Sospirando disperse il lasso assillo
la follia sovrumana e la melliflua
Luna. Soltanto rimase la Notte:
disperato vagai nel Nulla… offersi
corrivi sagrifizi di rumori
assordanti, le grida d’una fiera,
ai piedi della sanguinante terra.
E ancora un’altra volta
erro per fio per le tremende lande…
senza una meta, tutto ansante e a trotto.
Oh inabissata regione delle alte
nebbie! Balbetta il Nibelungo al bello
sguardo delle Sirene. E io t’ho ghermita,
Natura!.... Ti ho rapiti
i Misteri e i segreti dal sereno
crine di trecce con la freccia di orridi
propositi. Dominai l’orbe intero
e, io! lupo di Hati, inghiottii la Luna.
Ma ora che la follia,
come un’eclisse, è sùbito svanita,
non ho più un letto dove riposare,
e il rimorso mi sperde nei contorti
sentieri dalle buie ombre di sepolcri
desideranti il mio nome bandito.
Ti offesi, Erda! Dea madre della Terra!
E su di me hai versato il vivo sangue
degli innocenti, la vendetta bruta
del tuo regno infinito.
Matto gli attimi ormai tanto richiamo
della mia infanzia primigenia e zitta.
Ma intorno ho giorni di stormo crudele.
E così sulle rune leggo solo
una parola sconfortante e vile:
“Tu sei la malattia”.
Oh Erda! Plasmasti furiosa gli Oceani…
e io ho voluto dare a te il mio volto,
imprimere in te la chiave di questa
mia mente sofferente e tracotante,
e bramai somigliare al Genio eterno
che ti creò. Brucia il mio Sogno di folle.
Sto scavando la mia tomba sui tronchi
delle tue querce da me un dì annientate,
e quando avrò finito mi farai
vedere come sono:
verme di buio nel lucente tuo mare.
Illustrazione di Arthur Rackham (1867-1939), Erda si rivela a Wotan, Tardo-Romanticismo fiabesco inglese, 1910. |
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