Cerca nel blog

martedì 24 febbraio 2015

Elegie romantiche in Strofe tetrastiche e saffiche in Morte dell'Inverno

Un Tramonto di Febbraio

Nel cielo si tramonta un lume pallido
che d’in sul Sol s’irrora, e in sul crepuscolo
tetra la sera or si scende e in pallore
e in su’ un lunare fiore,

e flebil l’orizzonte e in scialbe tenebre
di sognar qui n’attende, e quai fantasimi
l’ultime brume si splendono meste
bieche come Tempeste,

e quei che nel meriggio si fiorivano
gl’iris e i gelsi e i mughetti e le roveri
nell’oscuro si taccion, e un sospiro
gridano di deliro.

Allor ne’i ruscelletti in ansie l’àlighe
del cèner del tramonto qui si pingono,
e i rosei fiammeggiar de’i vegli monti
di gelo son le fonti.  

L’istante s’avvicina or degli Spiriti,
Furie nel vespro che cingono l’aëre,
e febbrile la Luna ‘l Sole inghiotte.
Sepolcro in cielo: è Notte!

Intuizione di Primavera

Nel vago meriggiar de’i spogli platani,
e in tra’i boschi e i campi or van gli zefiri,
e gelido or si soffia un aër mite
pelle querce assopite,

e al brillar delle nubi e al Sole e al timido
foco del cielo che fresco si spasima,
in un bosco cucite or d’ansie spole
si crescono le viole,

e compagne le son le falbe primule,
e i gigli e l’azalee e ‘l prunalbo cerulo,
e la gemma si cresce al ramo scarno
ond’è ‘l ghiacciar indarno.

Ma ancor nell’orizzonte si ritardano
gl’immigrati stornelli e l’ansie rondini,
e tramontato l’astro, ‘l gelo riede
a reclamar le prede;

e anco se ‘l vento s’aggira più flebile,
e la selva ne sboccia i fior e i frassini,
la mestizia m’invade in sulla sera:
non è ancor Primavera!

Un’Aurora di Pioggia

Poscia la Notte s’albeggiano i nugoli,
e al rubino del cielo or l’acque strillano,
e novo ‘l Sol che sorge in grida piagne
e terge le campagne,

e l’aurora s’annera, e queste lagrime
di serico pallor ne cinge, e un valico
lontan qui si nasconde al guardo umano,
tra le brume un arcano,

e rosea pioggerella al suolo s’agita,
e ancora nella Notte e quasi in grandine
tetra s’infrange e febbrile rischiara
la terra e negra e amara.

Allora contemplando le pozzanghere
mattutino i’ ne veggo che sta a’ splendere
nell’alba che si placa e in ciel sereno
un queto arcobaleno,

e le tinte di ghiaccio mi raggelano,
l’azzurro delle nevi, e ‘l foco gelido,
un ponte che dal vespro al giorno adduce,
e dal verno alla luce.

Le Nevi della Primavera

Rosea si cade la neve, e una nugola
falba ne tempra le posse terribili,
e ‘l ghiaccio ne ricopre ‘l ciclamino,
e gli ontàni e ‘l carpino.

Così all’acque d’un stagno ‘l nembo tremulo
i fiocchi e l’acque piove, e all’alba cerula
or l’anitra selvaggia in suso vola
‘ve ‘l cristallo si cola;

e l’onda si raggela, e intorno i debili
pioppi co’ gemme ne’i ghiacci s’immergono,
e fredda si distende la ninfea,
gelido occhio di Dea,

e ‘l corvo si lamenta e in fame scalpita,
e alla neve ne cerca le sue vittime,
e mentre in ciel la Furia or n’apre i varchi
i pini sono carchi.

Ma quest’è un’ansia neve che in quest’attimi
d’ultimo verno n’appare invincibile,
sibben al fin si sciolga al vano Sole
e nudrendo le viole.

Un Cinguettio

In tra le fronde ignude e ‘l vento gelido,
e alle brume del vespro omai si cantano
cinguettando l’allodole e l’assiuolo,
e ‘l docile usignuolo,

e a queste lamentanze e a questi cantici
scialbe le nevi pe’i boschi si tremano,
e al cielo che s’oscura ‘l cinguettio
precando or s’erge a Iddio;

e ‘l lor canto ne sembra un trobadorico
urlo di danza al convìto d’intrepidi,
‘ve udendo si diverte ‘l rege salce
fuggir mirando l’alce.

Allora a questi sòni stan pur l’anitre
che a’ nembi tempestosi or l’ale stendono,
e alle chiome in germoglio e a un arboscello
si tormenta ‘l fringuello;

e codeste ne son le nenie funebri
al verno che si scende in freddi loculi,
e la neve rimasta insana muore,
e si converte in fiore.

Un Bosco alla Morte di Febbraio

Queta meriggia quest’aura serena,
e ‘l zefiro soäve all’amarena
il fogliame ne bacia e ‘l bel nocciuolo,
e ‘l sorto suolo,

e ‘l Sole si lampeggia a’ sanguinelli,
e a’ germogli e alle foglie e agli arboscelli,
e mite ne palesa ‘l foco e ‘l pregio,
fior di ciliegio,

e i platani e le farnie e i pioppi e gli orni
d’albo fogliame si splendono adorni,
e i frassini e gli ontàni sono in fiore
e in pio splendore;

e ‘l stagno s’addormenta agl’iris primi,
e al soffiare de’i venti e de’i sublimi
monti innevati all’orizzonte etesio
del cielo cesio,

e fioriscono fresche le ninfee,
e le viole e le rose e l’azalee,
e pe’i rovi si splende in fino a sera
la Primavera.

