Da uno speglio di vetro osservo il vuoto,
quei mi rispecchia ciò che v’è oltre;
siedo
ai suoi piedi e mi abbacina un immoto
stral vagabondo di etere or che vedo:
polve che vola e cenere di bistro,
il fior di loto sulle sue pupille,
un’iride che si sminuzza al misto
venir di mistiche e tante scintille..
un occhio di fanciulla fatto sabbia,
celeste a’ miei occhi, un cilestrino
abisso,
verso le stelle di fiammanti labbia,
un oro che arde come un
crocifisso..
l’arcano per le ramora tremanti,
una sagitta di persiche in foco,
il vecchio stagno che gemma adamanti,
la porpora del buio che splende poco.
Poscia, tutto si fa un nappo d’argento,
mesce pallida Ebe un liquido dulce,
e questo falbo liquor va nel vento
e per quell’occhio salta come pulce.
Sento cantar allora i sistri-assoli,
quelle smeraldi bocche parlan mute,
gracidando sui fior degli usignuoli,
come miriadi di schiatte perdute.
Così quell’occhio si ammansisce e dorme,
si vela di sudari di visioni,
quando dopo ore riede alle sue forme,
cantandomi le sue gesta e i suoi tuoni.
Quadro di John William Waterhouse (1849-1917), La Signora di Shalott (The Lady of Shalott), Tardo-Romanticismo, Simbolismo, Accademismo inglese, Scuola della Confraternita dei Preraffaelliti, 1888.
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