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lunedì 14 settembre 2015

A Giuseppe Verdi, ovvero Impressioni sulla Romanza Dal Labbro il Canto estasïato vola, su un Sonetto di Arrigo Boito

Suonava il corno e, - l’orizzonte, e - le brume - e
sovveniva il danzàr dei folletti, e…
e il tuo, e - il tuo! - cuore, - oh vecchio, udiva: e un Nume
cantàr, e - il ciel a farsi Notte, e - aspetti

di Ninfe urlare; e - intanto ordiva un fiume
del regio parco i fermentati - e tuoi – affetti, e
singhiozzava la nòttola implume, e
tu, oh! qui tempravi: e note e, - flauti - e a getti

la Musica tua cantava. E - due ombre ansiose
dei tuoi violini, oh! or vennero. - Amanti
l’una nel braccio dell’altra; e - le rose

erano insonni, e - tra i platani - eran spasmanti. E
tu, oh vecchio Genio, urlasti - ombrose
frasche dell’arpa - e, erano singhiozzanti

i tuoi giovani! E i tuoi canti! E
erano le lagne - oh! - dell’Amore - oh! -
un fosco singulto d’eterno dolore! Oh

tu, vecchietto! Oh festanti
oboi d’un Dio che - mai! - vuol riposare,
ascoltate! - La Luna vien sul mare; e

la tua Musa, oh vecchio, - che hai davanti,
che mai t’ispira? - Canti; e i
tuoi corni dissero urlanti:

«Bocca baciata non perde ventura;
anzi, rinnova come fa la Luna».

Allor tu - oh! - descrivesti un ultimo bacio,
un baciàr tra due labbra romantiche - oh! -
e - a contemplarlo, - io - mi prostro e - mi giacio, e…
e sento le tue viöle - esse! asmatiche! - oh! -
e fu tuo il pennello di quest’Arte che muore, e…
e scrivesti - ahi! - il funerale
d’un’epoca che spira in scialbo strale,
laddove vinse l’Odio sull’Amore;
e tu, dicevi addio - addio al tuo Busseto, e …
e a un Mostro urlavi, - e al Destino irrequieto!
Vìver, soffrire e, - gemere e - dolère, e
poi come il Sole si va a decadère. E
piace a Iddio ridere e - ridere per ultimo!   


Massimiliano Zaino di Lavezzaro. Nota d’Autore: il Distico segnalato in Corsivo e messo in Discorso diretto tra Virgolette, è di Arrigo Boito, che m’è sembrato giusto citare dalla Commedia lirica Falstaff, Atto III, Parte II, Scena I.

In Memoria di William Shakespeare, di Giuseppe Fortunatino Verdi e di Arrigo Boito



Domenica XIII, Lunedì XIV Settembre AD MMXV

martedì 28 luglio 2015

Luna

Alfìn la sera e tra le nubi e i spini
timidamente viene, e scialba e bruna
nei ciel oscuri e ai boschi va la Luna,
cranio d'un vespro che regge i Destini.

Funereo argento così abbraccia i pini,
e d'insonni arboscelli è la laguna,
e il falbo teschio predice una runa
ai salici e alle querce e ai pioppi albini.

Qual è, oh qual Fato, nasconde una cuna
agli orizzonti tristi, e freddi e alpini?....

Allor il plenilunio che ora ammiro
vibra, e trillando mi ghermisce il cuore,
dove s'annida il fior di mie canzoni;

e l’orba Luna or regna il mio respiro,
e m'è mistero - e sarà gioia o dolore? -
ed ella è un lampo che in ciel prorompe in tuoni.

Plenilunio è funesto! E il suo bagliore
sulla mia arpa si perde in muti suoni!

Sepolcro è di passioni:
e dopo il vespro a far dormir le grotte
dov'io riposo, ecco! giunge la Notte.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì XXVIII Luglio AD MMXV

martedì 17 marzo 2015

La Morte di Mameli

Stretto in mano e in sul petto ‘l tricolore,
al vento ei si lagnava d’empia Morte,
quei che ‘l stringeva ne fuvvi ‘l cantore
e al spirar ne mirava l’ombre assorte.

Pel guerresco soffrir piagnea e all’assorte
nubi del cielo ei n’orava e al Signore,
e presso le celesti e invitte porte
all’Italia volgeva ‘l suo dolore;

e velato e scomposto e ‘l ciglio e il core
pell’alta Patria e a Iddio spirò da forte,
cui e al natio suol ne spremette l’Amore,
speni e antiche e possenti e mai risorte.

