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martedì 20 novembre 2018

La Gioia dei Mosti di Novembre

Il Nevischio

Cala il nevischio allo svanir di nebbie. E

mi sovvien allor la sera; e m'è d'annunzio
del verno che la sua labbia a me volge.

Oh nevischio... nevischio mio candore!

Figlio conteso del verno e dell'Autunno,
illegittimo il tuo nome sacrato

alla vergogna di queste stagioni!....

Prole di piova e di ghiacci vigliacchi,
nascosti nell'amplesso delle nuvole!

Illegittima brama de' i singulti

di Novembre che alluminano il cielo
di freddezza inumana e furibonda!

Oh nevischio... nevischio, freddo nido

degli aironi cinerin de' i campi
che tèmon tua gagliarda gioventù

di sì pasciuta neve! Oh mio nevischio!

che come brina scendi alle lanterne
della sera e di vie rese intristite 

dall'empia solitudine del vespro,

nelle qual io m'aggiro avvolto in manti
d'altrettanta mestizia. che al par tuo,

nel cuor mi covo, vagolando altrove,

nel seno de' i morbosi Sogni! Oh caro
nevischio! Ombra invernale su' i miei passi!

Fia così che la neve appressa tacita

a precipitar su' miei occhi assonnati.
Oh eco della bufera! Ahi triste!.... Oh Oblio 

della Notte perenne e del profondo

sonno di questo piccin, pìccol mondo!
Scuola russa dei Peredvizhniki (I Vaganti), Inverno, Tardo-Romanticismo russo, Fine Secolo XIX
Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì XIX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

Il Brindisi autunnale

Può un sorso di vin buono in questa gelida
steppa di risaie rallegrar la sera?....
Bevi! Il suo liquor sorseggiando, oh Autunno!

Bevi i giambici versi della mia Ebe!....
E poi, ebbro, vai... va' a intristire la Notte,
a nevicare il tuo pianto d'ubriaco...

a prenderci per mano a ricondurci
a' tuoi covi segreti, ove Proserpina
dorme, Ade abbracciando, il rapitore!

Ma Novembre ora è stanco anche di vino.
La Luna bianca riflette la neve
che presto scenderà a coprir i tetti.

E noi ridenti alziam il nappo estremo
per l'eterno silenzio dell'inverno.
Scuola russa dei Peredvizhniki (I Vaganti), I Cosacchi, Tardo-Romanticismo russo, Fine Secolo XIX
Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

Fantasia norrena - Sette Rune

I. Freya scalda il vino che Froh le dà, il povero
burlone. Forse il menestrello brama
in cambio una delle sue eterne mele
che son pegno d'eterna gioventù.
Forse lo stolido aspira soltanto
a un bacio dalle sue labbra di fuoco.
Oppure vuol donare quest'ebbrezza
di dolci tralci alla figlia di Wotan.

II. Sulla scogliera Lorelei diffonde
lo sventurato canto; e legni e prue
consacra ai cari suoi abissi di Morte.
Non s'accontenta, infatti, del suo mosto;
ma vuol ber anche il sangue vagabondo
de' i timidi pescator di sue perle.

III. Freya ha ordinato che sia festa. Ma manca
la gioia del vino bevuto da' i corni
delle sacre cerbiatte de' suoi boschi.
Chiama il fratello Donner con sua dolce
suadente voce; e mentre il menestrello
con Loge litiga e contende un fuoco,
ella domanda: "Ma dov'è finito
il cacciator delle mie cerve? Il vino?".
Donner la guarda, le sogghigna e ride.
Poi risponde: "Ne' tuoi bei desideri!".

IV. Hundig abbaia, la Notte insultando
e di Wotan la stirpe abominevole.
Cieco è negli occhi abbagliati dal vano
fuoco di Luna.... Ha bevuto troppo!
Ha alzato al cielo più corni di quelli
che la Gioia del suo cuore richiedeva;
e ora, dinnanzi agli ospiti stranieri,
in mano tiene l'acciar di vendetta.
Per qualchedun non vi sarà più l'alba!

