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mercoledì 10 ottobre 2018

Un Assassinio

Il Signor Carlo era un uomo di mezza età, reduce in qualche modo dall'ultima guerra contro l'Austria, sì... quella che portò all'unificazione e alla proclamazione solenne del Regno. Non che avesse rischiato grosso, insomma.... Del resto, in merito a un po' di danaro derivato da una sua piccola attività nel commercio, egli prestò un comodo servizio presso un vecchio comandante, uno di quelli - pienamente Piemontese e fiero di esserlo - che osservavano le battaglie dalle tende o da qualche riparata altura. Niente da temere! Eppure, nel corso della guerra, Carlo aveva racimolato una bella somma di debiti... debiti di giuoco, intendiamoci bene, di quelli che si fanno con la peggior specie di uomini; e in merito a questa gravissima prodigalità, una volta tornato dai campi di battaglia, dovette fronteggiare la crisi della sua attività. E della sua vita!
La moglie, una donna abbastanza sveglia e informata del mondo tanto da non credergli, comprese fin da subito che quelle somme prese da lui dal patrimonio di famiglia e date ora a questo sergente, ora a quel carabiniere, ora questo, ora a quello non erano affatto dovute alle normali spese militari.... "Normali spese militari?" chiedeva tra sé sbigottita osservando scetticamente il marito. "Ma da quando un soldato paga per andare in guerra?!". No! Il suo caro Carlo stava mentendo, le teneva nascosto qualcosa e, probabilmente, la stava perfino burlando. In fin dei conti, diciamocela, ella era di umili origini, mica come lui che, al contrario, vantava un piccolo titolo nobiliare e una zia ricca... macché, ricchissima. Chi lo avrebbe saputo? Forse egli pensava che, essendo stata una bovara sur di qualche vetta della valle, ella potesse benissimo cascarci... crederci e, ovviamente, sborsare.
"Tu... tu, non mi fai queste cose!" brontolò la moglie dopo cena "Tu non me la racconti mica giusta, sai?.... Che? Credi che io sia una mentecatta?".
"Ma insomma, cara... sono cose che vanno pagate!" rispose lui, asciutto... asciutto, con qualche gocciola di sudore accennata sulla fronte, e con un certo rossore in volto.
"Quali cose?!.... Adesso si paga per correre il rischio di pigliarsi una palla in fronte!.... Bravo... bravo il mio soldato! Un vero cavaliere... che prende in giro la moglie e il suo onore. Bravo!".
"Calmati... ti prego.... Insomma, devi sapere che c'è il medico... il...".
"Il medico un corno!" sbottò la donna "Quale medico del diavolo?!.... Ma se non hai nemmeno un piccolo taglietto e mi sembra che tu sia stato bene... benissimo, a non far niente... lontano da cannoni e carabine!.... Bravo! Infinocchiami pure, tanto poi vengo a scoprire tutto.... Nel frattempo, te lo scordi: io non sborso".
"Ma, cara, Elisabetta cara, se non sborsi, finisco nei guai!".
"Che? Ti hanno sorpreso a fartela con il Tedesco?.... Bravo! Continua così!" ansimò la moglie e dopo un breve silenzio disse: "Allora? Vuoi dire quella sporca verità?".
"Ah ah! Dunque pensi che tuo marito sia un bugiardo?".
"Come se tu non avessi mai raccontato menzogne!.... Andiamo! Fuori la verità... o fra poco arrivano gli schiaffi!".
Carlo rimase un po' sorpreso di queste parole. Infatti, era la prima volta che la moglie gli stesse rinfacciando delle menzogne... di essere uno sporco bugiardo - e purtroppo per lui, lo era davvero! - così come era la prima volta che lo stesse palesemente minacciando di dargliele di santa ragione. Poverino lui! Tra sé e sé pensava "Dammi pure questi schiaffi... e poi vedi!". Quante volte, del resto, aveva sentito parlare di uomini onesti, onorevoli e rispettabili che sapevano conciar per le feste le proprie mogli al momento giusto... qualcheduno, a quanto pare, usava perfino il bastone. Ma quella sera, osservando la sua donna, aveva quasi soggezione, una marea di rimorsi... la coscienza gli gridava furiosamente "Ella ha ragione! Te li meriteresti i mille schiaffoni che ti potrà dare!"... e se ella gli avesse alzate le mani, egli si sarebbe lasciato farsi picchiare. No! Non c'era altra soluzione: o le si diceva la verità, o si andava da qualche altra parte a questuare danaro.
Da qualche altra parte! Ma certo! La zia... la vecchia e ricchissima zia!.... Questa signora, tra l'altro, in quel periodo, si trovava nella sua villetta - la sua residenza estiva, diceva lei! - tra il villaggio di O. e quello di D. Bastava aspettare mezza giornata, presentarsi il giorno dopo di meriggio e chiderle la grazia di avere una sommetta... niente di che, solo qualche migliaia di lire per saldare tutti i debiti e liberarsi dei creditori... quegli strozzini! una volta per tutte. 
