Alba di Luna
Nell’immenso del cielo un nembo scialbo
tra’l gemer della Notte si splendea,
e quieto alluminava un rivo falbo
or che la
Luna in marmo in lui sorgea,
e come un praticel,
come un fior di ninfea,
nello stagno de’i boschi un campo indiano
si dormiva in un vel antelucano.
Così di cesio lume si brillava
l’americana e dolce prateria,
e la tenda nel sonno or consolava
l’Indiano cui la preda sen fuggìa,
e all’orizzonte immenso si smarrìa
atroce un ululato e fuvvi ‘l lupo
che nella tetra selva e in su’ un dirupo
la vittima bramata n’attendea.
Alba di Luna v’era - alba - e un prunalbo
nel venato sorriso si gemea,
e ‘l cielo intier ne fu d’oscuro e d’albo
tinto, e come l’argento ognor lucea,
e al fresco venticel,
olezzo d’azalea,
nello stagno de’i boschi un campo indiano
si dormiva in un vel antelucano.
Il Silenzio
dell’Orizzonte
Gli Spiriti de’i boschi or tacean mesti,
e nulla si sentiva - nullo un bisbiglio -
e pe’i prati nell’ombre e pe’i funesti
calli sol orme insane vedea ‘l ciglio,
e l’orizzonte muto
ottenebrava un tiglio,
e un ruscel si scorreva silenzioso
come un sepolcro infame e tenebroso.
Nemmeno si soffiava ‘l fresco vento,
e taciturni i monti s’impaurivano,
e la requie regnò all’accampamento
‘ve i guerrier valorosi ne dormivano;
e lungo i boschi orrendi non salivano
nemmanco i strilli altèri e i canti biechi
de’i rapaci e de’i lupi - co’ occhi ciechi -
della fame a seguir un reo consiglio.
Allor nel cielo negro e oscur di vesti
or silenziosamente ‘l scialbo giglio
della Luna facea co’i nembi incesti
e pe’i sentier premea or anco ‘l periglio,
e tra’l velo perduto
del ciel - un falbo miglio -
un ruscel si scorreva silenzioso
come un sepolcro infame e tenebroso.
Il Lago
delle Betulle
Marea di Luna dolce e argento d’onda
in quest’Ecate ‘l lago ne baciava
a’ piè de’i ramoscelli un’india sponda
e ‘l cantico de’i cigni ne inquietava,
e l’ala canterina
pell’acque si balzava,
e intorno, qual danzanti e indie fanciulle,
dal vento mosse stavan le betulle.
Or l’oro delle stelle e lì al fogliame
tra’i ceppi in fronde ombrose si fondeva,
e lucevan le foglie allor di rame
come l’astro che in ciel ne risplendeva;
e intanto ‘l cigno bianco che spremeva
all’Indio l’albe penne, or spento ‘l canto,
terribilmente giacque al core affranto
e morto in quest’abissi or s’affogava.
Sepolcro d’ansia Notte e fredda e bionda
de’i cigni i cupi ossami or sotterrava,
e la selva d’accanto e fremebonda
i funebri lamenti ne cantava,
e l’acqua femminina
di Morte raggelava,
e intorno, qual danzanti e indie fanciulle,
dal vento mosse stavan le betulle.
I Cacciatori
Alla Notte i’ ne canto l’alte gesta
de’i guerrieri alla caccia in sul mattino,
e all’ombra e cupa e pia d’un biancospino,
e a’ piè delle betulle ombrose e molli,
e all’orizzonte immenso e a’ freschi colli,
delle prede i’ mi lagno e all’aura mesta.
Era ‘l dì, e ‘l cacciatore ne seguiva
pelle piane infinite e all’erte e a’ monti -
cavalcando ‘l destrier che si smarriva -
quelli che si fuggivan i bisonti,
e dietro se ne stavan i compari,
a’ destre v’eran torvi i rei fucili,
e del Sole a’ raggianti lucernari
galoppavano i prodi, i volti vili,
e pe’i venti amerindi e bei e gentili
inseguito correva ‘l tristo branco;
ma in fin - tra’i cardi osceni fatto stanco -
ne periva dell’Indio in sugli affronti.
Rosso ‘l viso e iracondo or n’assaliva
il fucile di tòno, e vêr de’ ponti,
la mandria ormai stancata si smarriva,
e qualchedun si cadde in tra’i bisonti.
Alla Notte i’ cantava l’alte gesta,
e ancor rimembro assorto: or l’orbe spoglie
alle tende condotte in tra’ le foglie,
e le carni in tra’ l’erbe lacerate,
e le paglie d’intorno insanguinate.
Delle prede i’ mi lagno e all’aura mesta.
Treccia
d’Ontàno
Era bella e melliflua, e ‘l crin castano
al cotone del Sole or fu giulivo,
e l’Indio la nomò Treccia d’Ontàno
e più fresca parea d’un quieto rivo.
Un dì le gote scorse di rubini
di quest’alba fanciulla un invasore,
e ascosto e muto e lieto in tra’i carpini
forse per lei sentì un senso d’Amore,
e ‘l scialbo e crudo volto un seduttore
spietatamente e sempre or nascondeva,
e in desiri crudel ei la scorgeva,
e sol per lei pensava or d’esser vivo.
In su’un vespro di verno le diè la mano,
ed empio la rapiva in cor corrivo;
e l’Indio la nomò Crine Lontano,
e più fresca ne fu d’un quieto rivo.
Il Guerriero
A mezzanotte in fondo a’ sepoltura
co’ lacerato core un gran guerriero
lentamente scendeva e all’aura oscura
di Morte si destava un canto fiero.
Piume di sangue scialbo ei guerreggiava
pelle terre irredente, e in man la scure
dell’America i crudi assassinava
pelle piane degli Avi e pell’alture.
Ma un dì fu catturato, e in tante cure
prigion ne visse e molto e scorse i vizi
del rivale che ‘l diede a’ rei supplizi
e al patibol si giacque in duol altèro.
Allor la salma amata e immensa e pura
in dolente certame or l’Indio al nero
burgo[1] ne
tolse; e all’aura oscura
di Morte si destava un canto fiero.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Venerdì XIX Dicembre AD MMXIV
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