Iddio dal trono si splende qual face,
Ei che ha parlato d’Amore e di Pace;
e ‘l suo volèr antico ha un dolce sòno,
non la vendetta, ma ‘l santo perdono.
Danza discinta l’odalisca in gemme,
e i damaschi ne preme ‘l piede falbo,
e ‘l torneamento ansioso ondeggia ‘l scialbo
velo che infuria in sul ciel dell’haremme.
Un cimbalo si geme, e ‘l flauto insano
spasmando si lamenta; e un ballo ameno
folle si grida al mirar del Sultano,
la bagnante ne spoglia ‘l giovin seno.
Un aspide s’incanta, e ‘l suo veleno
dolce miele divien pell’alta corte.
Ma nella festa serpeggia la Morte ,
e di sangue è cosparso quest’haremme.
Prende discinta la dama le gemme,
e le scosta e le pone in su’ un prunalbo,
e lenta ne rinunzia a’ veli e all’albo
drappo che copre ‘l suo ventre; e le penne
de’i falchetti europei all’inguine toglie,
Salomè che risorge, e a’ tronchi volti
co’ seni nella danza e ignudi e sciolti
feroce scaglia le corrive spoglie.
Preme in su’i crani de’i spenti cristiani,
occhi d’ossami che scorgon vergogne.
I dervis in clamor batton le mani,
e gli schiavi arrossiscon; e alle gogne
di questi si contorcon le zampogne,
e la donna che danza n’ha un anello,
all’indice mancino e ‘l guarda, e ‘l snello
fianco ne mòve agitando le spoglie.
Sa che ‘l Sultano la brama qual moglie -
per una Notte sola - e i crini avvolti
d’in su’ veli si scopron, e occhi e molti
labbri ne bacian di costor le foglie.
La danza si finisce, e ‘l rege altèro
or s’avvicina all’odalisca, e ‘l veste
d’istinti e di carezze, e qual la peste
la ghermisce a’ capei, furore fiero.
Ella così l’abbraccia, e ‘l punge insana
coll’anello che colmo fia di tosco.
Ella ha danzato; ma ha ‘l cor di cristiana,
e ‘l tiranno ne fere al tristo chiosco.
Allor costui si crolla, e ‘l guardo è fosco,
giace in tra l’ossa de’i spenti crociati,
e con lor ne divide i tetri Fati,
e Iddio ne fu or più crudele e più fiero.
Ma la fanciulla a un patibolo e al nero
vel della Morte vien messa, e in Tempeste
di miele e d’altri insetti ‘l Tempo sveste
Iddio dal trono si splende qual face,
Ei che ha parlato d’Amore e di Pace;
e ‘l suo volèr antico ha un dolce sòno,
non la vendetta, ma ‘l santo perdono.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Giovedì XXIII Aprile AD MMXV
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