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sabato 8 ottobre 2022

Rus’

Tu non sei ov’è il tramonto,

non sei figlia d’Oriente,

tu non sei niente,

sei solo un po’ di terra,

sei uno spirito che erra

tra alvei nati un tempo

da pianto di Rusalke

e dallo scempio

di orde, di calche.

 

Tu non sei niente, sei

la maschera guerriera

di qualche fiera,

di qualche belva

che nel cuor della selva

piange sui nascituri

per colpa della caccia

e delle scuri

sopra la faccia.

 

Tu non sei Ade che geme,

nascosto in qualche covo

sul Don di Kulikovo,

non sei il Torbido grasso

che affretta il passo

sui cremlini di legno,

non sei il Tartaro avaro,

non sei il suo regno,

non sei il suo baro.

 

Tu non sei niente, sei

un trillo di campane

che suonano lontane:

lo Czar è morto,

lo Czar è vivo, assorto

dentro il proprio Destino

del Re tempestoso,

del Re bambino,

del Re pauroso..

del Re meschino.

 

Tu sei il dolore antico

della steppa romita,

senza più Vita,

senza più vie

che portano alle pie

pietre del monastero,

e dell’icona,

Cristo su legno nero

con in man la corona..

Cristo che dice: “Io Sono”..

tu, figlia del perdono.

 

Tu sei il sogno estremo

di Bisanzio cadente,

donna soffrente

per piccoli orsi,

senza rimorsi

per la tua storia,

per la tua fine,

per la tua gloria

senza confine.

 

Tu non sei niente, solo

la lodia remigante

d’un qualche gran mercante,

di Sadko il Poeta

il tremulo profeta,

la slitta nella neve,

le lettere inattese,

il tè dal gusto lieve,

le battaglie e le intese

nel sangue immondo

di tutto il mondo.

 

Milleottocentododici.

Tu non sei niente, schiava,

le labbia con la bava,

le labbia con la Morte,

le steppe son risorte,

le aquile senza piume,

azzanni il cuor dell’empio,

azzanni il folle Nume

senza più tempio.

 

Tu non sei niente, sei

il romanzo e il balletto,

filosofo e folletto,

la Musica di gala,

le dame nella sala,

discorsi di Bellezza;

e Myskin si confonde

tra la carezza

di mille bionde.

 

Tu non sei niente, solo

sei l’eterno spauracchio

di colbacco e pennacchio

per l’Occidente,

nemica d’Oriente,

della Mongolia,

senza più speme,

fior di magnolia

che presto geme

cadendo in coma.

Tu sei.. l’eterna Roma!

Dipinto maestoso di
Viktor Mikhailovich Vasnetsov (1848-1926), Il Figlio di Dio generato e il Verbo di Dio, Romanticismo, Tardo-Romanticismo, Accademismo, Pre-Simbolismo, Simbolismo religioso russo, 1885-1889. Olio su Tavola, Dimensioni Sconosciute. Collezione Privata.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Sabato VIII Ottobre AD MMXXII.

giovedì 27 gennaio 2022

Memoria e Ipocrisia

È quasi da settemila anni e passa

che si promette di essere più buoni..

una promessa, un giuramento sacro

con le solite frasi e con i soliti

verbi banali, col solito pianto

di un coccodrillo fanciullo che fa

i capricci per una gomma dura

da masticare, con le solite alte..

altissime.. altisonanti parole,

con i proclami con le mani ai fianchi

esattamente come un dei colpevoli,

con quel “Povero” e quel “Oh poverino!”

e poi quel “Poveraccio”, con quel senso

di finta commiserazione d’altri,

la mano al cuore.. la mano tremante

come un attore shakespeariano a teatro,

come un tenore che finge la Morte

per una qualche soffranza assoluta..

ah! quale pugnalata al petto.. ah! quale

fine… Scegli, Ernani: il tosco o il pugnale?

e il pubblico d’intorno applaude e piange…

“Mai più”, “Non sarà mai”, “Non tornerà”,

“Non si ripeterà”, “Siamo più buoni”…

Cantate, orsù, cantate dai veroni!

Stringetevi al cospetto di un vessillo

con l’iri ricamata.. eh sì, cantate!...

