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lunedì 20 aprile 2015

Lapidarie Poesie in Stile nipponico

Haiku d'un Pomeriggio di Aprile
Mare azzurrino
le nuvole del cielo.
Annego nel Sole.

Haiku della Rondine
Fior cinguettante
la rondinella al nido.
Ombra del vespro.

Haiku del Sambuco
Grappolo d'uva
attoscata di fiele.
Dolce il sambuco.

Haiku del Ciliegio
Roseo di donna
il fiorellino al vento.
Frutto di sangue.

Haiku del Tataro
Vecchio per sempre
l'invasore dai Tàtari.
Giovane muore.
Lo affoga il vento
divino. Tra le creste
del mare in fiamme.
Era sua l'Asia.
Il ventre d'uno squalo
è la sua tomba.

Tanka del Tramonto
Si aprono i nembi
come un ventre alla spada
del disonore.
Sanguina questa Notte,
fulva Morte del Sole.

Tanka del Lupo
Ulula il lupo
al canto della geisha.
Il tè svapora.
La bava della belva
beve il Dio della guerra.

Tanka del Monaco
La baiädera
culla la sua preghiera.
Medita; e pensa
che il Nulla sia la Vita,
e in questo Nulla il Dio.

Tanka del Burattinaio
A queste corde
appeso il Samurai.
Guerre e battaglie.
L'ho legato; ed è stretto.
Mio il suo spiro, il suo onore!

Tanka della Rosa
Fuoco del monte
del Dio delle fucine,
aguzze spine.
La rosa dell'Amore
un sogno in fiamme, un Mostro.

Haiku del Mare
Onde di serpi,
acquitrinosi pesci.
Piovre moleste.
Anche nel bosco
anneghi in questo mare.
Notte... silenzio.
Naufraghi, stolto,
nel senso della Vita.
Acqua del Dio.

Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Lunedì XX Aprile AD MMXV

mercoledì 4 marzo 2015

La Rimembranza d'un Maggio perduto

La dolce mi viene membranza
del maggio perduto nel core,
e qui nella sera e in mia stanza
sovviènmi un sognare d’Amore,
sovviene alla mente la riva
adorna di viole e cicale,
la via che percorsi giuliva,
e un sogno m’assale.

Così mi ricordo: i germogli
dell’orzo sorgente nel fango,
del storno e del merlo gli orgogli,
rimembro dassenno e qui piango;
e s’apre alla mente un sembiante,
curato in segreto nell’alma,
nel labbro ‘l suo nome l’amante
ripete con calma.

Andavo sereno in campagna,
chiedevo al Signore una grazia,
pregavo tacente di lagna
coll’alma d’Amore non sazia,
e in me ne sentivo la pace,
la requie perduta e trafitta
che in sogno soltanto si giace
terribile e invitta;

m’ergevo siccòme a un torneo
facea ‘l cavaliere nell’arme,
e accolsi nel vento ‘l trofeo
d’un docile e nobile carme,
accolsi ‘l Destino sfidato,
l’orrendo gridare del duolo,
accolsi orgoglioso ‘l mio Fato
da un frutto del suolo.

Pe’i boschi e i sentieri un pensiero
regnava nel core risorto,
un tremulo crine di nero
nel biondo del cielo e d’un orto,
un crine di donna beäta,
di giovine stella nel giorno,
un viso di seta adorata
di Sole qui adorno.

Sognavo: la sera ventura,
la spene giurata da Iddio,
miravo la quieta Natura
nell’ansia dell’incubo mio.
Sognavo: che stava al mio fianco,
e forse nel core si giacque,
che ‘l labbro un sorriso di bianco
d’orgoglio si tacque.

Sognavo: che disse in singulto
concenti di lieve pietade,
che questo l’Amore mai inulto
ne fora alle allegre contrade,
che ‘l braccio a me porse nel tanto,
nel fresco soffiare del vento,
che stavo non più quivi affranto
di bel Sentimento.

