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venerdì 14 agosto 2015

Risveglio dinnanzi all'Orizzonte alpino

Mi desto, e le Alpi scruto,
là, dove l'orizzonte mi era caro,
e lì c'è un monte che un giorno ho perduto,
e il sogno fugge, amaro
gemere del mio liuto,
muggire d'un bovaro,
e non mi importa se ora il cielo è chiaro,
se questo estivo Sole
più limpido si avanza, e se l'alpino
Mostro di rocce è più sublime. Duole
il mio cuore, il mio meschino
sentiero sulle viole,
ricordo: i boschi e il pino;
e sempre tremo, e chiedo: «È il mio Destino?»,
e nulla mi risponde,
e il Tempo batte i fuggevoli istanti
del mio cuore, e un pensiero va per l'onde
dei ruscelli incostanti,
dell'alte paglie bionde,
dei ghiacci d'adamanti;
e che mi resta se non questi pianti?
E così l'Alpe antica
è stata come una fanciulla ignota
che in città è una passante, e poi s'intrica
tra l'ombre, gente immota,
per ogni strada aprìca,
e scompare, e si svuota,
e lì più non si nota;
e tanto m'è terribilmente oscura
questa Vita tra i campi e la pianura.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì XIV Agosto AD MMXV

giovedì 11 dicembre 2014

La Ballata d'un Viandante vagante nell'Inquietudine (Parte V)

Parte V - Le Gesta del Viandante: La Partenza

Avendo ben ascoltato e inteso codeste suppliche novelle che, tra l’altro gli davano l’opportunità di stornar ancor di poco l’inchiesta principale e per questo di non discorrere immantinente delle sue sventure d’Amore, il giovine viandante si palesò alquanto disposto ad accontentare i suoi imprudenti avventori e, sorseggiato appena un altro bicchiere, si cinse a narrare le sue gesta di cappa e spada. Questi, del resto, erano que’ tempi in cui bastava accennar qualcosa degli Osmani oppure dei selvaggi Tatari per attirare l’attenzione di tutti gli uomini e di tutte le donne, sia nelle corti, sia nei poveri e miserabili villaggi. Ma non si pensi affatto che il nostro giovinotto l’abbia fatto per così dire apposta, semplicemente per parlar d’altro; anzi, giunto a questo punto, il nostro lettore deve sapere che quello che egli s’accingeva a narrare era assolutamente veritiero e che, in prova di questo, son tuttora molte l’istorie a noi pervenute che dipingono i medesmi affreschi. Purtuttavia, per dovere di originalità e per dar un risalto maggiore alle vicende sentimentali, s’è deciso essere meglio sorvolare su alcune parti di queste avventure e di proporre soltanto ciò che puote divenir interessante anche agli occhi d’un contemporaneo.
In ogni caso si lascino perdere codeste avvertenze e si continui la narrazione dei fatti, pe’ quali il viandante andava sempre e sempiternamente fiero. Questi, infatti, dinnanzi all’infame e curiosa plebaglia, iniziò a narrare di come fosse stato scelto a capitaneggiar la scolta d’un opulente mercatante vinegiano, e come di un giorno di primavera, si fosse trovato co’ un drappello in vista dell’istessa Vinegia; e così placidamente narrava:

«D’in su’ un calle vedemmo ‘l mare e ‘l lido,
e le torri e i canal, e i moli ondosi,
e intorno si spargeva un fresco grido
de’i scogli inumiditi e de’i marosi.

Le torri di lontan stavano, e informe
un muro di riparo or si scorgeva,
e dell’aspre balestre s’ersêr l’orme
d’un guerrier che d’intorno difendeva;
e nel mare del cielo or s’immergeva
di lume e di mattin e lieto e carco
l’eterno campanile di San Marco
che in sotto ne facea i mercati ombrosi.

Così discendevamo, e un rivo infìdo
varcammo e i boschi antichi e rei e frondosi,
e intorno si spargeva un fresco grido
de’i scogli inumiditi e de’i marosi.

