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giovedì 12 febbraio 2015

Le Cavatine e le Romanze poetiche d'un novel Poeta romantico

Una Nostalgia notturna

Alla Notte de’i sogni - un stel di viola -
e a un nembo che si splende un carme s’erge,
e d’angoscia si pasce un’ansia gola,
l’arpa che i’ sòno, e che in cielo s’immerge,
or sicchè in lamentanza - e a un pio madore
d’un astro - mi si scioglie ‘l freddo core,

e a vocar qui m’accingo un mese antico,
allora che in sul maggio i’ mi beäva
del vivere seren d’un bosco aprìco,
e l’alma co’ un sospiro ancor sognava;
e tu, che in tra’i ruscel perduto fiore,
tuttora mi sovvieni, astro d’Amore.

Così alle fosche brume or qui spaziando,
un Destin ne riveggo, e al ciel del verno
mesto i’ assaporo ‘l venefico e blando
che si tramonta ‘l sogno, e ‘l guato ischerno:
l’illusione d’un folle, e ‘l truce umore
dell’orribile fiele, e del dolore.

Una Lanterna nella Nebbia

In tra le falbe brume un lumicino
pella selva che muor si splende arcano,
ivi, in tra’i pioppi e un notturno carpino,
e in sull’ombra d’un monte disumano;
e al bronzo che ne sòna l’atra Notte
spiriti ignoti si destano a frotte.

Allor n’è forse quivi ‘l pescatore
che ‘l ruscel n’abbandona - in mano ‘l foco -
o ‘l vindice e funereo cacciatore
che la vittima porta al lurco còco.
Ma la fiamma si giace in queste motte
gelida e immota qual pietra di grotte.

Ahi lasso! Una lanterna or pende a un ramo,
e al scialbo maëstral, d’un impiccato
un spettro si confonde, e va al richiamo
della fauce che ‘l brama, ‘l torvo Fato;
e l’alma vêr l’Inferno or l’ansie rotte
nel vento ne dileggia, indarne lotte.

La Foresta del Tormento

I volti delle querce in cieca sera
co’ lor zanne digrignano, e in lamenti
una Furia s’aggira, orrenda e altèra,
lo spirito che soffia - i freddi venti! -
e i palmi delle farnie e un tronco nero
nel vortice si treman d’un sparviero.

Alfin nel mesto verno l’orbe foglie
i palpiti ne son del salce ignudo,
a terra, in tra le siepi oscure e spoglie,
occhi d’un spettro, d’un Dèmone crudo,
e le braccia de’i faggi in su’un sentiero
quest’aëre ghermiscono atro e fiero.

Ma in terrore si dorme ‘l folle bosco,
urlo dai rami di strige fatale,
e la Morte ne regna, e al cielo fosco
la nottola s’invola e schiude l’ale;
e ‘l frassino e l’ontàno e ‘l pesco e ‘l pero
croci ne sono di reo cimitero.

La Luna dell’Inquietudine

La Luna si lamenta, e in pien febbrajo
l’atre nubi ne pinge in alme spente,
e l’inquieto mador del tristo rajo
alle selve si scende, e all’alba assente;
e i’ tremando mi giacio, e in Notte oscura
e orribile i’ contemplo la Natura,

e nel cielo notturno - insano un lajo! -
l’àltere stelle si splendono lente,
e quasi a quest’argento insano i’ abbajo,
e un timore ne intendo in folle mente,
e la lunare forma indarna e impura
pelle vene m’irrora or sol paüra.

Oh Luna silenziosa! Oh foco gajo!
Quanto s’infiamma pell’etere un ente
che dal cor ti diparte - or d’ansie un pajo -
e che tosto m’abbraccia febbrilmente!....
Inquietudine insana, infame cura,
e l’orbe ne divora, in fin l’altura.

Un Canto notturno nel Bosco

Negro si grida, e sen sale alle vette
un canto che nel bosco inneggia a’ morti,
e pell’aride tombe e maledette
le lagnanze si salgono, e agli assorti
carpin e a’ pioppi e a’ noci e a’ tigli infami
un’ombra di sepolcro or sta in su’i rami.

Torve si lagnan le bieche civette,
e gli spettri ne vanno omai risorti,
e ‘l funebre lagnar l’urne neglette
di folgori ne cinge - i lampi or forti -
e ‘l Dimonio risponde a’ tai richiami,
e giungono le streghe in truci sciami;

e i’ che in sogno ‘l contemplo e in posse inette
melanconicamente a’ pini insorti,
in spasimo ne tremo, e non si mette
nel cor la pace antica e i sensi accorti.
Canto notturno di lugubri dami,
or perché tu mi vuoi, perché mi chiami?

La Romanza d’una Notte romantica e d’un Poëta shakespeariano

La Luna in tra le fronde e un nembo inquieto
i veroni ne cinge e i mesti ardori,
e pallida si sta - un cranio d’Amleto -
nel manto della Notte e pe’ dolori.

Nel bosco un’osteria ne offre una celia,
e l’aspide d’un vespro di Cleopatra
nel ruscello si striscia e in su’ d’Ophelia
e al morir d’una tomba ansante ed atra;

e così nel crepuscolo m’allieto
degli Elfi e delle Ninfe a’ dolci fiori.
Ma meco ne trascino in fino al greto
gli spasmi veronesi, e i tetri Amori.

Il Bàratro di Montagna

La roccia si precipita, e un ruscello
tremolando zampilla, e a valle cade,
e ‘l monte ne dischiude d’un avello
un bàratro infernal, la via dell’Ade.

Allor frangendo al suol l’occhio mi scende,
e quasi dipartito, i’ ho l’alma a terra,
e di paüra ‘l volto or mi si splende
nell’orrida Tempesta in nivea guerra;

e così affaticando i’ riedo al vello
dell’erba d’una cima, alpestre biade.
Udito i’ n’ebbi forse ‘l fier augello
della Sorte che ancor e qui m’invade!

La Partenza dell’Eroe

In languida e guerresca e cupa assisa
un galantuom precò in vêr la sua sposa,
e soffrente partiva a’ guerra invisa,
al petto ristringendo un’alba rosa;

e ‘l silenzio regnava, e ‘l labbro muto
lieve e timidamente un bacio offriva
al sòn del battagliero e tristo liuto
che le reclute e i prodi ormai assaliva.

Strette le mani di spene sì uccisa,
un’occhiata n’andava, e silenziosa
la partenza inghiottìa co’ fiere risa
una vedova in lagne, or tempestosa.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Giovedì XII Febbraio AD MMXV