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sabato 6 giugno 2015

1815 - L'Incognito oltre la Manica

Or che mai è oltre la Manica?

Forse gridano i fulmini,
forse i terribili,
flutti del disonore,
della vergogna
tetri ti seppelliscono,
Tamigi, o pallido
rivo di van rancore,
e la zampogna

alle campagne sibila,
canzoni belliche,
i flauti del soldato
che non partiva,
alle cieche casupole
dei bimbi miseri,
le miniere del Fato,
terra corriva;

forse i pallidi valichi
di Dover, flebili
urlano a una Tempesta,
a mezzanotte,
all'ombra degli spasimi
fatali e tremuli
della Luna funesta,
piove alle grotte,

e forse si riversano
nell'onde gelide
le labbra del silenzio
cimiteriale,
dove i Demòni spargono
i tristi calici
d'inebriante assenzio,
Orco fatale.

Or che mai è oltre la Manica?

Forse i lumi s’accendono
delle vie in tenebre,
si danza per la sala
d’un londinese
Sire, e i canti si muovono
e vanno e s’àgitano,
e intanto d’una pala
è il tuòn palese:

i sepolcri si schiudono,
le fosse scavano,
si prepàran le croci,
prive di nome,
e al cielo stanno i bàratri,
l’orbe voragini,
i Destini feroci,
e chiedo come:

or che mai è oltre la Manica?

La mia donna è una vedova,
piange al mio loculo,
ha in braccio il fanciullino
ch’è appena nato,
mi geme ad un’incognita
fossa terribile,
e grida il poverino
bimbo agitato,

ed ella ha in man la lettera
che scrissi - l’ultima -
la legge a un fosco ossame
tra i tanti uccisi,
la proclama a un anonimo
sasso, sarcofago,
tra l’estivo fogliame,
di pianto intrisi

le sono gli occhi, l’iridi
si stillicidano,
e il bimbo guarda intorno,
di croci un mare,
e gli orizzonti annerano,
cupi s’infuriano,
decade il caldo giorno,
è van sperare.

Or che mai è oltre la Manica?

Forse l’ossa mie posano
al suolo gelido,
e maledico il campo
della tenzone.
Presto dovrò combattere
un Mostro orribile,
è del Demonio il lampo,
Napolëone.

Sarà una guerra inutile,
crudele e in tremiti,
e a un tiràn ve n’è un altro,
pace beffarda,
e morirò tra i giovani
nel giuoco ignobile
d’un trono immenso e scaltro,
legge bugiarda.

Or che mai è oltre la Manica?

Con la sua rossa barda,
terribilmente combattendo muore
un uom che dice addio a Vita e ad Amore!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Sabato VI Giugno AD MMXV

giovedì 4 giugno 2015

Il Cantico di Pontiac alla Figlia

Figlia mia, guardami,
e vien vicina
nel lungo viaggio,
e intorno osservale:
la fresca china,
e là, il villaggio,

e i nembi liberi,
la prateria,
e i nostri monti
che nivei splendono
di Poësia
per gli orizzonti.

Figlia mia, prendimi
le mani e meco
rema a quest’onde
del fiume intrepido,
un flutto cieco,
d’acque errabonde,

e guarda: i flebili
boschi, gli abeti,
le rive in fiore,
tra i nembi l’aquila,
e gli irrequieti
passeri; e il cuore

donna, fortifica,
scorriamo insieme
questo torrente,
quest’alghe, ed apriti
all’ansia speme
d’un uom gemente.

Figlia mia, Spiriti
ci stanno intorno,
son tutelari,
non temèr, chiamano
in Notte il giorno,
i stral lunari,

e allor contemplale:
le nostre terre,
strette nell’ira
d’un volto pallido
che sparge guerre,
in folle spira,

i quieti pascoli,
l’erbe e il bisonte,
e il sconfinato
nel ciel crepuscolo,
il fresco fonte
intemerato.

Figlia, avvicinati,
al padre stanco
che t’ha voluto
sul fiume, vindice
dell’uomo bianco,
volto perduto,

e che va incognito
agli Appalachi,
tribù cercando,
che sugge l’acido
dei tristi bachi
quasi ansimando;

e non far tremule
smorfie. Paüra
non devi avere,
lo vuol lo Spirito
della Natura,
del tuo dovere.