Sensazioni in una Mattina di Febbraio

Spaziändo le nubi e l’ansio cielo
al bosco che si desta i’ sento un gelo
che candido di neve al cor m’assale
fiero e immortale,

e codesto ghiacciar in fin lo spirto
raggelandomi va, e mellifluo un mirto
terribile mi punge e mi commòve,
e ‘l Sol ne piove.

Indi quest’acque di tremulo verno
co’ un guardo i’ ne ghermisco, e in duol eterno
immobile i’ ne trascorro ‘l reo mattino,
crine d’un pino,

donde d’inquieto i’ mi pasco e d’arcano,
e i nugoli i’ contemplo, e in sul lontano
orizzonte i’ mi tremo alla montagna,
gelida lagna.

Mesto un viandante i’ ne sono e m’aggiro
tra ‘l febbrajo e la vera in ansio spiro,
e ‘l cor tra la mestizia i’ n’ho e ‘l febbrile
sogno d’aprile;

e nel nembo di quarzo
ancora i’ non ne scorgo ‘l dolce marzo.

La Morte d’una Stagione

Mesto e tetro e crudele ‘l ciel d’avorio
febbrile si trasuda, e all’aspersorio
della pioggia gentil la neve cola
l’alta frangòla.

Così pelle foreste un nunzio corre
che vuol che questo verno or sta per sciorre,
e un germoglio si sòna al funerale
del maëstrale,

e un pallido orizzonte si tramonta,
e ‘l roseo delle speni omai n’affronta,
e ‘l ghiaccio si discende in su’ una fossa,
gelido d’ossa,

e ‘l ruscello ne spezza ‘l vil sudario
delle nevi ghiacciate, e ‘l reliquario
falbo si giace d’un calle che scioglie
le bianche doglie.

Ma l’orso delle nubi ancor s’aggira,
e quest’ultimo gelo or ne sospira,
e lentamente muore la stagione,
fredda canzone.

L’ultime Immagini dell’Inverno

Grigie le foglie del noce spogliato
ne grondano le piogge, e ‘l ciel irato
cupo s’infuria in estrema bufera
d’eterna sera,

e in cenere ne stanno i rami ignudi
de’i platani selvaggi e orrendi e crudi,
candidi pioppi malati d’argento
del negro vento,

e un sambuco si giace in reo grigiore
e le gemme ne mostra or nere e in fiore,
e un nugolo minaccia ancor le nevi,
e i ghiacci grevi.

Allora si tormenta un salce e in pianto
svelto ne gela le lagrime e ‘l manto,
e i campi si ridestano innevati,
fanghi argentati;

e ‘l lumicìn del Sole è un sepolcrale
inno di Morte alla Furia che assale -
e pell’ultima volta - ‘l ciel del verno
che muore eterno.

Un Meriggio

Ascoltando le lagne or dell’allodole
e ammirando le nubi che si tacciono
al finestrel mi giacio, e volgo intorno
pel verno in ghiacci adorno,

e i valichi lontan ammiro e i pini,
e l’ombre de’i torrenti e freschi e alpini,
e se ‘l cor si raggela or l’alma n’ode
le speni e gode;

e a’ trascorse stagioni or pensa e agli attimi
d’una vera che annunzia un’orba rondine,
e l’incognito cielo in requie scorge,
‘ve del Sole or s’accorge.

Frattanto mi riposo, e in Poësia
animarsi ne veggo un’ansia via,
e di tè n’assaporo un nappo mite
d’indiana vite,

e debile n’interrogo or le nugole
dell’avvenir bramato e in sogni e in incubi;
e brillar ne contemplo un primo fiore,
gaudio sereno al core.

Appendice. Un’Elegia-ballata, ovvero Un Canto di Rondine

Una rondine a un orno al fin si posa,
e pallida ne canta al primo Sole,
e ‘l guardo ne indirizza all’ansie viole,
e così si lamenta l’amorosa:

«Oh Primavera prisca in queti nugoli,
spaziändo quest’aure e ‘l vento formido,
or d’amarti, oh gentil, ne son inetta,
e tu la mia diletta.

Un giorno ben t’amai, e a un sogno i’ n’impreco,
e fuggendo a’ deserti i’ non fui teco;
e tu ne divertivi a’ bei convìti,
sogni assopiti.

Tra le dune romìte un dì dell’eremo
a te ne lamentavo, e in fieri palpiti
inni cantavo che tu non ascolti,
donna da’i tanti volti,

e ora che veggo le chiome dorate
del volto che ti splende al Sol d’un Vate
mestamente comprendo: non fu Amore,
bieco dolore;

e questo rimembrar cagion di spasimi,
e ‘l sogno che trascorse e in inquietudine,
col mio canto ne muore, e vola via,
mesta elegìa».

Una rondine a un orno al fin si posa,
e pallida ne canta al primo Sole,
e ‘l guardo ne indirizza all’ansie viole,
e così ne cantava l’amorosa.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Borgolavezzaro Martedì XXIV Febbraio AD MMXV

Nessun commento:

Posta un commento