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mercoledì 11 febbraio 2015

Le Ballate d'un Trovator di Provenza

Il Diseredato

Or errando ne volgo al vostro lito,
e al serico convivio un strazio i’ canto,
e in eterno soffrente e qui smarrito
queste corde fatal ne sòn col pianto;
e mesto i’ fui un signore,
e ora ne sono un meschin Trovatore.

Allor a queste porte e sanza un stemma
allietando i messer mi lagno al Fato,
e d’ansie lamentanze un’alba gemma
delle madamigelle i’ copro, e guato
un cavalier ne son diseredato,
e pe’ boschi e le ripe e vagolante
all’incognito volgo, un reo viandante,
che un giorno ne soffrìa d’onor cotanto.

Così la Notte bruna è ‘l tetro rito
‘ve precando ne poso a un sasso affranto,
e covo in tra le nubi, ‘l ciel sopito,
l’Ecate fregia di Sorte ‘l mio manto;
e mesto i’ fui un signore,
e ora ne sono un meschin Trovatore.

La Dama attoscata

Rigida giace dinnante al boccale,
e ‘l volto si lamenta in spiri estremi,
e un tavolo le inghiotte ‘l viso - opàle -
e ‘l sembiante si pinge or d’anatèmi.

Giovine muore nell’atrio e nel fosco
orribile liquor che ne beveva,
e un dito ne distilla un fior di tosco,
e ‘l Destino la Morte un dì schiudeva,
e la dama è suicida: e un dì gemeva
or cotanto d’Amore e d’orbo duolo
che ‘l verme premer volle in negro suolo,
nel tramonto pallente or d’orbe spemi.

Bionda ne spira, e in spasimo fatale,
nel lamento de’i spiri e d’ansi gemiti,
e un tavolo le inghiotte ‘l viso - opàle -
e ‘l sembiante si pinge or d’anatemi.

La Provenza nell’Inverno

Alfin i’ ti riveggo, o mar cortese,
co’ gli ostelli di marmo, e ‘l suol di nevi,
e quivi all’invernale e queto mese
l’onde i’ ti bacio, i capei di sollievi;
e gela ‘l maëstrale,
e ghiaccia l’orizzonte provenzale.

La bruma ne nasconde le magioni,
gli atri melliflui de’i lieti messeri,
e i ghiacci si discendon lieti e proni,
qual da’ un calle lo stuol de’i cavalieri,
e i tuoi liti i’ ne premo, e i tuoi sentieri,
e a’ salsedini i’ canto in mesta cetra,
e a’ tuoi scogli di nebbie e d’ansia pietra,
‘ve un dì di Poësia a me ne gemevi.

Allor a questo verno i’ fò palese
che i sassi tuoi i’ contemplo e nivei e grevi
piucchè di Primavera la maggese,
e i ghiacci tuoi mi son e dolci e lievi;
e gela ‘l maëstrale,
e ghiaccia l’orizzonte provenzale.

Un notturno Canto trobadorico

Tra le fronde e in sul liuto e come un Vate
febbricitante i’ canto, e a’ questa sponda
mestamente i’ mi lagno, e pe’ ansie fiate
alle stelle la voce è fremebonda;
e all’incognito s’erge un tetro canto,
flebile accordo di speni e di pianto.

Un arpeggio sen vola al pio verone -
lo strazio d’una prece disumana -
e tremula s’irrora la canzone
a’ capei di fatal, fanciulla arcana,
e la Notte si splende, e cupa e vana
la lagnanza n’adduce all’infinito
aëre d’ansie nel soffio smarrito
d’un canterino vento in sur d’un’onda.

Allor tramontan l’albe or silenziate
del sperar del lamento, e pria che infonda
un giorno più novèl le fiamme ambrate,
questo liuto i’ ne taccio a’ Luna bionda;
e all’incognito or muore un tetro canto,
flebile accordo di speni e di pianto.

Vita d’un Cavalier errante

Messer che non si posa, eternamente
cavalier di Provenza indarno i’ sono.

Turgidi i passi del bruno destriero
pelle selve ne vanno, e altrove e a’ monti,
e l’acciaro i’ ne tengo al fianco, e fiero
mestamente contemplo gli orizzonti
che là, in sul ciel altèro,
perenne mi difforma - amaro ‘l vino -
l’inesorabil grido dell’empio Destino.

Messer che non si posa, eternamente
cavalier di Provenza indarno i’ sono.

Muto di Corte, d’Amor incostante
all’Ignoto i’ ne vago, e canto e gemo,
e i sentieri ne seguo or d’un viandante,
e al piano e in fin a’ cime, e al monte estremo;
e flebile arpeggiando or nulla i’ temo,
e inconsutile m’è ‘l peregrinare,
e invisibil m’annega un bieco mare,
putride l’acque perfin delle fonti.

Messer che non si posa, eternamente
cavalier di Provenza indarno i’ sono.

L’alta magione e ‘l suo valico nero
vagolando i’ contemplo, e i spenti ponti,
della pugna una fiamma - un tristo cero -
terribile mi sclama: «Fûr i Conti!»,
e là, in sul ciel altèro,
perenne mi difforma - amaro ‘l vino -
l’inesorabil grido dell’empio Destino.

Messer che non si posa, eternamente
cavalier di Provenza indarno i’ sono.

La Preghiera del Trovatore

Ansimando e soffrendo i’ volgo a’ cieli,
e ne’ notturni geli
della Luna n’ammiro i falbi veli,
e al Divin i’ ne preco:

«Abbi pièta, oh dell’orbe Iddio Signore!»;
ma vano è l’implorar d’un mesto core,
di Notte un occhio cieco.

Ma vano è l’implorar di tetro Amore,
desir, singulto bieco!

Il Torneo, ovvero la Tenzon de’i Cavalieri

Negri i destrieri sen vanno al duëllo,
tristi i messeri n’impugnan gli acciari,
e in sul vespro si lagna ‘l truce augello
del Fato e della Morte in gridi amari;
e gemono gli squilli
al sànguine versato in su’i vessilli.

Formidi i prodi si stanno al torneo,
l’aride lance galoppan furiose,
e in scialba damigella or fia ‘l trofeo
di quest’aspre tenzoni tempestose;
e l’ispade ne son e cieche e irose,
e poscia l’affrontar, dal bieco Fato
un giovine si muor disarcionato,
di sangue qui tergendo immensi mari.

La vittima si giace al suol rubello,
spento lontano da’i tetti e da’i cari,
e al pèttore ‘l trafigge un arboscello
d’una lancia crudel e d’armi impari;
e gemono gli squilli
al sànguine versato in su’i vessilli.   

Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì X, Mercoledì XI Febbraio AD MMXV

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