Certo! anche a lei non poteva dire la verità. Povera zia se la avesse detta! Cattolica com'era, sarebbe svenuta - o peggio - quando avesse conosciuti i giuochi d'azzardo, le ubriachezze, la mancanza di ogni contegno del miserabile, scemunito nipote... un nipote diggià contestato e contrastato dal fatto del suo sposalizio con una povera bovara. Mica come l'altro... quello che viveva a Milano, un gran signore, un vero politico... il futuro del Regno, un grande uomo che intratteneva relazioni con Manzoni, la Maffei... con Verdi. 

Era sera... nel cuore del tramonto. La zia aveva detto a Carlo di tornare di sera... almeno, così egli credeva di ricordarsi perché, alla fine, la vecchia donna era così loquace, così noiosa e pedante che egli non aveva per niente fatto caso alla maggior parte delle parole da lei pronunziate. La classica vecchietta di una famiglia abbastanza prestigiosa, per certi versi abituata a quel mondo oramai spento dove ci si mettevano le parrucche in testa, i nei finti... ci si incipriava il volto.
Da una finestra, quella che dal salotto dava al piccolo giardinetto di montagna, e un po' al vicino roccioso precipizio, veniva fuori un fioco lume di candela... o di lanterna, il quale prestava diggià a tutto il luogo una parvenza spettrale... cimiteriale, un biglietto di visita con su scritto "Qui abita una vecchia signora prossima alla morte".
Carlo oltrepassò il cancello, rimasto aperto dal pomeriggio... strano, no? Di solito la zia lo chiudeva sùbito, ovviamente da sé. Mica si portava dietro i servi nelle sue vacanze! Era così orgogliosa che pensava a fare tutto da sola, e non voleva mai nemmeno il più minimo degli aiuti: doveva dimostrare di essere ancora in vena, no? Non di essere una vecchia, decrepita e consumata signora reduce di un'epoca tramontata e per sempre finita.
In ogni caso, il miserabile nipote andò alla porta e bussò forte, conscio del fatto che la zia era quasi del tutto sorda, tanto che con lei bisognava urlare per farsi sentire. Niente! Bussò ancora più forte, la chiamò anche gridando. Ancora niente... silenzio assoluto! 
A Carlo salì dunque un'angoscia profonda, oscura, un senso di smarrimento e di paura... quasi una terribile e ben radicata nausea, e iniziò a provare freddo... freddo dappertutto, ovunque... scosse di gelo glaciale alla schiena, alle membra... le gambe gli tremavano... pur non sapendone la cagione, voleva tornare indietro, andare a casa... inginocchiarsi alla moglie e dire tutto, confessare di aver scommesso, giuocato d'azzardo con i peggiori soldatacci di tutti i tempi... chiedere una grazia, un po' di compassione, e... naturalmente, un po' di lire. E tutto questo stato d'angoscia irruppe ancora più tempestoso quando egli osservò come la porta fosse rimasta aperta, così... come l'aveva lasciata di meriggio, dopo essersi congedato. Oh Cielo! La zia non chiude più la porta! è così vecchia? Così prossima al suo fato estremo? Che fare?
Carlo spalancò la porta, ed entrò. Immediatamente l'assalì un lieve ma diggià accennato fetore di vecchiaia e di marciume, misto a qualcosa di acre... di aspro, sì... di ferreo, come sangue. Corse velocemente in salotto e qui, si spaventò. 
Infatti, la zia giaceva a terra, sul pavimento, morta da ore... il volto era tumefatto, come se fosse stata presa a pugni, il labbro era rotto e sanguinante... e i lineamenti... gli sguardi, che sguardi! I suoi occhi sembravano infissi in quelli dell'assassino, e parevano lo supplicasse... lo implorasse di aver pietà. Erano occhi aperti, tristi... pieni di pianto, di stupore dinnanzi a tanta violenza. 
Carlo si lasciò andare, cadde per terra, sulle ginocchia; abbassò il capo, fece un impacciato segno di croce, e piangendo, restò così per molto tempo, forse per ore. Poi, tutto d'un tratto, si alzò e si guardò intorno. Strano! Era tutto come lo aveva lasciato. Tranne che due seggiole, le quali erano state rovesciate, probabilmente dal disgraziato che fece così tanto male... che compì questa azione abominevole e gridante vendetta di fronte a Iddio, ogni cosa era rimasta lì dov'era appena prima che di meriggio il nipote se ne fosse andato via: i mobili... il tavolo; le due tazze di Té sopra di questo... i biscotti. Molto... molto strano, davvero! E Carlo osservò perfino che nella tazza della zia c'era ancora del Té e, spezzato e caduto sul piattino sottostante, c'era un biscotto di cui la metà galleggiava resa in putrida poltiglia nella bevanda. No! il nipote non resse... gli venne una nausea così profonda che, per non star male, cercò nelle sue vesti una fiaschetta di odori e se la mise sùbito al naso. Povero lui!
