Era Notte. La donna al caminetto
nella sua stanza stava, accanto al germe
appena nato nella calda culla;
e la campagna torinese udiva
quest’àër primo della Primavera,
nel risveglio leggero delle posse
della Natura addormentata e mesta.
Allor questa fanciulla dopo avèr
la cuna dondolato, prese in mano
da un cassetto vicino un’ansia lèttera,
scritta dal sposo suo, Carabiniere
del regio esèrcito, ora nelle sìcule
terre insieme alle fulve Furie immani
del lìgure guerriero; e anco una volta
ella la lesse al cuore.
«Confusamente io
scrivo tra le estreme
nebbie che
lentamente qui a svanìr
vòlgono e a
Primavera, a te fanciulla,
amata mia e
non mai… mai dimenticata,
e mai
tradita, lìberi pensieri,
e lìbero
sognàr. Ascolta… e intendi!
Ombre
insepolte si aggìrano. Vanno
a solcare la
terra degli Eroi;
e alle
marmoree rovine del Tebro
addìtano esse
i lauri delle pugne,
tra le
colonne d’oro e i templi argentei,
e gli
inattesi altari, e i foschi bronzi
che chiàmano
il silenzio della Morte,
ùltimo Fato
della Patria invitta.
E voi, acque,
oh voi onde della fresca Dora
e del
Monviso, e monti primi e irsuti,
lungi dal
Tèvere ebbro di gioia arcana,
così
accogliete lo Spìrito antico
di un Pòpolo
un dì oppresso e che rinasce,
ave! Torino
vincitrice. Oh re!
Ora al nuovo
orizzonte splende l’alba
primigenia
d’itàlica sembianza,
divelte le
catene di mille anni,
aurora figlia
di Arduino di Ivrea,
e del suo
spettro che vaga errabondo
ei
proteggendo la sabauda stirpe,
sir
dell’Italia prima e del Piemonte;
e ovunque
aleggia il sangue bene sparso
del sacro
tricolòr natìo e fulgente,
per le vie e
per le balze e per i campi,
fior di
Palestro, e onore di Magenta,
squillando ei
al cimitero insanguinato
di Solferino
un giorno, ùltima speme
dell’ìtalo
lignaggio. E va il corteo
ad annunziàr
l’impresa: Italia è fatta,
Italia vive,
risorta e festosa
per le
selvàtiche Alpi e per il mare,
e lungo gli
Appennini e in fin Sicilia,
come Mameli
profetizzò un dì,
ei il sangue
riversando combattendo,
co’ un canto
nella gola, Anima bàrdica
della lìgure
Ondina, orba di Doria, e
ninfa del
Boccanegra, il saggio Doge,
e madre
dell’Eroe che da una terra
all’altra
snuda l’acciaro invincìbile.
E tu
fanciulla che dal smesso fronte
leggi questa
mia lèttera ridente,
te che un dì
abbandonai io per queste guerre,
io sperando
in te fede ritrovàr
a’ i
profferti tuoi giuri, e che mi piangi
forse e mi
senti mancare al fianco tuo,
ricorda ai
figli nostri questo arcano,
l’Amòr di
Patria: Italia!».
Così la donna prese in braccio il bimbo,
deposta questa lèttera di Vita.
Ei dormiva… e dormiva, lietamente;
lo alzò ella verso il volto, e disse allora:
«Tu sarai un Italiano!».
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Preciso che la Poesia è stata da me composta senza la
volontà di offrire un’esaltazione nazionalistica e di scrivere un’apologia del
Risorgimento, del Piemonte e di Re Vittorio Emanuele II.
Carlo Bossoli, La Battaglia di Solferino |
In Dì di Giovedì XVII Marzo Anno del Signore, di
Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI