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giovedì 27 agosto 2015

Mestizie poetiche della Gioventù d'un Poeta visionario

Forse a te scrivo, oh intemerato Nulla,
e penso: Sogni e Vita,
un duälismo perenne, fanciulla
della Sorte svanita;
o forse alfine naufrago nel cuore
nell’immenso dolore,
nel ricordo di quel che un giorno fu! E

non fu che un incubo
la giovinezza,
la malediva
nel ciel un angiolo,
la fredda brezza
d’alba corriva,

la consumavano
i muti pianti
presso una via,
dove tra spasimi
urlàvan canti
di Poësia,

e ora precìpitano
l’estive foglie
intenerite
dal giorno pallido
che le raccoglie,
ombre ingiallite.

Rimane il palpito
d’un sogno amaro
che lento muore,
e quest’Ocèäno
m’è pur sì caro
nel terso cuore;

e mi domando a che il Tempo sia questo,
dove ho vissuto da inerme Poëta.
Così irrisolto e con lo sguardo mesto
non mi resta che vìver l’irrequieta
giovane Vita, invecchiata nei sogni;
e tu, cuor mio, perché non ti vergogni?

Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Giovedì XXVII Agosto AD MMXV

lunedì 24 agosto 2015

Epitaffio macabro d'un Visionario ai suoi Sogni

Non son che un visionario, un uom di sogni,
che odia la Vita che fugge maldestra.
Ma tu, oh tu, cuore mio, non ti vergogni?
Senti? Non sboccia l’aulente ginestra?
Grida il deserto, e sono solitario,
e nelle vene serpeggia un lamento.
Lo vuoi sapèr? Tu, oh tu, fuggèvol vento?
Ecco le lagne d’un cuor visionario!
Scruto lontano l’immenso orizzonte;
non vedi il Sole che cade da un monte?
Il crepuscolo grida, e vien la sera,
un bronzo suona una dolce preghiera.

Un dì verrà nel ciel l’eterno mare,
e saranno tramonti
in quest’onde di vetro, e io dovrò urlare
i miei racconti;
quando sarà nel roseo Sole il Fato,
sogni mendaci, e quando
mi desterò da un sonno intemerato
d’un sogno blando,
e fuggiranno i pellegrìn respiri
del visionario cuore,
e quando il vespro sarà Notte, e l’iri
cadrà in dolore,
saprò morìr consapevole e stolto
delle vanità asperse
là, quando il pianto cadeva dal volto,
le guance terse,
e il sogno muterà in un verme ai fondi
dei suoli sepolcrali,
e urlerà un tuono dai nembi iracondi
tra i maëstrali.
Un giorno giungerà la Morte, oh sogno,
e vedrò questi inganni
che pur mi sono inflitto, e mi vergogno
dei loro affanni,
e sarò un occhio maldestro e soffrente
spento dai desidèri,
e a te, nel cuore e nel fior della mente
brilleràn ceri.
Saranno vani gli istanti d’insonne
sognàr di Poësia,
i palpiti del cuor, le ambite donne,
andati via;
e quando all’alba urlerà una campana
sul vôl d’una colomba,
vedrò la Vita che s’è fatta vana
scender la tomba,
e sarà l’urlo dei miei patimenti
e del lungo mio canto
nient’altro che la nenia e i Sentimenti
del camposanto,
e rimarrà che un vivo sogno in petto,
l’ultimo sogno mio!
Da questa vanità son stato infetto;
mi resta Iddio!

Ma nei pensièr che rifletto e che grido
tuttora il sogno procede in furori.
Non avrò, dunque, un solitario nido
dove il silenzio avrò, se non dolori?
Sepolcri! Nenie! Sospiri in agguato!
Non son che un’ombra che soffre il Destino,
cui resta il sogno d’un giorno divino!
E sempre giaccio; e sono addolorato!
Perché sognàr? Perché? Dìmmelo, oh cuore!
Perché lambìr questo sogno che muore?
E in questa mente che sogna smarrita,
perché? perché non posso aver la Vita?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Lunedì XXIV Agosto AD MMXV