Sentivo la quiete d’intorno,
leggero ‘l singhiozzo del core,
nel pallido guardo del giorno,
meriggio di flebile fiore,
e andavo col cane a Nicorvo
precando del Cielo ‘l volere,
andavo al sentiero di torvo
e ansioso dolère,

e allegro mi stavo in tra’i rivi,
guardando lontane le cime,
tra’i monti innevati e giulivi
nel maggio che venne sublime,
e andai di paëse in paëse,
sfidando la Sorte meschina,
tra’i nembi festoso Albonese,
e un’orba cascina,

e vidi le querce e i carpini,
i bei sanguinelli e gli ontàni,
i boschi de’i pioppi e de’i pini,
e i stormi vaganti lontani;
e ferma sen stava nel petto
la rosa bramata dal sogno,
nel giovin, e docile aspetto
perduto, e vergogno.

Speravo incontrarla a un caffè,
nel borgo che lei frequentava,
speravo ma ‘l Fato dové
gridare furente, e tremava;
e vana la spene divenne,
la Sorte furiosa vinceva,
e ‘l sogno beäto s’astenne,
e allor si gemeva.

Dicevo alle nubi ‘l segreto,
sognavo parlarle d’accanto,
parole mai dette - l’inquieto -
dolore che n’ebbi cotanto,
e tacque per sempre ‘l mio viso.
Si spense l’ardore nel gelo?....
Ahi! Forse perdei ‘l Paradiso,
il canto del Cielo.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì III Marzo AD MMXV

martedì 3 marzo 2015

I Pensieri orrendi della Decadenza

Niente... e qui 'l Nulla affascina e si vive,
e la Vita si mostra un sogno odiato -
in mondo di menzogna - e le giulive
speni ne sono chimere del Fato;

e tu, Poëta, lagni e a queste rive
vittima se' del viver, umiliato,
e incompreso e represso, e l'affettive
quieti svaniscon. Oh fossi mai nato!

La Furia fulgoreggia e del Demòne
la fiamma si ridesta, e scaglia al vento
i cantici e le rose, e la canzone,

e in perfidia si cala 'l Sentimento,
e le labbra innocenti giaccion prone
in un mare di sprezzo e tradimento.

Di penare è 'l momento,
poiché alla Primavera degli augelli
lupi vi sono in sembianze d'agnelli....

Lupi che danno la Vita agli armenti,
aquile folli che parlan d'Amore.
Ma chi crede che sia un mondo i cui stenti
non còvan disinganni, nè dolore?....

Rapsodo n'erro, sprezzato da molti,
co' un nome che si fia larva irredenta
che si posa e si cangia a' tanti volti,
e che al sogno si muore e giace spenta;
e la Vita medesma qui m'attenta,
un viver che non volli, e forse 'l cielo,
le pallide ninfee e 'l formido gelo,
e 'l palpito sgraziato in fondo al core.

Si decadono i sensi e i Sentimenti,
sono un giardino d'un tremulo fiore.
Ma chi crede che sia un mondo i cui stenti
non còvan disinganni, nè dolore?....

Niente... e qui 'l Nulla si pinge di canto,
e l'uomo si trascina in tetro avello,
e l'occhio si lamenta in freddo pianto,
come al ramo che sorge fa l'augello.

Così vincon le larve, e al fango affranto
le Furie del meriggio al praticello
i trucidati scagliano, e d'accanto
anco 'l Sole ne infiamma un arboscello.

Odio le chiome del tempo felice,
i fulgidi capei di Primavera,
e la Vita ne sprezzo; e maledice

una parte del labbro or giunto a sera,
e vivere non fora una fenìce:
e poscia v'è soltanto Morte intiera.

Il Sole è scialba cera;
e frattanto 'l Poëta in stillicidio
forse stanco di viver vuol suicidio;

e de'i suoi non fia schiera
a posar fiori belli in sulla bara,
nè a terger dalle ciglia un'acqua amara,

e la Natura fiera,
lì coprirà di terre un fior d'Iddio
che niuno ne comprese, 'l core mio!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì III Marzo AD MMXV