A un tetro sguardo delle nubi oscure
che tra le frasche la Luna argentava,
presso un cupo castello s’inquietava
un’ombra che lagnò d’aspre sventure.
Una finestra rifletteva un fosco
lume, e il verone alle molli candele
si giaceva, e infiammava il cupo bosco
e il pruno al pioppo spergiuro e infedele;
e l’espèo ciel spandeva un fior di miele
alle lontane vette, e l’ombra urlante
dalle pietre fuggiva, e spasimante
canzoni bieche ne gridava e dure.
Presso un cupo castello s’inquietava
un cavalier che lagnò aspre sventure.
Al venir dell’aurora una fanciulla
discinta lo seguiva, e scalza e mesta.
Braccia gli avvinse al collo e a una betulla
singhiozzando ‘l baciava; e la foresta
le piogge ne gemea d’una Tempesta,
ed ei sorrise, ed ella al labbro ‘l pose
l’indice e disse: «Taci!», ed ei le rose
delle gemme - ei! - baciava albine. E pure,
presso un cupo castel che s’inquietava
e al cavalier che lagnò aspre sventure,
nel silenzio albeggiante e in questo nulla
ella lagnava, e ‘l zittiva, ed ei a questa
mano di donna or piegava, e la culla
dell’Amor si scorreva, e l’alte gesta
ei le cantava, dond’ella funesta
udìa forse un presagio di tormento,
ed ei ‘l placava, ed ella al fresco vento
dell’alba si commosse; e le radure
gemevano, e la
Luna or tramontava.
Presso un cupo castello s’inquietava
un’ombra che lagnò d’aspre sventure.
Il cavalier, allor, di tante cure
al veniente mattin si tormentava,
e costei al volto estatico mirava,
ed ella sospirò tra l’ombre impure;
ed ei la prese ai fianchi, ed ella in punte
tra i sterpi alzava i piedi, e il volto al petto
dov’era il cuor gentil del suo diletto
follemente posò, e le man congiunte
s’accarezzàvan reciprocamente,
ed ella udiva i palpiti, ed ei ardiva
berle il sospiro del labbro sveniente,
ed ella rise, ed ei beò, ed ella ambiva
i battiti baciargli; e si tradiva
un respir di paüra, e l’onde intrise
di pianto ei ne crollava, e un dito mise
al suo labbro, e costei ‘l baciava e, funte
l’ore del duol co’ sopraggiunte speni,
ambedue si miravan nell’aspetto,
e scendevano inquiete al lor cospetto
le piogge dalle nubi in ciel disgiunte,
e a lei solleticò un tremore i seni,
e le mancàvan la forza e il detto.
Presso un cupo castello s’inquietava
un cavalier che lagnò aspre sventure.
Frattanto l’orizzonte si brillava,
e la
Notte scendeva, e l’alba svelse,
e nell’abbraccio il messer seguitava
a calmar la fanciulla; e l’ombre eccelse
dei valichi lontani contemplava,
ed ella il guardo posava a quest’else
d’arida Morte; e costui si scioglieva
dall’amplesso soäve, e si piangeva…
e stava per scostar quand’ella colse
la sua destra fuggente, e in soffio ‘l prese,
ed ei allor si voltò: e un guardo li avvolse
perdutamente estremo, e un urlo intese,
e gridò il Fato, e furioso si dolse (in)
timidi sguardi! E la Notte or si arrese,
di lui l’occhio contro il suo, e contro il mondo,
fulmine invitto d’Amore iracondo.
Angeli d’occhi parlavano intensi,
e le pupille baciàvansi, e il liuto
risuonato dal vento in suoni densi
cantava una romanza; e il suo perduto
cavalier ne spargeva i baci, incensi
d’Amore sacro a un capello svenuto
della madama che piangeva intanto,
molle ricordo dell’udito canto.
Egli tornava alla dama perduta,
e l’occhio la incontrava, e nel sottile
strale dell’alba schioccava febbrile
un ultimo baciar, la spene muta.
Tendeva il corpo suo al seno suo, al manto
della veste sua falba, e lo guardava
ella che pianse, e al collo suo affranto
le braccia ancor gli avvinse, e lo chiamava,
e le mani piccine gli posava
alle guance, e ‘l baciava, ed era stretta
di costui nell’abbraccio, e la saëtta
del bacio si schioccava ormai voluta:
ed ei le morse il labbro, ed ella il mento,
i denti sulle labbra, e i mordicchianti
sguardi, i respiri confusi nel vento,
cuor contro i cuori dolci e spasimanti,
e i respinti spergiuri, e le promesse,
l’aspettative all’Ignoto dimesse.
Nel bacio si passò l’ora temuta!
Egli tornava alla dama perduta,
e l’alba s’avanzava orba e febbrile.
Allora tra le nebbie si svaniva
come un’ombra d’un spettro il cavaliere,
e nell’Ignoto costei lo seguiva
oltre le smorte del cielo le cere,
e le pupille or piangevano fiere.
Alla guerra partiva il Trovatore,
un bacio solo, una Notte d’Amore,
‘la tra le fronde s’udiva svenuta.
E venne l’ora da sempre temuta,
l’ultima sera d’un sogno d’aprile;
ed ei n’errava, ed ella a un bosco vile
pianse, lagnava, e morì… alma perduta!
Perì per le doglianze dell’Amore,
al suol distesa qual foglia cadente,
e spirando sentiva la canzone
dell’arpa trobadorica nel vento.
Ma eternamente nel sogno ghermiva
un bacio sempiterno, e l’annegava
la foresta irridente, e la divina
Natura; e ancora lenta s’allontana
nella Morte feroce la madama,
e urla, grida e s’infuria al ciel infausto,
d’osso il crine disotto argenteo nastro,
e il grido suo l’orizzonte ne intende.
‘La spirando sentiva la canzone
dell’arpa trobadorica nel vento.
Perì per le doglianze dell’Amore,
al suol si giace qual foglia cadente.
Folle, o tu che cammin, vagabondando d’Amore,
ell’è tua muta tomba, misero Trovatore!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Martedì XII Maggio AD MMXV
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