Cantate al suono molteplice e fosco

delle campane da morto! Ballate

oscene danze al ritmo della Morte!...

Poi, il ventisette gennaio è tutto un giambo

di sofferenza. “Poveri Ebrei” e mentre

lo dite, ecco.. quel di Giussano parla

e gli date ragione e ripetete

“Chiudiamo i porti ai negri e ai Musulmani”..

poi, andate allo stadio e quel che segue 

la palla tira.. sbaglia... Palo! "Sei

uno Zingaro! Zingaro va' a casa!

Zingaro devi morire" e gridate; 

poi ancora, ecco qua il divieto di transito

per l'urina dei cani e i Testimoni 

di Geova e per i Marocchini e gli Arabi..

e poi vedete per strada un dei soliti -

si fa per dire - effemminati e avete

in cuor di fargli molto male e dopo

ancora avete schifo del barbone

che vi guarda per meno di un centesimo,

e avete un po’ schifo anche della Caritas

(“La solita Chiesa! Sempre immischiata”

schernite), e.. “Poveri Ebrei!”, augurate

perfin la Morte al vicino di casa

che, a seconda di come siate, non è

vaccinato oppur lo è, e poi quando udite

il comizio sovente silenzioso

di qualche anticonformista, ma bravo

e molto saggio, ecco.. “È sempre il solito

comunista!”… Ma no! No! e no! Diciamolo

una buona volta! che siamo sciami

di burattini collodesi e stolti,

sciami simpatetici, empatico-atarassici,

stacanovisti di bugie infinite,

Schutzstaffeln umanitarie, convinte..

incallite (= teutoniche empatie

per il diverso secondo noi stessi),

missioni di pace con la mitraglia

che ci gassiamo a vicenda coi peti,

cani di razza - possibilmente, è ovvio,

cani di razza bianca - Ari e sciamani

del Sud profondo che assaltano il cosmo..

api che si pungono l’un con l’altra;

e diciamolo.. un’altra buona volta

che una menzogna terribile e immane

è dir al mondo intero quel “Mai più!”.

Illustrazione per un Edizione in Lingua inglese delle Avventure di Pinocchio di Carlo Collodi (1826-1890). Illustrazione del 1911 di Autore sconosciuto. Mostra meno
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Giovedì XXVII Gennaio AD MMXXII.

mercoledì 29 dicembre 2021

Vorrei essere come un Albero bicentenario

Ogni albero sta sulla propria via,

avrà anche duecent'anni... E cos'ha visto?

Dalle mie parti ci sono degli alberi

che penso abbiano scorto Napoleone,

gli Austriaci e poi i Tedeschi e i partigiani..

che abbian visti i trisavoli e i miei nonni...

Sì, nel mio borgo un albero può aver

sentito veramente risuonare

la Marcia di Radetzky.. no, non dico

l'originale, ma una replica aspra

sul campo di battaglia di Novara.

E loro.. cioè queste vecchie ramaglie?

Se ne stanno tranquille, ferme.. immobili

e, nonostante tutto, ci regalano

il respiro, un po' di verde d'Estate,

donano dei ripari agli augelletti..

senza rancore.. senza patimenti,

in una pace profonda che qui

non può darci nemmeno il cimitero.

Per questo, oggi, ho deciso: mia disgrazia

è stata essere nato come umano..

noi Uomini parliamo troppo, odiamo,

spezziamo le ossa a questi poveri alberi.

Davvero! Vorrei essere come un albero

nel silenzio di quasi duecento anni.

Fotografia dell'Autore medesimo, Alberi sotto la Neve davanti a uno Stagno ghiacciato, Mercoledì VIII Dicembre AD MMXXI.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Mercoledì XXIX Dicembre AD MMXXI.

martedì 13 luglio 2021

XIV Luglio - Sarcasmo. Le Statue

Una volta ero a Lione con un

mio amico. Della bella cattedrale

notai che le statue dei santi Apostoli

erano senza teste.

Grande merito di quei galantuomini!...

Ma chi si sente minacciato da una

statua da un crocefisso o da una prece

altro non è che semplicemente matto.