V. Beve Flosshìlde il vino di Novembre,
e una goccia s'appoggia al suo mento.
Le serve forse il bacio ripugnante
de' Nibelunghi? Quella lingua infame
l'ora non vede di solleticarle
appena sotto le labbra fiammanti
di giovinetta! Ma beve Woglìnde,
anch'ella! la maliarda pia Sirena,
il mosto giù mandando con il collo
e il petto un po' sollevato dall'onde
impudiche! E poi beve la sorella
Wellgùnde... su uno scoglio appen seduta.
Deh! guarda, Nibelungo! Il mosto
cola leggero sopra il suo bel seno.

VI. Giace con la nuca al petto ignudo
del risvegliante Eroe l'alta Brunnhìlde.
Sente il suo cuore che palpita ancora
a diletti commosso della carne
e dell'Anima prode. E poi lo guarda,
e gli sorride. Le ciocche di biondi
capelli appena le coprono il seno
ad Amor profanato da' suoi baci.
E Siegfried con la destra allor le mette
al labbro, dopo tanta Notte allegra,
il calice nuziale delle Dee.

VII. Erik osserva l'orizzonte esausto.
I serpenti del mar non l'han voluto
nel loro Regno d'ignoti naufragi.
Lontana sta la terra. Sembra un'isola.
Sulla collina le gagliarde viti.
Questa sera si beve il vino buono!
J. Doyle Penrose, Freya, Preraffaelliti, Tardo-Romanticismo inglese, Fine Secolo XIX
Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

Meriggio tra i Campi

Passo il meriggio ne' Sogni sconvolto.
Guardo la nebbia che viene e svanisce.
Siedo appoggiando le spalle a un covone.

Chi fischia le canzoni dell'Autunno
che baldo incede tra' campi mietuti?....
Chi sugge il fango dell'ultima piova?....

Penso!.... Odo l'urlo d'un'esule rondine,
il piccol becco che trema d'un passero.
Sento che il verno è prossimo a venir.

Oh Novembre!.... Sepolcro d'insepolti
vivi pensieri! Come mi sei freddo
per queste paglie umide di nevischi!

E mi è amara la spiga che ora al labbro
porto per assaporare il tuo declino!
Scuola russa dei Peredvizhniki (I Vaganti), Gli ultimi Boiardi, Tardo-Romanticismo russo, Fine Secolo XIX
Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.




lunedì 30 novembre 2015

Das Freyalied - La Canzone di Freya

VIII. Preludio poetico. L’Idillio delle Vette

E Freya e l’Elfo sen vanno verso il Regno
dei monti degli Dei e delle lor Dee,
dove grida la lancia dei superni
patti di Wotan, e di Fricka il pianto
sui folli ardori dell’infedèl sposo.
E vanno… e vanno per sentièr ombroso,
timidi e muti, l’un l’altra d’accanto,
e i vàlichi ne sàlgono - quei eterni -
tra i lieti boschi e i stagni di ninfee,
l’Elfo compiendo il meritato pegno.
E nessùn conosce dell’indegno
Alberico le gesta oscure e ree,
e vèggonsi dei scorsi e antichi inverni
d’intorno i ghiacci, e gli imi e tenui colli;
e tra le nebbie e le nubi dei monti
l’ombra s’ammira del Reno divino,
donde le Ninfe lamèntano invano. E
quest’ombreggiàr or sen va più lontano,
e svanisce tra il faggio, e il sterpo e il pino.
E a Freya e all’Elfo si schiùdon gli orizzonti
delle montagne primigenie e molli.
Sempre silenti e con i passi folli
costòr pàssano or gli antri e i lignei ponti.
Così d’intorno non hanno che cime
lievemente innevate e maëstose,
e ora sàlgono… e sàlgono più in alto.
Sulla vetta più immensa sta lo spalto
degli Dei fatto di grotte e d’ombrose
pietre; ed è il Regno divino e sublime. E
scòrrono i rivi e i torrenti sull’ime
vallate e sulle foreste rocciose.
Così Freya ammira le montagne, e muta
l’Elfo seguendo coi passi procede
senza fatica sulla pietra, e scruta
l’alpìn sentiero che dinnante ei incede,
roccia selvaggia che è ancestrale e cruda.
D’in su’ un dì solo ell’è nata e vissuta,
e allor meravigliata intorno vede,
e i monti apprezza, mentre l’Elfo sputa -
affaticato or dal vino e dal piede -
selvaggiamente sulla terra ignuda.
E Freya contempla i castagni e gli ontani,
e i faggi e i canti dei lor uccelletti,
e nei boschi gli alberghi dei buon Nani,
i divi Gnomi sotto i salci freddi. Ed
è questo il loro bosco: i bassi aspetti
le fanno inchini e dìcono d’arcani,
e poi si còpron sotto i loro tetti,
le foglie antiche dei ramoscèl secchi.
E Freya ancòr sale… e sale e giunse al passo
dell’Alpe dove si geme pel lasso,
e qui si schiùdon tremende e funeste
delle Valchirie le triste foreste.

