Ed è un dì di fulmìnee piogge di un
rosso rubìn di Sole de’ il mio giugno,
quando all’alba mi sveglio e l’inatteso
orizzonte e l’attesa aurora e i tesi
rami di un tiglio inesorati uccìdono -
essi gemendo le onde del ciel cupo -
i Sogni miei notturni, e qui mi invìtano
a vìvere infiniti àttimi ignoti,
e Vita incògnita e l’urlo del vento
del non mai conosciuto mio Destino;
ed è un dì di fulmìnee piogge di un
Sogno che muore.
Ed è un dì di fulmìnee piogge di un
scialbo meriggio che va a tramontare,
ei tintinnando con le acque sue gèlide,
prima che il Sole dell’Estate abbrùci
i capèi d’oro delle risàïe,
là, quando mi sarà afoso anche il Sonno,
tra i sudari viventi della Notte,
e ben dovrò io sognare nel sudore
della Luna di fuoco e di una stella
antelucàna e immòbile tra i nembi,
e quando l’alba mi ucciderà sempre
le mie sognate speni e i desidèri;
ed è un dì di fulmìnee piogge di un
Sogno che morirà.
Ed è un dì di fulmìnee piogge di un
plùmbeo cielo di argento e di cera ebùrnëa,
e di un Giugno che è sìmile a novembre,
crisantemo pe’ il cènere dei primi
fiori che invano attèsero l’Estate
su’ i prati e negli stagni più lontani,
come io illuso ne attesi le serene
sere, che ora qui illagrimate vàgano
a piàngere e a lamentare la pàllida
comune Sorte, dove la Natura
è rivale dei Sogni, eterno scorno,
ne’ il cinguettìo che io sento, qui, di un pàssero
che caduto dal nido e di volàr
ignaro, e oltre il muretto de’ i suoi sìmili,
ha per Destìn morìr di fame e strazio,
ei agitando il suo rostro per ghermìr
tra l’àëre le brìciole di Morte;
ed è un dì di fulmìnee piogge di un
Sogno che fu.
Ed è un dì di fulmìnee piogge di un
accordo di Tempesta che ho nel cuore,
e di eccitate ombre di furibondo
sentìr, e concitati albeggi oscuri
tra le mie rune e pe’ i monti d’intorno,
e contristata noia, e tradito e bruto
Sentimento di gioie perdute e illuse,
perché ogni Sogno mi fu Illusïòne, e…
e ogni attesa un naufragio senza scogli,
né ìsole e cimbe, io, annegato nel màr
di un vìvere furente che non so
comprèndere, né so portàr avanti;
ed è un dì di fulmìnee piogge di un
richiamo a Iddio.
Ed è un dì di fulmìnee piogge di un
bàttito di ora in su’ di un orologio
che d’in su’ un campanìl sevèro scorre:
estate e inverno, e primavera e autunno,
e quel che esiste muore e si trasforma,
da’ il cadàvere al verme e dalle larve
a’ i fiori di una culla per la Vita,
e il divenìr di queste mie stagioni
non fa altro che invecchiàr questa ansiosa Ànima,
e i miei anèliti pàllidi e infecondi.
Ma resta ùnico, ahimè! il Sogno mio e il mio
volèr di Amore, e i miei singhiozzi amari,
e i miei singulti, e le mie vane posse. E…
e mentre in Sogni giacio, io odo gridàr
con la pioggia le fùnebri campane,
che qui accompàgnano il tristo corteo
della salma di un vecchio sognatore;
ed è un dì di fulmìnee piogge di un
piànger lontano a Iddio.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Ivàn Endogurov, Pioggia, Tardo-Romanticismo russo, Fine del Secolo XIX |
In Dì di Lunedì
VI Giugno dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina
Misericordia AD MMXVI
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