Impressioni
d’una Chiesa in Lontananza
Pel cielo che meriggia e all’orizzonte
ove al verno s’oscura or l’aër cieco,
e a piè d’un innevato e falbo monte
che de’i ghiacci n’irrora - e sempre - un’eco
scialba di marmi di flebile fonte,
come brina tra’ fieni e al guardo bieco,
la neve si biancheggia e presso un ponte
d’una roccia di chiesa ov’io ne preco.
Così e in tra’ l’aure negre ‘l campanile
di gotiche campane or s’erge, e in alto
l’etere bacia, la chioma sottile
del gemito del ghiaccio, e parmi un spalto;
e ‘l bronzo si lamenta, e m’è gentile
questa lagna di prece, eterno assalto.
Ma alla maggese e al malto
del campo che ‘l circonda e in sasso fero
le lapidi si stanno: è un cimitero.
Una Pieve di
Campagna
Mesta di pietre e solinga e d’antiche
vie di campagna l’altar tutelare
una pieve ne scorgo e all’aure aprìche
albeggiando si sta qual scoglio in mare;
e d’intorno le brine in sulle spiche
alluminano ‘l viso e l’alte e care
sante sembianze e celesti e l’amiche
della Vergin le guance, e ‘l s’han d’amare.
Or così ne contemplo un lumicino,
fiamma ghiacciata nel foco del vento,
e al braccio che si pinge ‘l Pargolino,
e ‘l trapunto velame, e ‘l ciglio, e a stento
quest’effigi ne copre un tetro pino,
e nel core mi vien un Sentimento,
senso di pio sgomento;
e alle nevi d’un attimo invernale
sento che piagne dal Ciel l’Immortale.
Immagini d’un
Viandante e d’un Monastero in un Istante di Notte
e l’ossame degli astri or fioco splende,
e quei che vagolando a una radura -
un misero viandante - ‘l giorno attende.
Ma al tremulo sentier di forma impura
scorge che un Mostro quest’etere fende,
e tosto gli sovviene un’ansia cura,
e dal vespro ‘l timore ansioso apprende.
Allor dinnante ammira un monastero,
e la pietra si cade, e abbandonato
l’altare si consuma e truce e altèro
nel strale della Luna or contristato,
e le volte e ‘l rosone e ‘l sasso nero
arcano qui ne inghiotte un folle Fato;
ed ei terrorizzato
scorre in tra l’ansie e in tra’i pianti la sera,
or quasi meditando e in pia preghiera.
Nivea si geme la folgore a un colle,
e la brina rosseggia e in lampi e in pioggia,
trista ne gronda la neve e s’estolle
la riviera fatal d’un’orba roggia,
e ‘l vento che sospira in furia or folle
cieco si grida e in su’i ghiacci s’appoggia,
e le folgori son di nevi ampolle,
bieca Tempesta or nel verno s’alloggia.
Un cielo che innevato a’ geli or tòna
allor nella bufera e in lamentanza
l’agile ghiaccio in tra’i fiocchi ne sòna
una cupa canzon; e in tracotanza
ghiaccia a un ruscel la saëtta che prona
febbrilmente e crudel e ria s’avanza.
Mai scorsa tal baldanza!
Nel verno ne s’accende un Temporale,
forse un miraggio, fors’ira ancestrale!
Un Funerale in
un Meriggio invernale
In tra’i spettri e le brume e i ghiacci e i fiori
un corteo lentamente or s’incammina,
e in pianti di salmodie e di dolori
la bara si lamenta, e ne destina
all’ultimo soggiorno e a’ mesti cori
l’orbo cenere e l’ossa, e alla ferina
tomba si pasce di terre e d’umori,
vermi feroci pungenti qual spina.
Allor sta ‘l mesto prete, e l’aspersorio
l’ossame che si gela or ne deterge,
e ‘l crisantemo piagne e sta ostensorio
della Morte lo spettro; e ovunque asperge
l’orrido lutto del gemito ustorio,
e una pala ‘l defunto al suolo immerge.
Così la neve terge
di marmo ‘l funerale, e ‘l pio Mistero:
or perpetua la
Luce , oppure ‘l nero.
Un Eremo di
Montagna
Alla roccia sen giace un antro eletto,
e in pietra ‘l campanile un monte assiste,
e docilmente ‘l segue, e va al cospetto
delle tremule vette e scialbe e triste,
e di nevi si splende, e ‘l santo aspetto
alle posse in bufera ancor resiste,
e ‘l bronzo si percòte al vento schietto
delle nuvole in ciel, festose arpiste;
e un cippo religioso al fianco or s’alza,
veglia la pietra del muro si cade,
e da questo de’ sassi in sulla balza
si cadono soffrenti a’ valli e a’ rade,
e l’alito divino omai l’incalza,
l’Ermo l’ebbrezza del Padre n’invade,
e di mietute biade
le tegole ne sono e in paglie in fiore,
e d’ebano l’altare del Signore.
Le Torri
dell’Eresiärca
Niveo ne sparge le Furie all’ostello
e i terribili sali ‘l vento, e carca
di lichèn la magion si lagna e ‘l vello
dell’edera crudel, e un patriärca
nel sepolcro si giace, e un dì rubello
predicando ne fu un eresiärca,
e oramai in tra le mura e in tristo avello
al Cielo che ne offese qui s’inarca.
Gridan le torri de’i Catari folli,
negra la pietra le fiamme riflette,
e in ermo ne rimangon gli orbi colli,
e aspri i valichi, e l’erte e l’atre vette,
e quivi non vi son guerrier, rampolli
chè l’ostello al Signor un dì cadette.
Le torri son saëtte,
e un giorno le distrusse in triste schiere
col volere del Nume ‘l reo Tempiere.
D’ansie si pasce del Nume ‘l guerriero,
e in pianto ne lamenta un reo Destino,
e soffrente sen va pell’ermo intiero,
debil disfida un messer saracino,
e delle carovane ‘l caldo sentiero
or incognitamente segue, e in fino
all’inimico ostello in passo fiero
prode si porta col segno divino.
Pugna feroce le scolte infedeli,
miete l’acciaro l’affanno e ‘l sospiro,
dice che ‘l brama Colui che ne’ Cieli
forse ha deciso la Gloria o ‘l Martiro;
ma d’un tratto ‘l circonda - al volto i veli -
degli Osmani la schiera, e con un tiro
d’un dardo e d’un raggiro,
ei prigion ne diventa, e vive a stento,
e ne teme ‘l penar, l’impalamento.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Mercoledì XXVIII, Giovedì XXIX Gennaio AD MMXV
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