Sièdon le donne sulle rocce sante,
avvolte in manti di pelli e di penne,
e sopra i pepli tèngon l’armature,
gli usberghi ferrei sul petto e sul seno,
e con le destre impugnano e alabarde,
e fredde lame e irrisori pugnali,
e lungo i crini gli elmi della guerra,
e sotto, i volti guerreschi e gentili,
e altre bèvono le resine amare
delle querce fatàl, delle betulle,
e ivi cantano… e cantano alla Morte,
Furie soävi del truce Destino.
Ed esse sono belle e sono tante,
e brìndano coi corni delle renne,
e dòminano fiere queste alture,
ed esse son protettrici del Reno.
Hanno mantelli oscuri, e fulve barde
tinte del sangue dei Prodi mortali,
e solo un loro sguardo un Eroe atterra.
Apprezzano i valenti e non i vili,
e allòr sàlvano i primi dalle bare,
terrificanti e furiose fanciulle
che agli orizzonti e su’ in ciel son assorte,
Figlie di Wotan, possente e divino.
Còrron pei boschi e sèllano i destrieri,
e vanno… e vanno alla caccia dei cervi,
e dei cinghiali, in man gli archi funerei,
dove le fonti zampillano quiete,
all’ombra dei castagni di montagna,
affamate di vittime e di fiele.
Saltèllano… e saltèllan pei sentieri, e
i desti sensi son qui i loro servi,
occhi acquitrini e celesti e cinerei,
e fiuto che di sangue ha sempre sete,
e labbro che di sangue ognòr si bagna, e…
e questo sangue è come ambito miele.
Ma pur costoro s’inchìnano a Freya,
ed Erda, Erda - oh Erda! - più truce ne abbaia.

«Freya, non temère! Presto arriveremo!»
l’Elfo sogghigna alla tremante Dea.
«Freya, non temère! Presto arriveremo!»
ancòr aggiunge ei a quel fior di ninfea;
e poscia il bosco di queste Valchirie
ulula un lupo che vive di giorno. Uh! Uh!
Ella ingenuämente ha un po’ paüra, e
d’ogni Valchiria e del ghigno ululante.
Ma nel frattempo d’ogni senso è amante:
di ciò che mira e sente, e di Natura.
Forse va rimembrando il fresco Reno,
e le tenzoni con Lorelei, e i canti;
ed ecco che qui v’è l’arcobaleno
che degli Dei le annunzia e l’antro e i vanti.
E l’iri è bella, e ordita d’adamanti,
della Notte e del giorno è una lucerna,
d’Erda la creätura più superna,
d’Erda infame, ingannatrice oscura.
Or Freya contempla la vicina altura,
delle divine grotte il soglio urlante.
Oh quant’è ingenua, e lieta ell’è dinnante,
ella, sì, delle Dee la Dea più pura.
«Vedi quegli antri che stanno sul monte?
Sono le regge dei nostri fratelli.
Vedi quegli antri che stanno sul monte?
Degli Dei sono i sassi ardenti e belli».
E poscia il bosco di queste Valchirie
ulula un lupo che vive di giorno. Uh! Uh!
E Freya s’appresta a conòscer gli Dei.
Erda, Erda, oh tu Erda! Libera i tuoi Rei!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Lunedì XXX Novembre AD MMXV