Risplende l’Estate e il grano
mi fa un po’ il solletico e gira
le spighe nel vento lontano..
poi ammira:
i miei passi ai fior dei suoi campi,
la mia ombra che cerca gli Elisi,
ascolta il fragore dei lampi,
lo scontro dei nuvoli irrisi,
ripete il mio nome nel Sole…
E come un Oceano d’oro
fa cantar le piccole viole
in coro.
Ma oggi queste spighe son scialbe,
mietute da falci iersera,
mi guardano meste, non albe
più hanno da vedere. Dispera
il cuor che mi batte nel pianto,
un incubo di ambra infinita,
di pallide stoppie l’infranto
riposo dell’alma ferita;
ed eran capei delle bionde
Naiadi fuggenti tra i laghi,
erano le vie vagabonde
di paglie pungenti come aghi.
Ma adesso non resta che il fango,
la morbida scura belletta,
la rana che mentre un po’ piango
si getta.
Mi restan le vecchie risaie,
son specchi di rami e di foglie,
ma come risate di gaie
Arpie al venir d’altrui doglie.
Intanto il naufragio è completo,
la risaia è un mar solitario:
varcato ignorando il divieto
c’è solo dei Morti il sudario,
c’è solo l’assenza di scogli,
lontane son le isole e sabbia
mi scrive i suoi gridi sui fogli…
.. e io non ho più labbia
per cantare i campi di grano.
Fotografia dell'Autore stesso, Ultimo Campo di Grano tra i Boschi d'Estate, Giovedì XVII Giugno AD MMXXI.