Siamo due intrepidi,
due vagabondi,
strazi e ribelli,
siam come i fulmini -
quelli iracondi -
tetri di pelli.

Figlia mia, vòlgiti,
è il tuo Destino,
sei la guerriera
di questi miseri
spettri in cammino
per la riviera,

e sulle ruvide
selve insicure
andrèm a urlare
guerra alle candide
impronte oscure
di lor che il mare

un dì varcarono
per schiavizzarci,
toglierci il vento,
tenebre d’uomini,
per denudarci
pe’ un po’ d’argento.

Figlia mia, ascoltami,
noi moriremo
per l’avvenire.
Quel giorno - l’ultimo! -
insièm saremo,
un sol soffrire.

Perché nell’anima
il Pellirossa
ha tanto cuore.
L’invidia il pallido,
freddo com’ossa,
freddo d’Amore.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

In Memoria di Pontiac, capo degli Ottawa, che resistette in armi alla prepotenza coloniale inglese e che tra le sue tribù fu modello di umiltà e di virtù.



Giovedì IV Giugno AD MMXV

mercoledì 3 giugno 2015

1815 - Ode all'Estate fiamminga

Foreste oscure s’ergono,
dove l’estate splende,
e il bosco lieto apprende
dei fiori il sospirar,
e i ruscelletti scorrono,
flebili e dolci e freschi,
e i fiorellìn dei peschi
son prossimi a mutar.

I passerotti cantano
pei nembi le canzoni
di tenere passioni,
è il tempo dell’Amor;
e fresca cresce l’edera
sui rami dei carpini,
e quieti i cardellini
cinguettano tuttor.

Il vento soffia tiepido
sulle felici foglie,
dimentica le doglie
del gelo che ormai fu,
e i platani solletica,
le cerule betulle,
e i crin delle fanciulle
sfarfallano ancor più.

I frutti s’anneriscono
dell’acido sambuco,
il nettare del fuco
diventa intenso miel,
e le campagne brillano
di grano in spighe bionde,
le nubi vagabonde
s’alternano nel ciel.

I colli intorno s’ergono,
e miti sono i monti,
l’abbeverate fonti
rispecchiano del Sol
i caldi stral, i fulmini
che cullano le rade,
le giovani contrade,
dei semi il nero suol.

I contadini sudano,
raccolgono il frumento,
dall’alba al vespro a stento,
e scalzi n’hanno i piè;
e i loro carri scorrono
per i gentil sentieri,
per i crescenti peri,
e premono il pavé.

I Tempi estivi giungono,
è giunto il caldo giugno,
afferra nel suo pugno
questa Natura intièr,
e a sera i nembi altercano,
minàccian la Tempesta,
ma qui ben più funesta
la mano è del guerrier. 

Son due i Titàn, si sfidano
nel corso del Destino,
calpestano il Divino
che irato si tuonò.
Le Furie apprender bramano,
voglion mutar la Storia,
si vestono di Gloria,
ma l’Erebo ‘l chiamò.

Ecco! I Demòni giungono,
qui è lo Sterminatore.
Pietà di lui, Signore,
chè ignora quel che fa;
e queste schiere orribili
vogliono la battaglia,
vèston la ferrea maglia
che il Fato insano dà;

e qui a versar s’apprestano
i martiri il lor sangue,
e il giovane si langue,
e nel pugnar ne muor.
Giugno mendace e ipocrita!
Senti suonar la tromba,
odi scavar la tomba,
sei un fiore di dolor!

Si dice: «Sarà l’ultima
guerra tra l’uom esausto».
Ahi, quale detto infausto
che invita allo sperar.
Sono trascorsi i secoli,
e questo mìser uomo,
centesimo d’atòmo
si vuole assassinar.

Le stragi non s’imparano,
di Pace è stirpe indegna
quella che umana regna,
dominio del Destin.
E Tu scendesti i nugoli,
soffristi pel peccato,
e Tu accettasti il Fato
d’un schiavo e d’un meschìn!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Mercoledì III Giugno AD MMXV