Inoltre, una marea di pensieri e di ragionamenti gli piombarono addosso, lasciandolo in preda a migliaia e migliaia di macchinazioni e di ipotesi, e annebbiandogli la mente sul da farsi... facendo di lui un uomo inerme, fermo... immobile. Pensava, infatti, che se tutto in quel salotto fosse rimasto davvero così come lui lo aveva visto, se la zia se ne fosse stata a terra, a giacere così tumefatta, e se ci fossero stati sul tavolo quella tazza, quel biscotto e quel putridissimo Té, ciò avrebbe significato per forza che l'assassino, al momento del suo congedo, era in casa, o nel giardino... doveva essere nascosto da qualche parte, pronto a colpire. Forse era un poveraccio... passato di lì per caso: vede un cancello aperto, vede proiettate alla finestra del salotto due ombre che parlano, si nasconde, cerca di origliare... arriva a sapere che lì abita una vecchietta ricchissima... aspetta il momento giusto e poi... sì, ma quale crudeltà! A pugni! Non con un pugnale, non con una pistola... o una carabina... a pugni! 
A questo punto, Carlo iniziò ad andare a vedere nei cassetti de' mobili, a frugare sotto le tovaglie, i tovagliuoli... le posate... a vedere se l'assassino aveva appunto portato via del danaro. Lo sanno tutti che le vecchiette nascondono le lire in tal guisa!
"Ma che sto facendo!" esclamò tra sé il miserabile, fermandosi nel frugare "Non è affar mio... non debbo finire ne' guai.... Che fare, però?". 
De' passi si sentirono provenienti dall'atrio, o almeno, così egli credeva.... Tacque, il suo sangue raggelò.... Udì la porta aprirsi. Diavolo! "Qui c'è ancora qualcheduno". Egli si scuote... corre a un cassetto... sente un rumore che proviene da fuori, nel giardino, come d'uno che stesse fuggendo aprendosi varchi tra rami, fiori e rovi... raggiunge il contenitore di una vecchia pistola, la carica... alza il cane.... C'è un'ombra nel giardino... un'ombra furiosa che da un cespuglio, da una siepe, si alza, si erge contro di lui... lo fissa... lo fissa bieco, è irridente... alza i pugni come minaccia. Carlo spara.
La finestra del salotto, allora, si frantumò in milioni di piccoli pezzi, emanando nell'eco uno spaventoso rumore di vetro rotto e di onnipotente tuono... tuono adirato, proveniente da Iddio... il fulmine della vendetta e della Giustizia. Peccato che là, nel giardino, non vi fosse nessuno! Carlo con cautela andò a osservare dal davanzale... non prima di aver ricaricata l'arma - era, infatti, una pistola del periodo napoleonico, o giù di lì. No! Nessuno. Eppure aveva sentito de' passi, aveva udita la porta... e poi, aveva vista quell'ombra irridente.... No! Qualcheduno stava facendo il furbo... lo stava portando a impazzire... qualcheduno abile nel farsi credere uno spirito demoniaco, crudele... un fantasima assassino dei poverelli; probabilmente qualche rivale della zia - e ne aveva! - o nemico suo. Ahimé! In un solo attimo, si figurò perfino che fosse uno de' suoi aguzzini, dei creditori, che lo aveva trovato... aveva sentito e intuito che la zia lo avrebbe aiutato e così, pensò di agire per bene, per metterlo nei guai, per farlo star male... forse per ucciderlo. No! L'idea era stolida e non poteva reggere... e non era nemmeno un incubo.... Lì, tutto era vero.
Ora, però, Carlo notò sur d'una sedia una lettera che, secondo quanto ricordava non c'era... una lettera aperta... e lasciata lì, come se fosse cagione di dolore e di disperazione. La prese e la lesse. Semplicemente il nipote di Milano si scusava con la zia circa il fatto che per le prossime settimane non sarebbe riuscito a venirla a trovare perché impegnato in certe questioni politiche e parlamentari, inerenti al nuovo governo a Torino. Mah! Carlo aveva letto de' libri in merito... di quelli che andavano di moda in Inghilterra e oltre oceano, e che parlavano di assassini. Chissà, forse il colpevole era il cugino milanese... quel ricco egoista e prepotente! Forse voleva affrettare il momento dell'eredità, e così ideò la lettera, l'espediente.... No! No! "Questa è demenza!" asseriva Carlo, "lo sto accusando semplicemente perché lo disprezzo!".
Ma che fare, adesso?.... Non si poteva per niente far finta di nulla, andare per il prete, far benedire la cara salma e finirla così... anche perché nessun parroco sarebbe stato così sbrigativo da non farsi due domande in merito a quello stato della defunta. Bisognava scendere immediatamente in città, a quest'ora! in piena notte! e informare l'autorità. E se vi fosse in giro un assassino sanguinario? Meglio avvertire sùbito... e meglio scendere armati. 
