Parte V - Le Gesta del Viandante: La Partenza
Avendo
ben ascoltato e inteso codeste suppliche novelle che, tra l’altro gli davano
l’opportunità di stornar ancor di poco l’inchiesta principale e per questo di
non discorrere immantinente delle sue sventure d’Amore, il giovine viandante si
palesò alquanto disposto ad accontentare i suoi imprudenti avventori e,
sorseggiato appena un altro bicchiere, si cinse a narrare le sue gesta di cappa
e spada. Questi, del resto, erano que’ tempi in cui bastava accennar qualcosa
degli Osmani oppure dei selvaggi Tatari per attirare l’attenzione di tutti gli
uomini e di tutte le donne, sia nelle corti, sia nei poveri e miserabili
villaggi. Ma non si pensi affatto che il nostro giovinotto l’abbia fatto per
così dire apposta, semplicemente per parlar d’altro; anzi, giunto a questo
punto, il nostro lettore deve sapere che quello che egli s’accingeva a narrare
era assolutamente veritiero e che, in prova di questo, son tuttora molte
l’istorie a noi pervenute che dipingono i medesmi affreschi. Purtuttavia, per
dovere di originalità e per dar un risalto maggiore alle vicende sentimentali,
s’è deciso essere meglio sorvolare su alcune parti di queste avventure e di
proporre soltanto ciò che puote divenir interessante anche agli occhi d’un
contemporaneo.
In
ogni caso si lascino perdere codeste avvertenze e si continui la narrazione dei
fatti, pe’ quali il viandante andava sempre e sempiternamente fiero. Questi,
infatti, dinnanzi all’infame e curiosa plebaglia, iniziò a narrare di come
fosse stato scelto a capitaneggiar la scolta d’un opulente mercatante vinegiano,
e come di un giorno di primavera, si fosse trovato co’ un drappello in vista
dell’istessa Vinegia; e così placidamente narrava:
«D’in
su’ un calle vedemmo ‘l mare e ‘l lido,
e
le torri e i canal, e i moli ondosi,
e
intorno si spargeva un fresco grido
de’i
scogli inumiditi e de’i marosi.
Le
torri di lontan stavano, e informe
un
muro di riparo or si scorgeva,
e
dell’aspre balestre s’ersêr l’orme
d’un
guerrier che d’intorno difendeva;
e
nel mare del cielo or s’immergeva
di
lume e di mattin e lieto e carco
l’eterno
campanile di San Marco
che
in sotto ne facea i mercati ombrosi.
Così
discendevamo, e un rivo infìdo
varcammo
e i boschi antichi e rei e frondosi,
e
intorno si spargeva un fresco grido
de’i
scogli inumiditi e de’i marosi.
Più
propinqui eravamo e più le porte
si
scernevano altère e i merli in ronda,
e
le pietre marine eran assorte
nel
murmure soäve d’ogni ansia onda.
Fu
allor che ne mostrai i suggelli e i bolli
a
lor che ci fermâr, le sentinelle,
e
poscia un sol istante co’ rampolli
libero
n’ebbi ‘l varco a’ caravelle,
e
messer passeggianti oppur in selle
vêr
le piazze n’andâr e vêr i ponti,
ed
eran mercatanti, e paggi e conti,
la
possanza e ‘l fulgor di questa sponda.
In
ansia aspettavam la nostra Sorte,
e
d’arme n’avevamo - e in fin la fionda! -
e
le pietre marine eran assorte
nel
murmure soäve d’ogni ansia onda»;
e
allegro ne narrava, or quando d’uno
de’i
fradici avventor gli chiese: «E dite -
perdonatemi,
oh giovin - ma ciascuno
saper
ne vuole e tosto or verba ardite….
Deh,
come e quante son le Vinegiane
che
in sul mare si stanno? E belle, almeno?»,
e
‘l prode n’accettò di dir le vane
beltà
che ne scorgeva in un baleno:
«Molte
son, e le folli - ignudo ‘l seno -
cinguettano
gemmate or come augei,
e
carchi di diamanti i lor capei
ondeggiano
beäti al vento mite;
e
le madame a un neo e corvino e bruno
discorrono
felici di lor Vite.
Ben
perdono, oh avventor, se qui ciascuno
saper
ne vuole e tosto or verba ardite;
e
se gradite ancor, l’ignuditade
d’argento
si splendea di cortigiana.
Ma
d’altro ho da narrar in libertade
pria
che di bella dama e vinegiana,
chè
non per donne e ardor n’avea un drappello,
anzi,
per ricercar un tal Gualtiero,
e
questi ci attendeva in su’ un vascello -
un
mercatante ricco e veglio e fiero;
e
al bel lido andavamo e in su’ un sentiero
di
merce che giaceva or camminammo,
e
scorgemmo un Giudeo che in fin al grammo
i
danàr valutò con pesa arcana,
e
a’ fresche e marine e pie contrade
sempre
più lambivamo e l’onda insana.
Sì!
D’altro ho da narrar in libertade
pria
che di bella dama e vinegiana».
