I. L’ultimo bardo cantava la nenia
delle Valchirie nel cielo adirate,
e con l’arpa lagnava empio un Destino
di Morte e di Dolore e di Tramonto.
Irminsùl, in effetti, andò al Tramonto
dei cieli e delle terre; e fu il Destino
che dominò le nuvole adirate,
dove la pioggia gemeva una nenia;
ed era questa una funebre nenia,
e le saëtte urlavano adirate.
Così giungeva il decreto, e il Destino:
«Si copra Mìdgard d’eterno Tramonto!».
Allor dovunque lampeggiò il Tramonto,
e gli Elementi inghiottiva il Destino.
Fu quivi che le Norne il vel vitale
della Vita strapparono, e nel vento
ombre di crani ondeggiavano cupi.
Fu ora che i cieli gridavano cupi,
e che freddo e furioso andava il vento,
e che nulla si salvò che fu vitale.
Pur degli Dei la baldanza vitale
adesso sibilava lungo il vento,
e monti devastati stavan cupi.
Ma al cuor dei nembi terribili e cupi
un’ombra si volava in mezzo al vento.
E questa in questo vento
illuminava gli Elementi cupi,
co’ un carro di destrieri e d’orbi lupi.
II. Era una dama coll’usbergo al seno,
e l’elmo intemerato al crine biondo,
e che un mantello aveva vagabondo,
e che ammirava le fiamme del Reno.
Giovane parve, e bella, e forte e scialba,
e qui segretamente aveva in cuore
un desiderio di rivedèr l’alba,
e una doglianza perenne d’Amore;
e si scagliò nel fuoco redentore,
e vendicava le dame del lido
di questo fiume, e il perduto Sigfrìdo,
e il corpo suo si bruciava sereno.
Il suo cenere divenne un veleno,
e il Nibelungo ‘l bevé e fremebondo
svelto moriva con urlo iracondo,
e si placàron le fiamme del Reno.
III. Il Temporale sibilava tanto,
e dell’Ondine si sentiva un canto
che nel tuonàr della trista saëtta
gridò: «Vendetta!».
Ma dalle regge infuocate e lontane
nel fiume cadde il suo tesoro immane,
e tra le Ninfe ciascuna fanciulla
trionfò sul Nulla.
Il Crepuscolo sparve e l’alba venne,
co’ un Sole più mellifluo e più perenne,
e sorgevano i cieli e gli Dei e poi
stirpi d’Eroi.
IV. Finiva il bardo la canzone mesta,
e la tribù gli tributava i plausi,
e nel frattempo la Notte splendeva,
e argentea si mostrava l’ansia Luna.
La selva si tingeva della Luna,
e del suo argento timida splendeva,
dove le frasche le facèvan plausi,
sebbèn ne fosse lievemente mesta.
Questo fu il canto della Sorte mesta
degli Eroi ai quali toccarono i plausi;
e questa Poësia lieve splendeva
sulle capanne come un’altra Luna.
Se ora nel cielo si mostrò la Luna,
prima il Tramonto purtroppo splendeva.
La Vita è come il giorno e l’orba Notte,
e il senso scorre ripetutamente
di quel che esiste, e che vive e che duole.
Ora v’è il gaudio, e ora il cuore si duole,
s’erge il Tramonto, e ripetutamente
s’alternano così il giorno e la Notte.
L’Amore è il giorno, il Disprezzo è la Notte,
cresce il conflitto ripetutamente.
Ma al fin si è lieti, oppur sempre si duole?
Ahimè! Forse si duole;
e questa stirpe ripetutamente
di speni e d’allegria si fa demente!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Sabato XXVII Giugno AD MMXV
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