Cerca nel blog

martedì 2 dicembre 2014

Canzonetta scapigliata - Un Ricordo di Maggio

D'in sulla fresca e candida
brina del gelido
e cupo autunno e oscuro
e d'in sul cielo
che oltre 'l timido muro
m'è forse un velo,
come se fosse un incubo
che giova all'anima
una membranza antica
del scorso maggio
ora m'appar; la spica
bionda e 'l foraggio.

Sogno: quando le primule
stavan aprendosi,
presso le chete viole,
le fulve rose,
quando brillava 'l Sole,
e a' selve ombrose
un dì io n'andava in spasimi
dolci e inviolabili,
e a' campi vidi 'l corvo,
e 'l rosignuolo
molle cantava e torvo
spiccando 'l volo.

Rimembro: quando i frassini
frondosi giacquero
ivi, vicino a' boschi,
quando le lande
tra' cespi e rovi or foschi
di terree ghiande
febbrilmente vestivansi,
e d'in sull'alte roveri
strillava un cinguettio
d'allegri augelli,
lì, come un tintinnio
sugli arboscelli.

Sì, 'l sogno come un attimo
di gaudio flebile,
d'insana gioventù
forse perduta,
e che 'la fu;
e 'l core quivi stringesi
nel sognar pallido
di questa pia stagione
che fu un portento
d'un'arpa la canzone,
un sol momento.

Come n’accade al vivere
che muor nel tumolo,
è solo un’ansia fola
la gioja allegra,
l’istante in cui consòlasi
un’alma negra
quale la tomba cerula
d’un veglio scheletro,
tra ‘l verme e ‘l suolo e l’ossa
in novo verno
che come in sulla fossa
sonno fia eterno.

Rammento: in ansia docile
a’ rivi placidi
in vane speni i’ andava
vagando intorno,
e ‘l spirto seguitava
nel fresco giorno
a lambire la candida
mano dell’àliga,
del stagno la ninfea,
l’immacolata
luce d’un’alba Dea,
di Musa amata,

e ‘l brando in trionfo n’ergere
a’ Fati incogniti,
chiamarmi vincitore
d’empio Destino,
un segreto d’Amore
in su’un carpino,
quando i gelsi si nacquero
pe’i cespi roridi
di fiducioso pianto,
ed io ‘l spremeva
nel pio e mellifluo canto
che si schiudeva.

Sogno: ‘l sereno glicine,
i mughetti aridi,
le margherite belle
e gl’iris cheti,
nel ciel brillar le stelle
co’ stral sì lieti,
pelle campagne seriche
e i campi tremuli
la via del mio passeggio
nell’orizzonte,
e ancor per questo ‘l veggio,
là, verso un monte,

quando a’ nembi brillavano
rosee le nuvole
nel tramonto gentile,
quando le tinte
d’una sera d’aprile
stavano avvinte
in fulvo abbraccio e in sanguine,
quando la nobile
alba ne stava certa
poscia la Notte
che dolce amava l’erta,
e selve e grotte.

Ma quivi in cor incognita
e in muto spasimo
n’ho pena indefinita,
nel petto ansioso
un’orrida ferita -
un duol morboso -
che tristo e crudo e in incubo
riede quai pungoli,
come un fior di betulla
un fil d’Amore,
un’eterna fanciulla,
sempre dolore,

e or gustando co’ lagrime
nel verno orribile
tè d’ispezie e di pepe,
ne guardo altrove,
all’innevata siepe,
a’ negre alcòve;
e ‘l sognar che sciudevasi
d’un maggio torrido
in questo mar m’è amaro
come veleno
e ormai di speni avaro
mi punge in seno.

Tant’hai sofferto, oh nobile
ignoto spirito,
che pur mia se’ la meta,
un Sentimento
di fiduciosa pièta
e di sgomento…
e tramonti nel cerulo
autunno gelido
qual sogno di poch’ore
ormai svanito,
pallente e mesto fiore
dell’Infinito!

E io, oh terribile, oh incubo,
e io un dì di cenere
nella tomba del Fato
quasi morendo
mestamente t’ho amato,
e ‘l cielo orrendo
d’esto dicembre tremulo,
autunno pròdigo,
mi strazia anco le vene
e l’ansia pelle,
e pur la cheta spene
ormai si svelle.

Melanconicamente
tramonta un sogno;
e mi vergogno!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì II Dicembre AD MMXIV


Nessun commento:

Posta un commento