Più propinqui eravamo e più le porte
si scernevano altère e i merli in ronda,
e le pietre marine eran assorte
nel murmure soäve d’ogni ansia onda.

Fu allor che ne mostrai i suggelli e i bolli
a lor che ci fermâr, le sentinelle,
e poscia un sol istante co’ rampolli
libero n’ebbi ‘l varco a’ caravelle,
e messer passeggianti oppur in selle
vêr le piazze n’andâr e vêr i ponti,
ed eran mercatanti, e paggi e conti,
la possanza e ‘l fulgor di questa sponda.

In ansia aspettavam la nostra Sorte,
e d’arme n’avevamo - e in fin la fionda! -
e le pietre marine eran assorte
nel murmure soäve d’ogni ansia onda»;

e allegro ne narrava, or quando d’uno
de’i fradici avventor gli chiese: «E dite -
perdonatemi, oh giovin - ma ciascuno
saper ne vuole e tosto or verba ardite….

Deh, come e quante son le Vinegiane
che in sul mare si stanno? E belle, almeno?»,
e ‘l prode n’accettò di dir le vane
beltà che ne scorgeva in un baleno:
«Molte son, e le folli - ignudo ‘l seno -
cinguettano gemmate or come augei,
e carchi di diamanti i lor capei
ondeggiano beäti al vento mite;

e le madame a un neo e corvino e bruno
discorrono felici di lor Vite.
Ben perdono, oh avventor, se qui ciascuno
saper ne vuole e tosto or verba ardite;

e se gradite ancor, l’ignuditade
d’argento si splendea di cortigiana.
Ma d’altro ho da narrar in libertade
pria che di bella dama e vinegiana,

chè non per donne e ardor n’avea un drappello,
anzi, per ricercar un tal Gualtiero,
e questi ci attendeva in su’ un vascello -
un mercatante ricco e veglio e fiero;
e al bel lido andavamo e in su’ un sentiero
di merce che giaceva or camminammo,
e scorgemmo un Giudeo che in fin al grammo
i danàr valutò con pesa arcana,

e a’ fresche e marine e pie contrade
sempre più lambivamo e l’onda insana.
Sì! D’altro ho da narrar in libertade
pria che di bella dama e vinegiana».  

Così ne narrava il misero viandante, e i bevitori, e i giuocatori e l’oste e l’ostessa allegramente l’ascoltavano, e tanto parve loro interessante ciò che udivano che alfine smisero perfin d’interrogare e di profferir accenti di stupore e di meraviglia. Frattanto il rimembrar del giovine aveva come una voce, un non so che e di melliflua dolcezza e di nobile e maestosa baldanza; e i suoi detti paravano allora simili a quei che nei tempi che correvano si potevano ammirare nelle corti, allorquando il prode rampollo, tornato dalle guerresche imprese, si metteva a raccontare gli eroi, i perigli scampati, i certami e le ricchezze dei vinti e dei vincitori. Forse, del resto, in queste ricordanze il viandante si sentiva ormai pressappoco a suo agio e non aveva più in core quegli stati di ansia e di preoccupazione che precedentemente si manifestarono; anzi, al domandar delle Venigiane, pria di rispondere così come s’è riportato, aveva perfino accennato a un sorriso, benché arrossisse lievemente alle gote. E ora, sempre più mite e più rilassato, narrava di come poscia aver percorsi alcune vie e alcuni sentieri il mercatante Gualtiero fosse stato trovato presso il suo vascello e tra l’altre cose, propriamente nell’istante in cui ei osservava con attenzione i mozzi che mettevano al riparo le merci nella stiva; e per quel poco che si fosse potuto vedere, forse c’era ben di tutto, dall’arme alle polveri, dalle vesti alle stoffe, dai vini a’ liquori. Per questo il giovine raccontava:

«Allor Gualtier ci vide e in tra le merci
d’incontro ci venìa, e in sur d’un cappello
in tinte scintillavan freschi e guerci
i piumaggi festosi d’un augello;

e l’arme ne mirava e l’alabarde
e mi chiese s’io fossi ‘l capitano,
e io ‘l consentiva, e le truppe gagliarde
fieramente mostrai co’ destra mano,
e ‘l mio sembrò dassen drappel romano
‘ve i guerrieri di gloria or stavan lurchi
e n’attendevan pugne contra i Turchi,
ed ei ormai c’invitò gaudiosi a berci.