La sua lacera gola or sanguinava,
e in sulla fredda terra ei si giaceva,
donde co’un spiro alle sfere ei cantava:

cantò l’Inno guerrier che gli doleva;
e in mezzo a tanta e bianca e rossa bava
al Signore dei Giusti si volgeva,

e morendo diceva
alla Patria soffrente, e nostra balia,
co’ singhiozzi feroci: «Viva Italia!».

lunedì 9 marzo 2015

I Sonetti dell'Illusione primaverile

I. Un Sogno illusorio

Un illuso sognar la Primavera
a marzo si discende, e ‘l cielo fresco
d’oro si splende fin quando la sera
febbrilmente si tace; e un fior di pesco

dolendo ammutolisce, e a una riviera
d’alveo d’un rivo - dell’upupa un tresco -
alle nubi ne canta una preghiera,
e all’orribile Luna, occhio donnesco.

Ma in queste pur amene imago i’ spiro,
or forse chè ne veggo ‘l verno ancora,
forse che al core mi giova un martiro.

Così a queste campagne e a’ Notte mora
co’ gemiti nell’alma i’ qui m’aggiro,
e l’alba che s’annunzia ‘l pianto infiora.

Nel ciel albeggia aurora;
ma del Sole allo stral giulivo e ustorio
la vera qui m’appar sogno illusorio.

II. A un Usignuolo

Ma che allieti, oh cantor, nel ciel che splende
nel mare delle gemme e agli arboscelli?....
Succube e impervio d’un sogno che attende
Morte, non è che ‘l cantar degli augelli;

e tu perennemente al Sol che fende
i nugoli pallenti or voli, e a’ belli
rami, o usignuolo, e le seriche bende
de’i germogli ne cingi e i sanguinelli.

Eppur cotesto gaudio, e questo canto,
e ‘l rostro che s’allieta e che ne sogna,
o misero, non è che un queto pianto

dianzi a perenne e crudele menzogna;
e sappilo: così che ‘l verno affranto
ancor non è, e qui provane vergogna.

Canti la tua zampogna
una nenia di strazio a un funerale,
e se un gaudio ne vuoi, va’, e schiudi l’ale.

III. Un effimero Fiore

Cingere un fior e tenerselo al petto,
illusione d’un folle! E ‘l stel si muore
poscia un attimo sol di Vita e affetto,
pe’ un giorno si permane ‘l debil core.

Questa rosa che tieni e in bell’aspetto
presto non fia che uno stame in pallore,
e svelto troverai all’albo cospetto
uno scheletro scialbo, un reo dolore.

Lascia morire in tra l’erbe lambite
questo fior che qui vuol la sepoltura,
qui in tra l’ortiche e le terre smarrite,

nel greto innamorato; e alla Natura
le lagrime ne spremi, e l’assopite
speni abbandona in cotesta radura!

Vita: corolla impura,
mendace fiorellin di Primavera,
breve ‘l meriggio, e perenne la sera.

IV. L’Illusione della Primavera nella Notte

Nella Notte si tace ‘l flebil vento,
e i fiori del mattin si dormon queti,
e ‘l stelo non esiste, e un turbamento
cupo di Morte s’aleggia in su’i greti.

La tenebra s’inghiotte ‘l torneamento
delle gemme e de’i pruni e degli abeti,
e lugubre e straziante un Sentimento
a me chiede: «Che scorgi, a’ rami inquieti?».

I’ la sola ne scorgo eterna Notte,
ombre di spettri, e né vera e né verno,
e inesistenti fior defunti a frotte,

e dell’inquieto viver l’orbo perno,
e le cime lontane e l’orbe grotte,
e un dolor inconsutile ed eterno.

Immagini dell’Inferno!
Nella tenebra giace ‘l re del Nulla.
Niente la Notte nel bosco ne culla.

V. Una Rimembranza

Piango perché ti rimembro in tra’i boschi,
quando i dadi del Fato a te i’ giuocava,
perché mi fuggirai - per sempre! - e i foschi
attimi eterni co’i quai i’ ben t’amava.

Allor questo recordo a’ folli chioschi
di Vita dissipata or va - e ‘ve i’ andava -
riversandomi fieli e amari toschi
al labbro che nel sogno un bacio urlava.

Ho scommesso la Vita; ma ho perduto,
ogni desiro d’Amore si cade,
e in sul ciel mi rimane questo liuto,

nudrito di soffrenti e infauste biade;
e svenandomi eterno i’ giaccio muto,
tacito e freddo, e ‘l dolore m’invade.

Ascoltate, oh contrade:
questa che gemo è una fioca romanza,
dolce e funesta e crudel rimembranza!