Così Carlo tenne ben stretta la pistola, prese il suo astuccio, tutto il necessario per farla funzionare per bene... evitò di toccare altro, uscì dalla villetta e si diresse verso la città, dove in lontananza, tra le brume delle montagne e della valle, si intravedeva il campanile secentesco della Madonna del Sangue.

Mai fatto un sentiero di notte... mai affrontati i sentieri, i dislivelli... le rocce, e tutte quelle piccole insidie della natura di montagna... e specialmente, mai entrato ne' boschi notturni! Carlo era tale, e appena inghiottito nella stretta d'una selva alpina, con i canti lugubri delle civette, e tutti gli altri versi animaleschi e rapaci, si sentì invaso e minacciato da presenze inumane... spettrali... sicuramente demoniache. Si sentiva trascinato interiormente da una forza potentissima e sovrumana, una possa da Inferno, prepotentemente insistente e baldante... trascinato da qualche parte... sì, ma appunto, dove? Ogni volta, ogni istante, gli pareva di sentire de' passi altrui farsi avanti insieme con lui... una presenza d'un qualche Dimonio o giù di lì... forse della Morte stessa... di quell'ultima estrema fatalità che, non paga della zia, voleva fors'anche il nipote.
Allora un mondo di superstizioni e di fantasie crudeli e mal represse gli si faceva avanti, lo avvolgeva... e anche di Fede, la voce d'Iddio che lo giudicava e lo condannava per essere uno stolido, un giuocatore d'azzardo... un vile mentitore... uno spergiuro. Era colpa sua... colpa del nipote, se la zia era morta! Se non le avesse mai chiesto del danaro, probabilmente l'assassino non avrebbe udito niente... non avrebbe conosciute le ricchezze della vecchietta... e, sicuramente, non la avrebbe mai uccisa... e in che modo la uccise! A pugni! Questo dettaglio era più crudele e malvagio di tutto il resto, poiché denunziava odio... odio profondo, incolmabile... una rabbia disnibita e istintiva. Una bestia! Una bestia selvatica avrebbe potuto fare questo, un uomo no!
A pugni! E ora la foresta intera, con il suo stormire, con i suoi versi, con le cantiche delle nottole, sembrava prendere a pugni quel miserabile omuncolo che era Carlo... ogni roccia era uno schiaffo, ogni ramo un calcio... qualcheduno lo stava seguendo... lo voleva morto. E più volte il disgraziato prese la pistola, si fermò... la puntò da qualche parte. Poi quando vedeva che non c'era nessuno, la riabbassava... e per il momento, finiva lì. Chissà quante e quali immani tragende si consumarono diggià in que' dannati luoghi silvestri dove le fole popolari si figuravano sguardi di fate da non vedere - perché se visti, avrebbero provocato l'immediato trapasso dello sventurato - bestie feroci e fameliche, spettri vendicativi per qualche torto subìto nel Medioevo!
Per la prima volta dopo lunghi e intensi anni, Carlo iniziò a sussurrare tra sé qualche piccola preghiera... detta a metà, perché in fin de' conti non se ne ricordava più molte.... Tentava con il Pater Noster ma non ce la faceva... con l'Ave Maria nemmeno. Al di là della morte della povera zia, perché mai ogni volta che tentava una preghiera gli riusciva quasi genuinamente il Requiem...? 
Poveraccio! Forse s'era anche perso... ed era arrivato a una sponda - non sapeva quale - del gelido Melezzo; ed era stanco. Allora Carlo si sedette sur d'una grande roccia, sulla riva... e guardò giù. La Luna era alta in cielo, ed era piena. Eppure... no! Non poteva essere! Egli non aveva più un'ombra... un'ombra! la sua!.... Le acque del torrente, infatti, riflettevano al chiaro lunare il bosco, le pietre... tutto, fuorché lui... la sua dannata ombra, la sua miserabile anima peccatrice. 
Si risvegliò come dopo un sogno... dopo un incubo, la sua mente si rischiarì e ricordò ogni cosa che aveva voluto dimenticare tanto fu grande lo spavento e lo sdegno di se stesso. Guardò in basso... le onde erano alte. Si gettò furiosamente dentro; e si lasciò annegare. L'assassino si fece giustizia da solo.

