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giovedì 25 gennaio 2018

Un Addio del Sahara

Lo sguardo effìmero
d'un fiore, l'ùltimo
che la tempesta
ivi ha nutrito
del deserto, àgile
alla funesta
ombra contrito
del Sole d'Africa
or si rivolge.
Scruta tra' i tròpici
dell'orizzonte,
ascolta il mùrmure
del folle Oceano
da cui un dì vènnero
i suoi oppressori.
Suda la fronte
nera, e i sudori
scèndon tra làgrime
che tanto càntano
più mesto addio
alla sua terra,
alle sue belve,
un cupo càntico
silente e tàcito
che va per l'ètere
che brucia impàvido
per l'atmosfera.
Sente ei la guerra
che tra le selve
sìbila e tuona,
con le catene.
Tarda la sera.
Non è che un giòvine
imberbe pàrgolo
illuso e misero
che non del tàlamo,
non delle prònube
odi ha l'età;
ma adolescente -
appena... appena -
ancora vive
il blando àttimo
di vecchie fole,
di Sogni e d'ìncubi,
dinnanzi a sé
ha Vita intera.
Pur triste va
via da sua gente
che curva ischiena
alle corrive
miserie oscene,
dove la prole
di fame muòr.
Scruta ne' i pàlpiti
bei d'una ròndine,
il cuòr le intèrroga,
con lei desìdera
a Primavera
fuggìr dall'Africa,
sogna l'Europa,
colà imparare
un buon mestiere,
fare fortuna,
e a sé chiamare
i familiari.
Sogna sposàrsi
con falba Luna,
o stella nera,
avere figli.
Crede che Uomini
siano fratelli,
che avràn pietà
della sua infanzia.
E nel frattempo
saluta in frèmiti,
fa scènder làgrime,
la madre mìsera
con le sorelle,
e tra altri mìseri
parte all'incògnito
viaggio, e ne dùbita,
poi un poco càlmasi,
e va a speràr.
Addio, nostàlgiche
steli degli Avi,
che di remota
gloria qual Sole
e qual suoi specchi
brillate all'èremo,
confuse a volte
con le sue dune!
Addio, sì vecchi
villaggi e paglie
che all'ombre d'àlberi
eterni avete
nel vostro cuore
e bimbi e spose,
e saggi e padri!
Addio, città,
infami covi
ma sì possenti
dell'oppressore,
donde fu un dì
che schiatte uscìvano
di schiavi d'Arabi
e di sì pàllide
follie d'Europa!
Addio, oh leoni,
che in voi serrate
fatti famèlici
gli antichi Spiriti
d'Avi ancestrali,
e che attendete
pazienti e truci
le vostre vìttime!
Addio, oh voi! serpi
il cui terribile 
morso difèndesi
a' folli che vàrcano
le calde selve!....
E il giovinotto
così cantava,
muto... tacente,
e ripensava
il sen materno,
il dolce affetto
fàttosi eterno
dentro il suo petto;
e poi sognava,
e ripeteva:
- Avràn pietà! -.
Dopo sei lune
egli giaceva
supino, morto
sopra la sabbia
di lido sìculo.
Era annegato,
nei Sogni assorto
esalò l'ultimo
respiro ansioso
in un baleno.
E molti dìssero: -
Era un furioso! -
altri lagnàrono
- Bene! Uno in meno! -.



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Giovedì XXV del Mese di Gennaio dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.