ramo eterno,

la piccola gallinella sospira

e muore.

 

Prendi.. prendi un po’ di pane, finché

c’è tempo! Vivi! Rivivi! Sorridi!...

È solo un po’ di pane nel chiarore

di questa poca neve che respira.

Io ti lascerò alla tua amata Vita,

tu mi lascerai ai miei vecchi ricordi!

Dipinto di Vasily Grigorevich Perov (1833-1882), L'ultima Taverna presso il Cancello della Città (Последний кабак у заставы), Tardo-Romanticismo, Realismo, Accademismo russo, 1868. Olio su Tela, Dimensioni 51,1x65,8 cm. Tretyakov Gallery, Mosca (Federazione Russa).
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Martedì XV Febbraio AD MMXXII.

giovedì 12 febbraio 2015

Le Cavatine e le Romanze poetiche d'un novel Poeta romantico

Una Nostalgia notturna

Alla Notte de’i sogni - un stel di viola -
e a un nembo che si splende un carme s’erge,
e d’angoscia si pasce un’ansia gola,
l’arpa che i’ sòno, e che in cielo s’immerge,
or sicchè in lamentanza - e a un pio madore
d’un astro - mi si scioglie ‘l freddo core,

e a vocar qui m’accingo un mese antico,
allora che in sul maggio i’ mi beäva
del vivere seren d’un bosco aprìco,
e l’alma co’ un sospiro ancor sognava;
e tu, che in tra’i ruscel perduto fiore,
tuttora mi sovvieni, astro d’Amore.

Così alle fosche brume or qui spaziando,
un Destin ne riveggo, e al ciel del verno
mesto i’ assaporo ‘l venefico e blando
che si tramonta ‘l sogno, e ‘l guato ischerno:
l’illusione d’un folle, e ‘l truce umore
dell’orribile fiele, e del dolore.

Una Lanterna nella Nebbia

In tra le falbe brume un lumicino
pella selva che muor si splende arcano,
ivi, in tra’i pioppi e un notturno carpino,
e in sull’ombra d’un monte disumano;
e al bronzo che ne sòna l’atra Notte
spiriti ignoti si destano a frotte.

Allor n’è forse quivi ‘l pescatore
che ‘l ruscel n’abbandona - in mano ‘l foco -
o ‘l vindice e funereo cacciatore
che la vittima porta al lurco còco.
Ma la fiamma si giace in queste motte
gelida e immota qual pietra di grotte.

Ahi lasso! Una lanterna or pende a un ramo,
e al scialbo maëstral, d’un impiccato
un spettro si confonde, e va al richiamo
della fauce che ‘l brama, ‘l torvo Fato;
e l’alma vêr l’Inferno or l’ansie rotte
nel vento ne dileggia, indarne lotte.

La Foresta del Tormento

I volti delle querce in cieca sera
co’ lor zanne digrignano, e in lamenti
una Furia s’aggira, orrenda e altèra,
lo spirito che soffia - i freddi venti! -
e i palmi delle farnie e un tronco nero
nel vortice si treman d’un sparviero.

Alfin nel mesto verno l’orbe foglie
i palpiti ne son del salce ignudo,
a terra, in tra le siepi oscure e spoglie,
occhi d’un spettro, d’un Dèmone crudo,
e le braccia de’i faggi in su’un sentiero
quest’aëre ghermiscono atro e fiero.

Ma in terrore si dorme ‘l folle bosco,
urlo dai rami di strige fatale,
e la Morte ne regna, e al cielo fosco
la nottola s’invola e schiude l’ale;
e ‘l frassino e l’ontàno e ‘l pesco e ‘l pero
croci ne sono di reo cimitero.

La Luna dell’Inquietudine

La Luna si lamenta, e in pien febbrajo
l’atre nubi ne pinge in alme spente,
e l’inquieto mador del tristo rajo
alle selve si scende, e all’alba assente;
e i’ tremando mi giacio, e in Notte oscura
e orribile i’ contemplo la Natura,

e nel cielo notturno - insano un lajo! -
l’àltere stelle si splendono lente,
e quasi a quest’argento insano i’ abbajo,
e un timore ne intendo in folle mente,
e la lunare forma indarna e impura
pelle vene m’irrora or sol paüra.

Oh Luna silenziosa! Oh foco gajo!
Quanto s’infiamma pell’etere un ente
che dal cor ti diparte - or d’ansie un pajo -
e che tosto m’abbraccia febbrilmente!....
Inquietudine insana, infame cura,
e l’orbe ne divora, in fin l’altura.

Un Canto notturno nel Bosco

Negro si grida, e sen sale alle vette
un canto che nel bosco inneggia a’ morti,
e pell’aride tombe e maledette
le lagnanze si salgono, e agli assorti
carpin e a’ pioppi e a’ noci e a’ tigli infami
un’ombra di sepolcro or sta in su’i rami.

Torve si lagnan le bieche civette,
e gli spettri ne vanno omai risorti,
e ‘l funebre lagnar l’urne neglette
di folgori ne cinge - i lampi or forti -
e ‘l Dimonio risponde a’ tai richiami,
e giungono le streghe in truci sciami;

e i’ che in sogno ‘l contemplo e in posse inette
melanconicamente a’ pini insorti,
in spasimo ne tremo, e non si mette
nel cor la pace antica e i sensi accorti.
Canto notturno di lugubri dami,
or perché tu mi vuoi, perché mi chiami?

La Romanza d’una Notte romantica e d’un Poëta shakespeariano

La Luna in tra le fronde e un nembo inquieto
i veroni ne cinge e i mesti ardori,
e pallida si sta - un cranio d’Amleto -
nel manto della Notte e pe’ dolori.

Nel bosco un’osteria ne offre una celia,
e l’aspide d’un vespro di Cleopatra
nel ruscello si striscia e in su’ d’Ophelia
e al morir d’una tomba ansante ed atra;

e così nel crepuscolo m’allieto
degli Elfi e delle Ninfe a’ dolci fiori.
Ma meco ne trascino in fino al greto
gli spasmi veronesi, e i tetri Amori.

Il Bàratro di Montagna

La roccia si precipita, e un ruscello
tremolando zampilla, e a valle cade,
e ‘l monte ne dischiude d’un avello
un bàratro infernal, la via dell’Ade.

Allor frangendo al suol l’occhio mi scende,
e quasi dipartito, i’ ho l’alma a terra,
e di paüra ‘l volto or mi si splende
nell’orrida Tempesta in nivea guerra;

e così affaticando i’ riedo al vello
dell’erba d’una cima, alpestre biade.
Udito i’ n’ebbi forse ‘l fier augello
della Sorte che ancor e qui m’invade!

La Partenza dell’Eroe

In languida e guerresca e cupa assisa
un galantuom precò in vêr la sua sposa,
e soffrente partiva a’ guerra invisa,
al petto ristringendo un’alba rosa;

e ‘l silenzio regnava, e ‘l labbro muto
lieve e timidamente un bacio offriva
al sòn del battagliero e tristo liuto
che le reclute e i prodi ormai assaliva.

Strette le mani di spene sì uccisa,
un’occhiata n’andava, e silenziosa
la partenza inghiottìa co’ fiere risa
una vedova in lagne, or tempestosa.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Giovedì XII Febbraio AD MMXV