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Johann Heinrich Füssli, Il Sogno del Pastore, Pre-Romanticismo tedesco, 1796



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Mercoledì X del Mese di Ottobre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

lunedì 8 ottobre 2018

L'Astinenza

Una fanciullina quasi terrorizzata dalla nuova vita in questo sperduto e dimenticato villaggio.... I suoi occhi, allora, traspiravano un inquieto sentimento di melanconia, un non so che di nostalgico misto a un lontano strale di speranza; e andava a raccontare quella sua esistenza che, trascorsa in una piccola città, era ancora breve e immacolata, oppure semplicemente fragile come una foglia di primavera nel bel mezzo di una tempesta: come poteva resistere alla pioggia scrosciante, alle urla feroci dei tuoni, alla furia dei lampi e alla grandine, così correva il pericolo di staccarsi dal ramo, di precipitare in una pozzanghera o nel fango, e di morire. E chi mai non è stato fragile da bambino?.... Ebbene, una fanciullina che giuocava a correre intorno a un vecchio tronco, e che era sorvegliata da un uomo, sicuramente il padre. 
Una fanciullina! Così se la ricordava il Signor Rodolfo, giovine maestro di scuola che, ogni giorno dei mesi scolastici, passando per irti e sassosi sentieri di montagna, doveva scendere dal villaggio di O. fino alla cittadella sottostante. Lo sguardo sopra la via; gli occhi a contemplare le nebbioline del Gheridone.
Una fanciullina allora insignificante come la comparsa del più inutile degli araldi in più di una di quelle Tragedie che egli aveva poi letto... una femminuccia, sì... carina, gentile, bella, con i suoi modi diggià cittadini... ma pur sempre una femminuccia. Non che odiasse le donne, s'intende; ma Rodolfo non comprendeva bene e non comprese questo strano e bizzarro mistero per cui per ogni specie vi sono il maschio e la femmina... anzi, tutto ciò lo imbarazzava anche. Del resto l'assillo della sua vita fu questo: "Perché esisto? e perché son uomo?".
Sia chiaro, ai tempi egli stesso era un fanciullino; e come tale, innocente, fragile e immacolato. Eppure sentiva un non so che di spirituale così come qualcosa di erotico dinnanzi a una donna; e tutto ciò lo turbava. Forse, di fronte a questa pargolina, si sentiva spinto da qualche forza soprannaturale e sovrumana a un mondo di Angioli, di Cherubini e di Ideali; e, nonostante ciò, già immaginava come potesse essere questa bambina una volta cresciuta: la fragranza dei suoi capelli lisci e corvini, sì, quei capelli che sognava di baciare o dei quali immaginava sciogliere ogni piccola treccia; la sensualità dei suoi occhi; la bellezza di quel petto contro cui il cuore prima o poi avrebbe dovuto battere cadenzato da palpiti di spirito e di carne... e chissà, forse quegli istinti sarebbero stati spesi e spremuti proprio per lui! No! no! Che vergogna pensare e immaginarsi queste cose! Perché mai rendere immonda la fanciullezza spensierata con queste immagini peccaminose?....
E poi la fanciullina, in fin dei conti, in merito a certi vivi campanilismi, era una estranea... una straniera. Benché fosse ella pure del Regno che s'era appena, appena formato, benché l'accento fosse chiaramente di quelli che tuttora si ritrovano nella parte più alta del Piemonte e che molte persone un po' più meridionali prendono sovente in giro, e benché arrivasse soltanto da quella cittadella che stava circa sei miglia più sotto, ebbene, ella era come una straniera... come se fosse arrivata dalla Svizzera, nemmeno quella del confine, ma quella del nucleo più teutonico. 
Giuocarono... sì, di questo Rodolfo si ricordava; e si rimembrava altrettanto attentamente che la fanciullina aveva espresso il fatto che si rendeva conto di essere un'estranea, una da evitare... una con la quale tutti avrebbero giuocato ma senza legami profondi e indistruttibili. Probabilmente, se fosse stato un fanciullo avrebbe spesso richiamato qualche monello dalla città e avrebbe fatto a botte con questi zoticoni di paese... Rodolfo compreso. Probabilmente, il futuro maestrino avrebbe agito in tal guisa; anche se, in realtà, non era proprio quello giusto per fare a pugni con qualcheduno.
Giuocarono, sì... ma dopo quella volta, dopo quella sera di fine agosto, in cui da entrambe le parti serpeggiavano numerose le preoccupazioni per la scuola ventura, dopo quei piccoli momenti di svago e di tensione, non si rividero mai più. Almeno, con il senno di poi e con i più dolci e amari ricordi, Rodolfo pensava che non la avrebbe mai più rivista.
Ora che si sbagliava, però, ora che aveva riconosciuto questa fanciullina in una giovine donna che tutto d'un tratto gli era apparsa in mezzo a' libri e con la quale aveva intessuto brevemente degli elogi ai volumi del Signor Nievo, queste ricordanze gli tornavano in mente tempestose, turbinose... come Furie inesorabili slanciate alla caccia da un Destino non meno misterioso e fors'anche crudele... come se tutto, fin dall'inizio, ossia fin da quell'incontro fanciullesco, fosse stato scritto... scritto a caratteri leggibili per Dio, certo, per un uomo un po' meno.
