Si sente di sera una canzone molte triste,
ripetuti
spazi muti.. silenzio tremendo che parla..
e
l’interminabile ombra della nebbia glauca si espande,
donde
mi vedo come uno di quei rami spogli e tremanti,
con
il legno che scricchiola quasi in stille di piova fredda,
con
a terra i miei capelli, le foglie appassite che muoiono
e
che implorano un po’ di vento per fare un ultimo vïaggio
verso
lontani campi di battaglia dov’è la pace.
E
gli äedi non hanno più forza per far trillar le arpe,
son
tutti costretti d’Endimione nel fatal sonno,
perché
malati d’Amore per la Luna che mai li ascolta,
la
loro rassegnata vergogna assaporando e il buio,
né
Ade stesso ha piacere d’un loro giambo - fatto male -
proprio
per dare all’Erebo d’essere tremendo la fama,
né
la melanconica ombra d’Achille vuol che si rimembri
con
il canto la sua guerra. Pensa a Pentesilèa. Dov’è?...
“Voi
rapsòdi avete fatto del mio Amore uno scempio osceno”
e
il grande predatore così piange in questo silenzio.
È
così, oh eroe! È Così! La Pöesia non salva più
dai
patemi delle Anime proibite dentro la terra orba,
non
sfida gli orizzonti del mar popolato dai Mostri,
non
sa più sciogliere un cantico che sia un epitalamio a Dee,
e
si nasconde impetuosa mentre Erato sembra chiamarla
per
farsi pettinare i capelli sul peplo del seno;
ma
ora con me nel regno della dormiente Persefòne
infiniti silenzi schiude e nel cuor la morte eterna.
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