Frattanto i mozzi e i servi e sozzi e lerci
ponevano i valor in sul battello;
in tinte scintillavan freschi e guerci
i piumaggi festosi d’un augello.

Così - aspettando in ansia - un idromele
che ‘l mercatante offriva ne bevemmo,
ed esso n’addolciva or pure ‘l fiele
dell’ardire sul qual fieri sedemmo.

Il vascello pareva un galeöne,
e intorno e in guardia stavan le trireme,
e ‘l vessìl lampeggiava del Leöne
che tanto i Turchi empiva d’ansie teme,
e d’opulenza v’era or molta speme,
e a remigar se n’ebbe in Tatarìa[1] -
‘ve un Can[2] dell’oro ameno ancor s’indìa -
e giuri al mercatante e onor ne demmo.

D’un tratto si spiegâr le scialbe vele
e bere ancor un sorso ne volemmo;
e ‘l liquor n’addolciva or pure ‘l fiele
dell’ardire sul qual fieri sedemmo.

Alfin ne giunse l’ora, e in cheta flemma
co’ Gualtier sul vascello n’andavamo,
e carica la stiva e d’oro e gemma
da quel mattin e innanzi salvavamo;

e immantinente in guardia al ligneo ponte
salimmo, e in sull’onde i molli rai
del Sole io contemplava e l’orizzonte
che lieto si sorgea d’in sul Catai[3],
né io né questi compar facemmo lai
chè ben lieti stavamo - ‘l so dassenno -
e poscia un sol e mesto e picciol cenno,
tolta l’àncora all’onda, or salpavamo.

Né meno ci venìa lo stratagemma,
e ben pugnare in arme sapevamo,
sicché carca la stiva e d’oro e gemma
da quel mattin e innanzi salvavamo.

Gualtiero ne tracciò una rotta, e a’ greci
lidi dapprima ‘l vascello si volse,
e vista di Vinegia ancor ne feci
finché poscia mezz’ora ‘l mar mel tolse.

Mi rimembro che l’onda or n’era calma
e che i lidi si scorsêr dolci e lieti,
del sicomòro la candida palma
e del Padàn[4] altèro i freschi greti,
e noi salutavamo i calli or cheti
e ben oltre ‘l commercio c’era certo
il bottìn che serbava ‘l mar aperto
chè ormai la terraferma si dissolse;

e già si cucinavan tondi ceci
che un servo dalla stiva or ne raccolse;
e vista di Vinegia ancor ne feci
finché poscia mezz’ora ‘l mar mel tolse.

Sibben in patrio mare, or niun naviglio
a guerra in contra ‘l nostro si moveva.
Ma n’aspettate un poco: oh qual periglio
nell’Ellade che muore or ci attendeva!»;

e gli avventor attenti n’ascoltavano,
ed eran gaudi di codeste istorie,
e a tacer e a sentir ben seguitavano,
udir sperando tanto di vittorie,
e del liquor in fin le spire ustorie
si mancavano al detto or del viandante
che seguitò a narrar del mercatante
e dell’insidia insana che fremeva,

e a ognun attento n’era in fino ‘l ciglio
e di ciascun l’orecchio or n’intendeva:
«Ma n’aspettiamo, è certo: oh qual periglio
nell’Ellade che muore or v’attendeva!».




[1]  Nome di un vesto territorio, spesso confuso con l’Orda d’Oro. Qui, per Tatarìa, si intende principalmente il khanato di Crimea.
[2]  Cioè, il Khan.
[3]  Nome arcaico con cui si identificava la Cina, e in generale, l’Estremo Oriente.
[4]  Il Padano è il fiume Po’.