Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Canzonette. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Canzonette. Mostra tutti i post

venerdì 14 agosto 2015

Risveglio dinnanzi all'Orizzonte alpino

Mi desto, e le Alpi scruto,
là, dove l'orizzonte mi era caro,
e lì c'è un monte che un giorno ho perduto,
e il sogno fugge, amaro
gemere del mio liuto,
muggire d'un bovaro,
e non mi importa se ora il cielo è chiaro,
se questo estivo Sole
più limpido si avanza, e se l'alpino
Mostro di rocce è più sublime. Duole
il mio cuore, il mio meschino
sentiero sulle viole,
ricordo: i boschi e il pino;
e sempre tremo, e chiedo: «È il mio Destino?»,
e nulla mi risponde,
e il Tempo batte i fuggevoli istanti
del mio cuore, e un pensiero va per l'onde
dei ruscelli incostanti,
dell'alte paglie bionde,
dei ghiacci d'adamanti;
e che mi resta se non questi pianti?
E così l'Alpe antica
è stata come una fanciulla ignota
che in città è una passante, e poi s'intrica
tra l'ombre, gente immota,
per ogni strada aprìca,
e scompare, e si svuota,
e lì più non si nota;
e tanto m'è terribilmente oscura
questa Vita tra i campi e la pianura.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì XIV Agosto AD MMXV

mercoledì 4 marzo 2015

La Rimembranza d'un Maggio perduto

La dolce mi viene membranza
del maggio perduto nel core,
e qui nella sera e in mia stanza
sovviènmi un sognare d’Amore,
sovviene alla mente la riva
adorna di viole e cicale,
la via che percorsi giuliva,
e un sogno m’assale.

Così mi ricordo: i germogli
dell’orzo sorgente nel fango,
del storno e del merlo gli orgogli,
rimembro dassenno e qui piango;
e s’apre alla mente un sembiante,
curato in segreto nell’alma,
nel labbro ‘l suo nome l’amante
ripete con calma.

Andavo sereno in campagna,
chiedevo al Signore una grazia,
pregavo tacente di lagna
coll’alma d’Amore non sazia,
e in me ne sentivo la pace,
la requie perduta e trafitta
che in sogno soltanto si giace
terribile e invitta;

m’ergevo siccòme a un torneo
facea ‘l cavaliere nell’arme,
e accolsi nel vento ‘l trofeo
d’un docile e nobile carme,
accolsi ‘l Destino sfidato,
l’orrendo gridare del duolo,
accolsi orgoglioso ‘l mio Fato
da un frutto del suolo.

Pe’i boschi e i sentieri un pensiero
regnava nel core risorto,
un tremulo crine di nero
nel biondo del cielo e d’un orto,
un crine di donna beäta,
di giovine stella nel giorno,
un viso di seta adorata
di Sole qui adorno.

Sognavo: la sera ventura,
la spene giurata da Iddio,
miravo la quieta Natura
nell’ansia dell’incubo mio.
Sognavo: che stava al mio fianco,
e forse nel core si giacque,
che ‘l labbro un sorriso di bianco
d’orgoglio si tacque.

Sognavo: che disse in singulto
concenti di lieve pietade,
che questo l’Amore mai inulto
ne fora alle allegre contrade,
che ‘l braccio a me porse nel tanto,
nel fresco soffiare del vento,
che stavo non più quivi affranto
di bel Sentimento.

Sentivo la quiete d’intorno,
leggero ‘l singhiozzo del core,
nel pallido guardo del giorno,
meriggio di flebile fiore,
e andavo col cane a Nicorvo
precando del Cielo ‘l volere,
andavo al sentiero di torvo
e ansioso dolère,

e allegro mi stavo in tra’i rivi,
guardando lontane le cime,
tra’i monti innevati e giulivi
nel maggio che venne sublime,
e andai di paëse in paëse,
sfidando la Sorte meschina,
tra’i nembi festoso Albonese,
e un’orba cascina,

e vidi le querce e i carpini,
i bei sanguinelli e gli ontàni,
i boschi de’i pioppi e de’i pini,
e i stormi vaganti lontani;
e ferma sen stava nel petto
la rosa bramata dal sogno,
nel giovin, e docile aspetto
perduto, e vergogno.

Speravo incontrarla a un caffè,
nel borgo che lei frequentava,
speravo ma ‘l Fato dové
gridare furente, e tremava;
e vana la spene divenne,
la Sorte furiosa vinceva,
e ‘l sogno beäto s’astenne,
e allor si gemeva.

