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venerdì 5 novembre 2021

Fiaba poetica - La Scimmia bianca

C’era in Catai un giovine Imperatore

che cercava per prendere una sposa.

Venne la figlia di un dei Mandarini,

gli si prostrò e regalando oro e argento

disse: “Signore, se mi reputaste

degna d’esservi moglie mai - lo giuro -

vi mancherebber simili tesori!”.

Ma il giovinotto sedeva annoiato

sul trono e forse non la udì nemmeno

sì che ella uscì con mille scuse e inchini.

Giunse la figlia dello Scià di Persia

con un’intera carovana e tante

danzatrici: “Signore, il Re, mio padre,

vi manda i suoi saluti e vi vuol dire

di accettarmi qual sposa; allor dei due

Regni sarà uno solo e un sol tesoro”.

Ma il giovinotto non sembrò colpito,

cosicché congedò tutti. Poi venne

ricolma d’arme la figlia del Khan,

che gli promise in dote mille e mille

guerrieri per conquistar tutto il mondo.

Ma ancora l’Imperator più non scelse.

Così passarono da lui le figlie

degli shogun, dei samurai, del Moghul,

le pallide fanciulle degli Czar,

dei Boiardi e costor portavano oro,

adamanti, tesori, arme, gioielli;

ma egli tutte quante ben disdegnava.

Venne una contadina, mal vestita,

con in spalla una scimmia tutta bianca,

con dei sacchi di riso e dei cestini

di germogli di tè: “Vengo a te e porto

questi poveri frutti di campagna,

le uniche cose che ho e che ti dò

volentieri, e con questa scimmia bianca

che mi aiuta il tè a raccogliere quando

germoglia. Sono doni molto poveri,

ma una volta io ti vidi e mi piacesti

e, volendo ascoltare i Sogni insani,

ho voluto venire a te per dirti

che ti considero saggio e che ti amo”.

L’Imperatore molto fu colpito

da simili parole e dalla povera

fanciulla, che gli sembrò anche stupenda

e che dinnanzi a lui non si inchinava

e che non gli portava tesori e oro,

sicché decise di sposarla. Poi,

ai Mandarini, ai fieri ambasciatori

di Persia, di Kiev, dei Khan, degli Czar

che mormoravano or disse: “Le vostre

figlie mi hanno chiamato Imperatore,

mi hanno coperto del loro superfluo,

costei mi ha data la sua essenza e ha detto

quel che nessuna di loro osò dirmi,

ossia che mi ama”. Ma quegli altri andarono

avanti a mormorare. Allora il Re

li condannò all’esilio; e se mai fossero

ritornati sarebbero finiti

in prigione a marcir co’ lor tesori.

Dipinto di Tranquillo Cremona (1837-1878), Marco Polo alla Corte del Gran Khan, Tardo-Romanticismo, Accademismo, Scapigliatura italiana, 1863. Olio su Tela. Galleria Nazionale d'Arte, Roma.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Venerdì V Novembre AD MMXXI.

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