Così
ne narrava il misero viandante, e i bevitori, e i giuocatori e l’oste e
l’ostessa allegramente l’ascoltavano, e tanto parve loro interessante ciò che
udivano che alfine smisero perfin d’interrogare e di profferir accenti di
stupore e di meraviglia. Frattanto il rimembrar del giovine aveva come una
voce, un non so che e di melliflua dolcezza e di nobile e maestosa baldanza; e
i suoi detti paravano allora simili a quei che nei tempi che correvano si
potevano ammirare nelle corti, allorquando il prode rampollo, tornato dalle
guerresche imprese, si metteva a raccontare gli eroi, i perigli scampati, i
certami e le ricchezze dei vinti e dei vincitori. Forse, del resto, in queste
ricordanze il viandante si sentiva ormai pressappoco a suo agio e non aveva più
in core quegli stati di ansia e di preoccupazione che precedentemente si
manifestarono; anzi, al domandar delle Venigiane, pria di rispondere così come
s’è riportato, aveva perfino accennato a un sorriso, benché arrossisse
lievemente alle gote. E ora, sempre più mite e più rilassato, narrava di come
poscia aver percorsi alcune vie e alcuni sentieri il mercatante Gualtiero fosse
stato trovato presso il suo vascello e tra l’altre cose, propriamente
nell’istante in cui ei osservava con attenzione i mozzi che mettevano al riparo
le merci nella stiva; e per quel poco che si fosse potuto vedere, forse c’era
ben di tutto, dall’arme alle polveri, dalle vesti alle stoffe, dai vini a’
liquori. Per questo il giovine raccontava:
«Allor
Gualtier ci vide e in tra le merci
d’incontro
ci venìa, e in sur d’un cappello
in
tinte scintillavan freschi e guerci
i
piumaggi festosi d’un augello;
e
l’arme ne mirava e l’alabarde
e
mi chiese s’io fossi ‘l capitano,
e
io ‘l consentiva, e le truppe gagliarde
fieramente
mostrai co’ destra mano,
e
‘l mio sembrò dassen drappel romano
‘ve
i guerrieri di gloria or stavan lurchi
e
n’attendevan pugne contra i Turchi,
ed
ei ormai c’invitò gaudiosi a berci.
Frattanto
i mozzi e i servi e sozzi e lerci
ponevano
i valor in sul battello;
in
tinte scintillavan freschi e guerci
i
piumaggi festosi d’un augello.
Così
- aspettando in ansia - un idromele
che
‘l mercatante offriva ne bevemmo,
ed
esso n’addolciva or pure ‘l fiele
dell’ardire
sul qual fieri sedemmo.
Il
vascello pareva un galeöne,
e
intorno e in guardia stavan le trireme,
e
‘l vessìl lampeggiava del Leöne
che
tanto i Turchi empiva d’ansie teme,
e
d’opulenza v’era or molta speme,
e a
remigar se n’ebbe in Tatarìa[1] -
‘ve
un Can[2]
dell’oro ameno ancor s’indìa -
e
giuri al mercatante e onor ne demmo.
D’un
tratto si spiegâr le scialbe vele
e
bere ancor un sorso ne volemmo;
e
‘l liquor n’addolciva or pure ‘l fiele
dell’ardire
sul qual fieri sedemmo.
Alfin
ne giunse l’ora, e in cheta flemma
co’
Gualtier sul vascello n’andavamo,
e
carica la stiva e d’oro e gemma
da
quel mattin e innanzi salvavamo;
e
immantinente in guardia al ligneo ponte
salimmo,
e in sull’onde i molli rai
del
Sole io contemplava e l’orizzonte
che
lieto si sorgea d’in sul Catai[3],
né
io né questi compar facemmo lai
chè
ben lieti stavamo - ‘l so dassenno -
e
poscia un sol e mesto e picciol cenno,
tolta
l’àncora all’onda, or salpavamo.
Né
meno ci venìa lo stratagemma,
e
ben pugnare in arme sapevamo,
sicché
carca la stiva e d’oro e gemma
da
quel mattin e innanzi salvavamo.
Gualtiero
ne tracciò una rotta, e a’ greci
lidi
dapprima ‘l vascello si volse,
e
vista di Vinegia ancor ne feci
finché
poscia mezz’ora ‘l mar mel tolse.
Mi
rimembro che l’onda or n’era calma
e
che i lidi si scorsêr dolci e lieti,
del
sicomòro la candida palma
e
del Padàn[4]
altèro i freschi greti,
e
noi salutavamo i calli or cheti
e
ben oltre ‘l commercio c’era certo
il
bottìn che serbava ‘l mar aperto
chè
ormai la terraferma si dissolse;
e
già si cucinavan tondi ceci
che
un servo dalla stiva or ne raccolse;
e
vista di Vinegia ancor ne feci
finché
poscia mezz’ora ‘l mar mel tolse.
Sibben
in patrio mare, or niun naviglio
a
guerra in contra ‘l nostro si moveva.
Ma
n’aspettate un poco: oh qual periglio
nell’Ellade
che muore or ci attendeva!»;
e
gli avventor attenti n’ascoltavano,
ed
eran gaudi di codeste istorie,
e
a tacer e a sentir ben seguitavano,
udir
sperando tanto di vittorie,
e
del liquor in fin le spire ustorie
si
mancavano al detto or del viandante
che
seguitò a narrar del mercatante
e
dell’insidia insana che fremeva,
e
a ognun attento n’era in fino ‘l ciglio
e
di ciascun l’orecchio or n’intendeva:
«Ma
n’aspettiamo, è certo: oh qual periglio
nell’Ellade
che muore or v’attendeva!».