Dicevo alle nubi ‘l segreto,
sognavo parlarle d’accanto,
parole mai dette - l’inquieto -
dolore che n’ebbi cotanto,
e tacque per sempre ‘l mio viso.
Si spense l’ardore nel gelo?....
Ahi! Forse perdei ‘l Paradiso,
il canto del Cielo.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì III Marzo AD MMXV

martedì 2 dicembre 2014

Canzonetta scapigliata - Un Ricordo di Maggio

D'in sulla fresca e candida
brina del gelido
e cupo autunno e oscuro
e d'in sul cielo
che oltre 'l timido muro
m'è forse un velo,
come se fosse un incubo
che giova all'anima
una membranza antica
del scorso maggio
ora m'appar; la spica
bionda e 'l foraggio.

Sogno: quando le primule
stavan aprendosi,
presso le chete viole,
le fulve rose,
quando brillava 'l Sole,
e a' selve ombrose
un dì io n'andava in spasimi
dolci e inviolabili,
e a' campi vidi 'l corvo,
e 'l rosignuolo
molle cantava e torvo
spiccando 'l volo.

Rimembro: quando i frassini
frondosi giacquero
ivi, vicino a' boschi,
quando le lande
tra' cespi e rovi or foschi
di terree ghiande
febbrilmente vestivansi,
e d'in sull'alte roveri
strillava un cinguettio
d'allegri augelli,
lì, come un tintinnio
sugli arboscelli.

Sì, 'l sogno come un attimo
di gaudio flebile,
d'insana gioventù
forse perduta,
e che 'la fu;
e 'l core quivi stringesi
nel sognar pallido
di questa pia stagione
che fu un portento
d'un'arpa la canzone,
un sol momento.

Come n’accade al vivere
che muor nel tumolo,
è solo un’ansia fola
la gioja allegra,
l’istante in cui consòlasi
un’alma negra
quale la tomba cerula
d’un veglio scheletro,
tra ‘l verme e ‘l suolo e l’ossa
in novo verno
che come in sulla fossa
sonno fia eterno.

Rammento: in ansia docile
a’ rivi placidi
in vane speni i’ andava
vagando intorno,
e ‘l spirto seguitava
nel fresco giorno
a lambire la candida
mano dell’àliga,
del stagno la ninfea,
l’immacolata
luce d’un’alba Dea,
di Musa amata,

e ‘l brando in trionfo n’ergere
a’ Fati incogniti,
chiamarmi vincitore
d’empio Destino,
un segreto d’Amore
in su’un carpino,
quando i gelsi si nacquero
pe’i cespi roridi
di fiducioso pianto,
ed io ‘l spremeva
nel pio e mellifluo canto
che si schiudeva.

Sogno: ‘l sereno glicine,
i mughetti aridi,
le margherite belle
e gl’iris cheti,
nel ciel brillar le stelle
co’ stral sì lieti,
pelle campagne seriche
e i campi tremuli
la via del mio passeggio
nell’orizzonte,
e ancor per questo ‘l veggio,
là, verso un monte,

quando a’ nembi brillavano
rosee le nuvole
nel tramonto gentile,
quando le tinte
d’una sera d’aprile
stavano avvinte
in fulvo abbraccio e in sanguine,
quando la nobile
alba ne stava certa
poscia la Notte
che dolce amava l’erta,
e selve e grotte.

Ma quivi in cor incognita
e in muto spasimo
n’ho pena indefinita,
nel petto ansioso
un’orrida ferita -
un duol morboso -
che tristo e crudo e in incubo
riede quai pungoli,
come un fior di betulla
un fil d’Amore,
un’eterna fanciulla,
sempre dolore,

e or gustando co’ lagrime
nel verno orribile
tè d’ispezie e di pepe,
ne guardo altrove,
all’innevata siepe,
a’ negre alcòve;
e ‘l sognar che sciudevasi
d’un maggio torrido
in questo mar m’è amaro
come veleno
e ormai di speni avaro
mi punge in seno.

Tant’hai sofferto, oh nobile
ignoto spirito,
che pur mia se’ la meta,
un Sentimento
di fiduciosa pièta
e di sgomento…
e tramonti nel cerulo
autunno gelido
qual sogno di poch’ore
ormai svanito,
pallente e mesto fiore
dell’Infinito!

E io, oh terribile, oh incubo,
e io un dì di cenere
nella tomba del Fato
quasi morendo
mestamente t’ho amato,
e ‘l cielo orrendo
d’esto dicembre tremulo,
autunno pròdigo,
mi strazia anco le vene
e l’ansia pelle,
e pur la cheta spene
ormai si svelle.

Melanconicamente
tramonta un sogno;
e mi vergogno!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì II Dicembre AD MMXIV