Sono figlio dei campi e degli stagni,
e degli aironi che volano liberi
e delle rane che ora si addormentano,
e delle foglie dei querceti scialbi,
della belletta, delle paglie bianche,
della meditabonda umida terra
dove si accresce un sagittar di funghi,
e delle rive e delle ortiche ardenti
che pungono bruciando come ghiaccio,
dei biancospini dalle bacche fulve,
delle ghiande e dei pioppi, dei muri
delle cascine, delle vie sterrate
che hanno quasi un odore intenso e
asprigno
di sassi un po’ bagnati dalla piova,
e dell’Agogna sulle quali sponde
fingo intonare cantici alle Naiadi
infreddolite dall’ignuda pelle
delle prime apparenti nebbioline.
Ma il tempo scorre e viene Autunno e
copre
il ciel di melanconia furibonda
questa Natura materna e virile,
e la nebbia commette alla mia terra,
e succedono gli attimi del buio,
e nella sera il mio cuor si sprofonda.
Allora apro la mia finestra e guardo,
chiamo con nomi di fola le mie ombre;
e nella lontananza delle stelle
mi mesce Ebe per l’ultima fïata
di giovinezza il mosto e dell’Amor
iridescente turbolente Vita.
Fotografia dell'Autore stesso, Pianto autunnale di una Quercia, Lunedì XVIII Ottobre AD MMXXI.
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