Ora, le statue restano alle porte..

ho ricercato il nome del colpevole -

non credo fosse Robespierre! -

non l’ho trovato.

Dipinto di Julian Russell Story (1857-1919), Marie Charlotte Corday viene condotta al Patibolo, Tardo-Romanticismo, Pittura con Soggetti storici, Arte statunitense del XIX Secolo. Olio su Tela. 1889.
Pennsylvania Academy of the Fine Arts Broad & Cherry Streets, Philadelphia.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Martedì XIII Luglio AD MMXXI.

XIV Luglio - Jehanne nel Prato dei Gigli

Jehanne, tu sei nel prato

tra gigli d’oro e Sole,

e guardi e dici e urli - che cosa?

 

parole meste..

immobile quasi esanime e spenta

 

come se il tuo cuore fosse incantato.

Chi si aggira tra fiori?

Ombre di sangue.. di sangue gli odori...

 

Intanto, guardi tu il Tramonto nero.

Quante fiate l’hai visto

nel deserto dei tuoi campi?...

 

Sogghigna.

 

Come canto che vien dal cimitero

ti parla.. labbia orrende,

bocca bugiarda che grida e s’accende,

 

con il cranio di un Re in mano.

 

L’ultimo giorno è arrivato e s’appresta,

non è più tempo che crescan ne’ prati

i gigli d’oro, non più è la tua festa

quando li cogli,

 

quando t’aggiri per cercare fiori

da mettere sul mare, sugli scogli,

sul tuo cenere che ode i suoi dolori,

oh povera fanciulla!

 

Oh Jehanne! Resta un drappo

bianco pieno di sangue..

di sangue rosso.. e resta il Cielo azzurro

 

dimenticato,

il Cielo cilestrino che ora langue,

mentre il Demonio, il Fato

 

tristemente all’unisono gridano

“Libertà!”

Quadro di Ferdinand Victor Eugène Delacroix (1798-1863), La Libertà guida il Popolo, Romanticismo, Realismo francese, 1830. Olio su Tela. Museo del Louvre, Parigi.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Martedì XIII Luglio AD MMXXI.

