Danzar ti ho vista di gioia mentre servivi,
o Ebe. Ma questi Dei odiano gli Amori,
ci bandiscono già dall’Olimpo aureo
e la terra dei vivi non ci vuole.
Ahi quanto mi brillasti! Come Sole
sulle onde di un Oceano lontano…
(E) com’è bello risentir la tua voce,
segretamente al cuor filtro d’Amore!
Mi dessi almeno la tua dolce mano,
soavi fiori di dita di Dea,
mi avvicinassi le labbia alle guance
così da sentire il tuo ebbro sospiro..
sarebbe come grano negli Elisi,
come una dolce e timida ninfea
che plana sullo specchio dello stagno,
incanto per le rane canterine!
E dirtelo vorrei.. ma odo silenzio
profondo, mentre tu versi nei calici
a quei crudeli mostri dell’Abisso,
come la gioventù che mi scompare.
Pur mi sta in cuore come un disio
infisso
nel suo sangue veniale, come assenzio.
Ma ampio e infinito è tra noi il
vecchio mare.
Mi fu un bel Sogno!... La notte mi
chiama,
ho päura. Tu, dunque, ti allontani
nell’Ignoto sprofondando e nel buio,
e mi lasci una scia di Luna smorta.
Io a questa impronta mi aggrappo e mi
dolgo,
urlo agli Dei.. le Parche, l’Ade.. il
Fato.
Torna indietro! Ritorna, oh Ebe! Perché
fuggirmi ora che Autunno mi sovviene?...
Ma nel mio cuor v’è un senso così
forte,
un sentimento pensieroso e amato,
una speme di Vita che mi tiene:
io per te sfiderò il buio e poi la Morte.
Dipinto di Jean-Louis André Théodore Géricault (1791-1824), Autoritratto, Romanticismo francese, 1820 circa. Olio su Tela. Museo del Louvre, Parigi.