VI. Un Cervo

Agile salta pe’i freschi ruscelli
un giovine cerbiatto, e in vêr l’aprile
queto d’erbe si pasce a’ sanguinelli
che n’allumina ‘l Sol primaverile.

Svelto si balza a una roccia, e gli augelli
lietamente n’ascolta, e a’ un fior gentile
d’una cerva l’Amor ne sogna e i belli
crini del manto di bruno fienile.

Al meriggio d’un pruno all’ombra oscura
serenamente posa, e giace prono,
e sonnecchiando ammira la Natura,

del fringuello soäve al lieto sòno.
Ma d’un tratto per questa e pia radura
da un platano selvaggio iscoppia un tòno;

e ‘l bosco all’unisòno
lo ripete, sperando un fior d’Amore.
No: oh cerbiatto, t’inganni: è ‘l cacciatore!

VII. La prima Viola

Di porpora si splende all’erba ansiosa
una viola che aulente al vento gira,
e ‘l ciglio d’oro or pinto in guancia ascosa
tra l’aëre gentil soffia e sospira.

La Quaresima annunzia e forse sposa
coteste tinte di lugubre lira,
e in sul prato si giace dolorosa
‘ve ‘l vespro che sen vien ormai n’ammira.

Sa che alla sera la Morte l’attende,
la tenebra infeconda, e un immortale
verno la cinge, le strilla, la prende

nel murmure crudel del maëstrale;
e in gemiti a un sepolcro si discende,
nell’oscuro del bosco, e al suol fatale,

e al suo reo funerale
pur ne veste i funerei paramenti,
nostalgici e feroci Sentimenti!

VIII. L’Illusione della Foresta

I germogli si stanno a’ bagolàri,
e i frassini e i pineti in mezzo a’ voli
rifioriscono lieti, e i pioppi cari
carchi ne sono de’i dolci usignuoli.

Ma in tra’ questi silvestri e queti mari
un illuso sognar sen va pe’i suoli:
tetri precando in vêr Ciel tutelari
colle scuri sen van i legnaiuoli.

Allora si morrà ‘l pioppo e ‘l carpino,
e cadente ‘l castagno, e ‘l tiglio e l’orno,
svelti trafitti da insano Destino,

nello stral che si brilla, ‘l Sol, nel giorno;
e pur l’eterno e altèro e veglio pino
si sciorrà nel sonàr d’un freddo corno.

Così si spira adorno
del primiero fogliame ‘l bosco, e muore
pallido un occhio di tremulo fiore.

IX. Rovine di Campagna

L’erba fresca si cresce al sasso osceno
d’un casinìn nel bosco, e a’ tetti spenti,
e l’èdera in su’i muri, e a un ferro ameno
d’orrida stalla percossa da’i venti.

L’avìte stanze al cui guardo i’ mi peno
di focolar l’impronte e i rei tormenti
a’ nugoli ne mostrano e un veleno
di fiamme e di dolore a’ pavimenti.

Fu un casolare ch’ardea in su’ un sentiero,
nella vera che splende e si ripete,
e ora in tra’i pineti si pinge di nero,

tra le fronde che stanno all’aura liete;
e lungi or n’assomiglia a un cimitero,
in rovine mutato, e in muta quiete.

Or così ‘l Tempo ‘l miete,
e l’anno si diletta or col raccolto
del muro che marcisce del suo volto.

X. Frammenti di Sole

Andando alle campagne i’ scorgo ‘l Sole
che in tra’i nembi si splende in vêr la vera,
e ‘l guardo i’ ne distendo a un stel di viole
che fioriscono liete in falba schiera.

Ma i’ contemplo a un ruscel la viva mole
di questa stella aprìca, e in aurea cera
questo suo stral si moltiplica a’ gole
dell’acqua che si scorre a un ciel di sera.

Allor mirando i’ veggo a’ cristalline
onde, gl’intensi d’un astro i frammenti -
in tante stelle aprìche - e all’acquitrine

brillar i mille Soli al spir de’i venti;
e ‘l speglio si rimane e a’ rive e a’ chine,
d’oro tessuto e d’àlighe e argenti.  

Eppur in tai momenti,
nel giuoco di quest’onde ‘l Sol si piega,
scorre lontano, e in mister lì s’annega.

XI. A una Primavera di Montagna

Ti rimembri le selve e i monti e i rivi?....
Inseguimmo le cerve, insieme, al fianco,
e all’erte faticose andammo, e quivi
un valico ammirammo in ghiaccio bianco.

Le foglie ne rammenti e i bei e giulivi
salci nel svelto fugare del branco?....
Ammirammo del Sol gli strali vivi,
e ‘l meriggio in sul vespro in volto stanco.

