Fìlema, oh fìlema.. oh tu che sai il viaggio
che auspica il fior delle labbia
lontane,
con un algido tremito selvaggio,
come un canto di salmodianti rane,
dove vai?... Corri agli scogli ipogei
del fragoroso Oceano d’Amore,
con una mela d’oro per gli Dei,
pel gleso di Ilion, dei Teucri in dolore.
Rimembri? Il pianto per te dell’Argiva,
di Ate vittima infame e del tuo ciglio,
giacché per altra in lontananza riva
l’oppido corse l’estremo periglio.
E tu bëando nell’atarassia
ti fai gloria del tuo arco neghittoso,
dardi scagliando per la lunga via
del Desiderio fulgente e amoroso.
Oh fìlema, sagittabondo sonno,
obnubili le fiamme della Luna,
quando codeste naufragar non ponno
che nei Misteri della tua fortuna!
E il vello che tu lambisci alle labbia
si raffina in un tocco di vero oro,
ma il diletto poi s’abbuia come sabbia
quando muori, lasciandovi un tesoro.