domenica 26 novembre 2017

Le Ricordanze di Anastasija

I
n stanza pallida,
ahi, triste camera,
giacque una fetida
ombra, sta muta.
Vladìmir esanime
giacèa, il dispotico,
Fato era Morte;
ed era rorido
del sudòr - l’ultimo.
V’era una giòvine
sua infermïera,
debole e timida,
sguardo perplesso,
occhi che cèlano
che custodìscono
tristo pensiero.
Muto era l’àtomo
del respìr, tremulo
era il bolscèvico,
tremante l’Anima…
muto cadavere.
Era già morto?....
«Nànja[1]» le disse
il suo morente
«Nànja, mi chiamano
i Fati. Nàrrami -
il mio desìo -
prima che l’Anima
muoia col corpo…
nànja, raccòntami…
fàmmi più docile 
la Morte pallida…
nànja, proclàmami
la fine oscena
del mio rivale!
Dimmi… sussùrrami
come morirono
i tetri uomini,
lo czàr Nicòla…
nànja, fa’ pago
il mio desìr!».
La donna in lagrime
era una giòvine
presa dal sudicio
sguardo d’un diavolo,
il manicomio.
Vladìmir ebbe
un dì pietà
di questa misera
fanciulla incognita
di prole stolida
rimasta ignota…
cadde malato,
la volle in camera
come badante
della sua Vita,
come figliuola.
Ma ora Vladìmir
era già muto,
era già gelido,
esangue, rigido,
fu paralitico
per mesi e giorni.
Chi ha parlato?
Forse il suo spirito,
forse sua Anima,
e ne chiedeva
la fìn dei Cesari….
Chi ha parlato?
Forse di misera
donna l’eterno
mistèr materno,
forse una figlia…
spirto d’isterica.
Nànja narrò.
«A marzo flebile
sotto le nuvole
le nevi sciolsero,
soffiàvan zefiri
a Ekaterinburg.
Marciando giunsero
rossi ed indomiti
i sòviet, uomini
co’ lor fucili.
Erano formidi,
e vendicavano
la gleba libera
fin dal lor Cesare[2],
la Duma[3] nobile,
consesso santo,
da czàr concesso;
e bestemmiavano,
marciàvan bruti,
ed èran vindici
or di Potèmkin,
ora dei martiri
spenti dagli ussari
d’aquile gotiche
per le trincee.
Vladìmir, dìcoti
quel che m’han detto!
Quest’empi urlavano,
chiamàron servi,
a questi diedero
truci scagliarono
fredde pallottole
in fronti esanimi,
sangue e terrore,
senza pietà.
Le serve or presero,
anche le nanje,
anche le dade[4]
e le spogliarono
senza pudore,
le uccìser tutte
lì violentandole…
lì le sgozzarono.
Presero i nobili,
lo czàr, la prole,
li trascinarono
sotto le nuvole,
di sotto il Sole
di Primavera.
Le nobildonne
s’inginocchiavano
dianzi a’ mariti
e proteggevano
i pargoletti.
Nicòla in tremiti
facèa coraggio,
guardava i crudi,
li benediva,
li perdonava….
Ebbe pietà!
La mira presero,
dunque spararono.
Sùbito caddero,
al suòl morirono
servetti e nobili,
lo czar, le femmine,
bimbi e neonati.
Vladìmir, dìcoti:
èran innocenti!
Questa tua furia
ha trucidati
bimbi che un giorno
sarèbber stati
savi ministri
di Pace e Amòr!
Vladìmir, dìcoti:
che dalla strage
si sia salvata
fanciulla misera.
Dìcon giurasse
vendetta orribile.
Vladìmir, fole
sono soltanto?».
Tacque la donna,
tacque il tiranno,
zitto l’inconscio
d’una fanciulla….
Vladìmir esanime
era già morto.
Yosef[5] entrò,
guardò il cadavere
con sprezzo e palpiti,
e sorrideva,
scrutò con sdegno
la giòvin femmina,
lei ch’era povera
matta… una folle
d’un manicomio,
senza famiglia,
forse una serva
di quei pezzenti
che dì lavorano
nelle gran fabbriche
pe’ i campi, i sudici
servi del Diavolo,
senza pietà.
Scosse la testa,
toccòsi il naso
per non sentire
l’odore putrido
di quello scheletro;
pensò al Potere,
e poscia uscì.
La donna, allora,
scossa e silente,
tremante tutta,
mise una mano
al cuore, al seno,
cavò un anello,
lo mise all’indice,
quasi pentita,
un po’ rapace,
e compiacente.
Sconvolti èrano
i capèi, in palpiti
il petto torrido
per tanti fulmini,
sembrava isterica,
folle… malata,
morbosa in turbini….
La man sinistra
accarezzava
il corpo rigido
del suo paziente,
del suo patrigno…
del suo tiranno.
Stringeva il pugno
con la sua destra
quasi a colpire
l’odiosa salma
dell’uomo amato.
Le labbra risero,
piangèvan gli occhi,
mesta alienata
da un Mostro infame,
Rivoluzione…
supina cadde
al petto esangue
del miserabile
sòviet supremo….
Sognava in lagrime…
e venne l’incubo:
tra il fango e i vermi
che pullulavano
come formiche
sul ghiaccio sciolto
stavano i nobili,
stava lo czàr.
La donna scorse
l’orbo cadavere:
«Otèts! Otèts![6]».
Niuna risposta
tranne che l’eco….
E l’infermiera
colta da un morbo
mostrava al cielo
di quella camera
del sòviet spento
un oro, anello;
lì v’era un’aquila,
serto bicipite,
pel Cielo vindice,
Gloria e furòr.
Ed ella urlò:
«Otèts Otèts!
Yà ljubljù tebjà…
Proschàj, Otèts,
proschài navièk![7]».





Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XXVI del Mese di Novembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.



[1] Badante in lingua russa.
[2] In Russia la Servitù della Gleba venne abolita negli anni ’80 del XIX Secolo.
[3] La Duma è il parlamento russo, esistente dal 1885.
[4] Nutrici in lingua russa.
[5] Ovviamente trattasi di Stalin.
[6] Padre! Padre! In lingua russa.
[7] Padre! Padre! Io ti ho amato! A presto, padre… addio per sempre! In lingua russa.