In ogni caso a Rodolfo sembrava quasi che quella volta, quella sera di fine agosto, la Vita stessa gli si fosse presentata e gli avesse destinata come compagna e sposa quella fanciullina... quella donnicciuola che adesso gli stava di fronte, e che andava ad accennare discorsi su libri e poesie. Che bellezza! Che maraviglia! Ella conosceva molto bene i versi de' bardi inglesi e gli consigliò di leggerne qualcuno; e quasi per incanto, gli parve che ella sapesse bene delle sue inclinazioni poetiche. Sì, quella sera turbolenta d'una passata e lontana estate, era interesse... era amicizia... era Amore il silenzio che intercorse tra i due bambini, ora cresciuti e ora di fronte l'uno all'altra, forse pronti e destinati a un abbraccio inesistente, a una dichiarazione fatta di mute parole. Cosa dissero e cosa avrebbero potuto dire i loro occhi in quei nuovi momenti di riscoperti legami mai esistiti, di forzato Destino, oppure, di Fatalità che li forzava nella morsa sua furiosa, nelle sue fauci dissacranti e demoniache, contrarie a Dio! Cosa disse Rodolfo con il suo sguardo, e cosa ne avrebbe potuto comprendere la giovine donna!.... E tra una piccola e breve critica letteraria e un'altra, il maestrino faceva scorrere fugacemente lo sguardo alle mani della fanciulla, analizzandole ogni dito... in cerca spasmodica e patetica, probabilmente grottesca e ridicola, di qualche pegno d'Amore altrui, d'altrui onore o impegno... d'un anello. Egli, infatti, non si sarebbe mai perdonato di amare una donna già impegnata.... Ciò, pur involontario e nato da ignoranza, sarebbe stato adulterio, un gravissimo peccato dinnanzi a Dio... e Rodolfo aveva molta fede in Dio.
Il prete del villaggio e molti compaesani, non a caso, lo vedevano forse in vesti talari... a entrare in seminario, a consacrarsi. Così anche la Signora M. la proprietaria e l'ostessa della locanda in sulla piazza, quella vicino alla chiesa, dove se un giorno vi fossero capitati de' carabinieri, più di mezza vallata sarebbe finita in prigione, tanto quel luogo era colmo di que' contrabbandieri i quali, giurando con noncurante blasfemia sulla Madonna del Sangue, si figuravano immense imprese oltre i confini. Così perfino il Signor C., un vecchio energumeno di più di ottant'anni, un gigante, diciamo, un contrabbandiere in congedo, il quale maravigliava sempre i giovinetti con la sua incantevole maestria nel maneggiare con semplicità e senza fatica tronchi per i quali la recluta più forte e prestante, al contrario, avrebbe palesato un certo imbarazzo. Ma Rodolfo, silenziosamente, senza rimostranze a costoro, o semplicemente pensando senza riscontro alcuno che queste persone stessero macchinando questi pensieri, non ne voleva poi sapere. Quante inclinazioni aveva all'Amore tra l'uomo e la donna! Quanti passati e sprecati ardori platonici! Sì... un po' gli dispiaceva non essere chiamato da Dio all'altare o al monastero. Si figurava, infatti, che la via della Consacrazione fosse la migliore per la salvezza, per farsi salvare... aveva questa malsana idea per cui un religioso, quando adempisse con semplicità a' suoi più minimi doveri, sarebbe sicuramente salvo. Ma non aveva questa vocazione; e in fin dei conti, andava bene così. 
E ora la sua inclinazione all'Amore iscoppiava prepotentemente ancora una volta nella sua vita. Infatti, quella fanciulla, quel nuovo incontro gli rimasero così impressi nella sua mente che ormai tutto ruotava intorno a questi. I suoi sogni, i suoi desideri orbitavano intorno alla giovinetta sua; i suoi respiri erano davvero respiri se degni di essere sprecati per lei... di essere consumati per sognarla di tenerla a braccetto per le vie o del villaggio o della città, di attenderla furtivamente nel crepuscolo vicino a un bosco, e contemplare con lei la bellezza del tramonto... la melanconia di quelle tinte che invadono il cielo quando il sole decide per natura di essere stanco di alluminare questa parte di mondo, e fugge altrove, pur rimanendo fermo... inesorabile, al centro di un piccolissimo e insignificante sistema... di un sistema, sì, Dio l'ha detto, che non è niente davanti all'Eternità... è pur tutto davanti a un uomo solo, ma poco di fronte a un uomo che stringe a sé la propria donna. Oh potenza dell'Amore! E Rodolfo appunto sognava... sognava il tramonto, l'Universo raccolto in un abbraccio... Iddio che si manifesta nella sua Divinità in un bacio e dice "Adoratemi nell'Amore, oh amici mortali! Accoglietemi nello schiocco silente delle labbra che si incontrano per manifestarvi, l'uno con l'altra, quel tutto me stesso che nascostamente è sempre stato ne' vostri cuori!".... Sognava, ma non agiva! Sperava, ma non combatteva!