Oh queta Primavera di montagna!
Pelle balze scendemmo - e lieti e uniti -
e contemplammo i ghiacci e la campagna,

e i rocciosi Titàni e i nivei liti;
e in cantici di dolce e tenue lagna
lì i’ n’aspettava i tuoi passi smarriti.

Son recordi infiniti
che a me giova sonàr al mesto liuto
spasmando in rimembrar tempo perduto.

XII. All’Orizzonte

I’ non so che diparta all’orizzonte,
se ‘l Sole del mattin, oppur la pioggia,
e ancora i’ ne contemplo a un veglio ponte
la bruma de’i ghiacciai che ovunque appoggia.

Tònano i nembi - mugghiar d’un bisonte -
e ‘l nebuloso ciel splende a una roggia,
e lontano l’aurora un negro monte
lentamente n’annunzia e cupo ‘l foggia.

Nel meriggio sarà così l’aprile,
o ‘l prolungato verno, e i’ in ansie aspetto
scorger nel cielo la spira gentile

della vera che sorge, o ‘l ghiaccio schietto;
e cotesto mistero è folle e vile,
e al labbro mi raggela in fin un detto.

A un incerto cospetto
di perenne soffrir mi giaccio, e altèra,
beffarda e illusa va or la Primavera.

XIII. Il Cinguettio degli Augelli

Un cantico funereo allegro e in Vita
l’augello ne cinguetta a un ramo spoglio,
lieto alla Morte la vera concìta,
e la gemma che cresce e ‘l bel germoglio.

Allora la sua voce all’infinita
aura s’espande e si spasma in su’un soglio
d’una tomba feroce e rea e avvizzita,
e d’un mare ne cinge un freddo scoglio.

La Natura donò a’ cotesti augelli
l’allegria di lagnar canzon di Morte,
quivi, in su’i verdi e nascenti arboscelli

‘ve le gemme si stanno e son contorte;
e cantano in sull’acque de’i ruscelli
l’essenza della Vita: estrema Sorte….

E morirà da forte
questo canto bugiardo, ‘l cinguettio,
e lo rimembrerà soltanto Iddio!

XIV. Rimembranza d’un Maggio perduto

Come a maggio m’appar un tempo lieto
dove mi volgo a’ melliflui sentieri,
come un sogno che giunge al labbro inquieto
nel tremulo volar degli sparvieri.

Allora d’un ruscello al lieve greto
mi soffermo, e ne penso: i fior leggeri,
i gelsi e i gelsomini e un pio canneto,
e della vera i ciel or lusinghieri.

Ma nel cor mi s’ammanta un pianto antico,
nell’erbe del recordo un’empia cura,
e lagrime mi vanno al sasso aprìco

lungo le ripe di torva radura;
e quivi ne arrossisco a un giorno amico,
e l’Amore mi fu e sogno e sventura.

Così in questa Natura
mesto contemplo l’infame Destino,
vagolando in eterno e in reo cammino.

XV. Una Scommessa di Primavera

Un giorno i’ scommetteva a dolce rosa,
qual danari giuocavo i Sentimenti,
donde si nacque malìa avventurosa,
la Sorte che infuriava al cor de’i venti.

A’ suoi petali etesi e all’amorosa
Corolla i’ ne gettava i dadi e a stenti,
cosicché i’ n’azzardaj la Vita ansiosa,
tra la Morte e la spene e i pianti ardenti.

Ma ‘l Destino sen stava ascosto e pronto,
donde i’ perdeva, ‘l respiro pur anco,
e misero di speni in bieco affronto

allor ne rimasi, e sanza ‘l fior al fianco;
e al sospiro i’ ne piansi, e al mio racconto
tuttor d’amar mi reputo stanco.

Così impazzendo manco;
ma felice ne son d’aver scommesso,
e ‘l core questo fiore ama lo stesso.

XVI. Illusione del Tempo di Pasqua

Rimembro che sorgea la nova aurora,
e ‘l tempo trascorrea sacro e pasquale,
e i’ col Fato nel core di Pandòra
spasmando ne rompea ‘l suggèl fatale;

e al volto del Risorto - e ciò m’accora! -
su di me si proruppe un folle male:
i’ amava una ninfea di Notte mora
nel biondo luccicar dell’Immortale.

Annegai in sul Destino, e i’ giacqui in pianti,
da questo fiorellin i’ trucidato
fui nella vera di teneri manti….

Oh terribile Fato, empio, esecrato!....
Allora i’ ne cantava i queti canti,
lacero all’alma, nel core umiliato.

Me istesso i’ ho fatto odiato;
e la vera annegava in questo fiore
di perduto e di folle e insano Amore!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



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