Così passò un giorno... una settimana... un mese. Passarono i mesi. Ogni pomeriggio, ogni sera venivano da lui sprecati a cercare volontariamente un incontro... un finto incontro casuale con l'oggetto de' suoi santi desideri: e passava vanamente per la sua via, e l'attendeva vanamente per i sentieri sui quali ella moveva spesso i suoi passi, e l'attendeva di nuovo indarno presso i libri. Nulla! Niente! Lo sforzo era vano... era una Vanità assoluta.
"L'ho perduta! L'ho perduta!" allora esclamava sovente ne' più tetri e velenosi momenti di sconforto e di disperazione... "L'ho perduta!" continuava a dire e a ripetere, i suoi pensieri rivolgendo verso questa persona che, in realtà, non ebbe mai. E si disperava... e a stento fermava le lagrime agli occhi.
"L'ho perduta!" così diceva, dopo che una volta la giovinetta si era ripresentata in mezzo a' libri, ma non si trattenne più di tanto, anzi, fuggì quasi subito via indicando come cagione di tutto ciò l'incomebenza di un oneroso impegno. "L'ho perduta!" ripeteva "Del resto non è stolida, se ne sarà accorta... e non vuole aver nulla a che fare con me"... e mentre sussurrava a sé queste parole, ispirato da una forza occulta, divina o demoniaca che fosse, iniziava a scrivere - e scrisse - poesie profonde, versi in uno stile romantico che la gente eletta avvicinava a Leopardi e che avevano come tema la Gioia... la Gioia di amare, di sognare... di soffrire per tutto questo. Ma non era davvero tutto!
Ora Rodolfo le scrisse una lettera - che avendola nervosamente e stupidamente gettata in uno di que' sentieri da entrambi percorsi, a lei non pervenne mai - in cui si complimentava con lei per certi suoi dipinti ritraenti la bellezza e la serenità della Natura, nelle sue ripetute e sempre belle stagioni; ora si immaginava che ella sarebbe ritornata e allora, quando questo fosse accaduto, sarebbe stato bello metterle un'altra lettera più intima... d'Amore all'interno di un libro, consigliargli quest'ultimo... darglielo e, che Dio ne sostenga! E, ancora, non era tutto....
"Me ne impipo se a settembre inizia la scuola", "Al Demonio i mocciosi e gli ignoranti!", "Mi butti pur fuori a calci un qualche ministro", "No! No! Impegnarsi per cosa?", "E se mentre insegno, proprio in quell'istante, diavolo! ella passasse finalmente dove l'ho sempre attesa?"... queste erano frasi che ultimamente diceva tra sé, e in cuor suo aveva pure propositi di trascurare il mestiere. Rodolfo! Un tipico e proverbiale inetto a vivere... non uno scansafatiche... non uno di quelli che scaldano la propria sedia alle spalle di altri; eppure un pazzo... un folle che si ripeteva che, alla fine, il lavoro non conta niente se non si ha l'Amore. "Venga l'Amore e poi venga il lavoro"... il primo serve per vivere, il secondo per il pane. "Quale de' due è il più importante?". Oh! Certamente tutt'e due... ma un inetto questo non lo sa. In realtà, tale inetto non sa bene che è inutile sfidare il Fato, combattere contro di esso... altrimenti sarebbe un po' presuntuoso, un po' come se si stesse sfidando a duello il Demonio in persona, come se, ignorando la Croce di Cristo, si volesse conciare per le feste questo grande Accusatore... farlo a pezzi, con le proprie mani; e dire prima a se stessi poi a Dio "Ecco! Il Diavolo giace trafitto a' miei piedi!".... Oppure, sarebbe come se si stesse ergendo una spada minacciosa direttamente a un intervento della Provvidenza la quale, tante volte, è solita usarsi del Male per correggere l'uomo e riportarlo sulla buona via. No! L'inetto non sa queste cose... è una specie di mellifluo e contraddittorio egoista aperto all'Altro e alla nullificazione di se stesso... un narcisista all'incontrario... uno che non vuole godere di soffrire eppure si mette nella situazione in cui si soffre e, allora, un po' gode non dico di provare sofferenza ma di essere capace di non rifiutarla.... E Rodolfo, appunto, era un inetto!
Poi cosa dire? Nella sua inettitudine si sentiva anche un miserabile provinciale: sarà stato un maestro, un poeta... ma rimaneva uno stolto abitante di una terra montuosa e sperduta, fuori del mondo e della sua storia. Come poter tessere durature relazioni con una persona che, invece, da' suoi discorsi, traspariva aver veduta l'Europa, le grandi città... l'Inghilterra! La giovine donna, infatti, era stata ad Albione; e lì, Rodolfo la immaginava contemplare le grandi opere letterarie de' vecchi e nuovi bardi, o inchinarsi lievemente e con grazia dinnanzi al passaggio della vecchia amata Vittoria e del seguito suo che, nella vecchiaia, la sorreggeva, oppure tener salotto da qualche Lord, accanto a un'infinità di diversi sapori di Té. No! non poteva minimamente stare vicino a una persona così aperta, europea... acculturata; una persona che, se avesse ella voluto, avrebbe fors'anche fatto dell'insegnamento e della poesia di lui una totale, completa... assoluta maceria... una rovina. No! se Rodolfo fosse stato con lei, le avrebbe certamente rovinata la Vita... l'avrebbe quasi costretta, anche involontariamente, nel silenzio dell'Amore, a un'esistenza ancorata a un villaggio di due capanne e una chiesetta... alla piccolezza di un mondo sconfitto dalla contemporaneità e dal progresso... alla sua visione poetica e bucolica oramai sulla via del tramonto. No! la fanciulla aveva bisogno di incontrare un uomo di città, un grande finanziere, un ambasciatore... o un impresario... un che da Milano l'avrebbe poi portata nel cuore di Parigi, di Londra, di Vienna... di Berlino, che la avrebbe fatta conoscere ne' migliori salotti... per i più prestigiosi e nobili palchi d'Opera. Oh! se questo fosse accaduto! La giovine donna avrebbe potuto acculturarsi ancor di più, coltivare maggiormente qualche vena artistica, e riscoprirsi tra le più alte sfere che reggono l'Umanità!.... No! Rodolfo non poteva fare tutto questo tant'era piccolo e insignificante dinnanzi alla grandezza del mondo e de' suoi uomini!
E poi... tutto quell'argomento scandaloso e fonte di vergogna: i sensi, il loro appagamento! Che fare? Non si è soltanto di spirito! Da una finestra, di notte, traspare un fioco lume. E Rodolfo sa che in quella dimora abitano due nuovi sposi. Se la immagina: una finestra un poco aperta, l'oltre di quello che protegge nascosto da piccole tende; la gaiezza di due sguardi che si osservano naufragandosi l'uno con l'altro; i respiri frementi... agitati, i sospiri; parole sussurrate alle orecchie solleticate da reciproci piccoli, impercettibili morsi; petali di rosse rose al centro delle candide lenzuola; il conflitto di due Anime unite da Dio e separate da due corpi... il gentile scontro di questi ultimi... se ne va la purezza, se ne va l'Amore... Cristo di nuovo è crocifisso... è crocifisso sulla nudità di questo Adamo e di questa Eva... e attende... attende in Croce che possa risorgere da un germe... dal ventre di una donna che perderà il suo nome per farsi chiamare madre... e Cristo risorge... e poi? Tutto si ripete, ricomincia... muore di nuovo crocifisso sopra i vermi di un sepolcro. Oh Umanità! Oh Umanità! lo crocifiggi sempre questo tuo Dio! E allora, "Allontanati, Satana! Allontanati, Satana!". 
Rodolfo si concentra... fa un grande respiro, butta fuori il Demonio e torna a concentrarsi sul mestiere. Addio, Amore, per sempre! Addio, gaia felicità d'amare! Vengano gli impegni... la fatica... il sudore.... l'Amore è sconfitto!
Un giorno, dopo queste tempeste, il maestrino stava camminando in città, placido... sereno. Usciva da scuola; e la lezione da lui impartita ai monelli doveva essere andata bene. Nonostante tutto, lui sì che si impegnava, mica come altri... veri scansafatiche! A un certo punto, lungo una via, incontrò la giovine donna. Un sussulto lo irrigidì... il suo sguardo, il suo corpo... tutto di lui, anche se continuava a camminare, pareva immobilizzato... intorpidito... i suoi rigidi occhi cercavano di guardare in alto... in alto, in cielo.
"Buongiorno, Rodolfo!" gli disse la fanciulla.
"Buongiorno!" egli le rispose con la freddezza di un impiegato che fa vedere i precisi, infallibili conti della giornata al proprio capoufficio.
Egli tira dritto, non riesce nemmeno a volgere un mezzo sguardo per guardarla; ella non sembra poi così tanto colpita... accenna a un sorriso, poi prosegue... proseguono entrambi, per parti opposte. 
Il cuore di Rodolfo piangeva... ma egli non se ne accorse. Prese soltanto coscienza che un'ignobile marea oceanica di imprecazioni represse e mai dette gli scendevano dalla testa, pronte a uscire di forza dalla bocca e a scandalizzare ogni cosa. Ormai la Vita si era drammaticamente separata da lui, ormai era nell'Anima più morto che vivo; e per un'altra definitiva volta, la fanciulla per la quale distillò sogni, desideri e speranze divenne nient'altro che una comparsa... la comparsa di una Tragedia umana per cui Iddio stesso prova un'infinità di dolore.

John Maler Collier, Lady Godiva, Pre-raffaelliti, Tardo-Romanticismo e Simbolismo inglese, Seconda Metà del XIX Secolo


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica VI del Mese di Ottobre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.