Cerca nel blog

lunedì 6 ottobre 2014

La Ballata d'un Viandante vagante nell'Inquietudine (Parte II)

Parte II - Il Lamento del Viandante

Così il misero e povero viandante, sempre stando avvolto nel suo negro e folto mantello, all’oste, all’ostessa e ai bevitori della taverna vanamente si metteva a muovere le labbra, come se avesse voluto dire qualcosa e accontentare gli avventori; ma non trovando nemmeno una parola che gli faceva d’uopo, come la Notte tra le lapidi di un cimitero, taceva continuamente, e altrettanto perennemente volgeva qua e là, a questo tavolo e a quest’altro, a questi giuocatori e a quest’altri ubriachi, le sue occhiate, ora truci e infastidite, ora più placide e al tempo istesso melanconiche. Purtroppo, però, se molti ormai lo stavano a ignorare e non si curavano più di lui e della sua istrana presenza, altri proseguivano a invitarlo a presentarsi e a discorrere di sé, delle sue pene e delle sue peregrinazioni; e ogni volta che egli sembrava voler aprir bocca e poi rimaneva in silenzio, costoro si mostravano alquanto infastiditi tanto che alla fine, con gli sguardi rivolti unicamente a costui, avevano smesso di bere e di giuocare. Qualcheduno, invece, era perfino preoccupato e temeva che in seguito a questa crudele e molesta insistenza il misterioso ospite avesse potuto brandire la spada e far qualche gesto di minaccia, se non propriamente trucidare i seccatori; e così fingeva che nulla stesse accadendo e che non vi fosse nessun forestiero, e che ogni cosa stesse procedendo normalmente, come sempre. Per questo alcuni uomini preferirono volentieri continuare a discorrere tra di loro, non senza addolcire l’ugola con un liquore e non senza aver giuocato del danaro sulla Sorte; e in mezzo a costoro non mancava certamente l’ischerno, o il sorriso avvelenato di un insano e folle sarcasmo, perché alla fine quanti perdevano accusavano generalmente i vincitori di essere dei comuni e sozzi bari, oppure di essere individui privi di pietà e di compassione.
Eppure, in cuor suo, il viandante non era affatto eccessivamente infastidito dalle richieste e dalle voci disordinate che s’alzavano dalle tavole della taverna, né sentiva il dovere di offendersi e di metter mano alla spada per punire alcuni tra gli avventori; e nemmeno avrebbe preferito che non gli fossero mai state rivolte queste domande e queste richieste, poiché in fin dei conti n’era abituato e per questo non era certamente la prima volta che ciò gli accadeva. Del resto se da una parte egli in questi istanti indirizzava ovunque delle occhiate terribili che potevano sembrare ricolme d’ira e di sprezzo, dall’altra parte questi suoi occhi erano così fulminanti perché nel suo spirito sentiva dolore, il senso di un patimento eterno che involontariamente veniva appena sfiorato, ed essendo tale, gli era cagione di grande turbamento e di imbarazzo, proprio come se si fosse trattato d’una ferita dolente che per ragioni diverse veniva palpata, ora per essere medicata, ora per essere palesata. Questo povero uomo, infatti, dal momento che cercava di dire qualcosa, aveva l’intimo desiderio di condividere le orribili forme del suo Destino con quanti lo circondavano; e più che per placare la sete dei curiosi, sentiva questo bisogno più per la sua anima. Certo, forse la presenza davanti al suo sguardo di un vecchio e robusto oste che, ritto in piedi e con le mani sui fianchi e il fiato liquoroso che usciva perfin dalle narici, lo scrutava attentamente e immobile aspettandosi un responso, l’ombra di un’ostessa che mentre dall’altra parte del bancone scodellava la minestra e puliva i boccali lo fissava continuamente, e le disordinate parole degli ubriachi, un po’ lo mettevano in soggezione, probabilmente gli recavano fastidio. Ma alla fine egli provava anche non dico piacere quanto piuttosto del semplice sollievo dal fatto che c’era qualcheduno che voleva sentire da lui quello che aveva il desiderio di pronunciare. Così, dopo lunghi e intensi istanti di silenzio, e dopo aver rovesciato del buon vino in un bicchiere e averlo gustato lentamente, sorseggiandolo quasi nel tentativo di conservarlo il più a lungo possibile, e poscia aver rivolto uno sguardo ligio all’effigie della Madonna cui era stata aggiunta una striscia di tinta rossa alla fronte, iniziò a rivelare il suo cuore, le sue peregrinazioni e i suoi dolori; e molti lo stavano ad ascoltare, lì semplicemente divertiti, qui perfin compassionevoli, e l’oste stesso, non avendo più molto da fare, prese una sedia e si sedette vicino a lui, e tra una parola e l’altra gli versava il buon e dolce nettare dei tralci. Allora e a questo punto, le lagnanze d’un povero viandante iniziavano a ricoprire le irrispettose e violente bestemmie dei giuocatori e, poiché stava davanti a una candela e l’acceso lume di questa vi si rispecchiava, perfino l’immagine sacra pareva che non stesse più colando sangue, bensì oro; e il misterioso uomo in tal guisa parlava:

«In Notte atroce e fiera eternamente
a’ monti in ghiaccio salgo, e all’ermo alpino
ramingo mi riposo e febbrilmente
tra le nevi mi giacio in reo Destino.

Quel che voi mi chiedete è ‘l mio lamento,
e i calici vi colmo or di lagnanza,
e in pianto e in strazio e in duolo ‘l turbamento
di questo cor vi copre l’ansia stanza,
poiché son io un viandante e una romanza
d’eterni passi narro e di dolore,
e assaporando piango ‘l buon liquore
che dolcemente inebria ‘l vostro tino»;

e l’oste ripeteva or fieramente
dinnanzi al mesto guardo del meschino:
«Ramingo si riposa e febbrilmente,
tra le nevi si giace in reo Destino!».

Allor gli chiese e sùbito ‘l viandante:
«Sapete quale strazio io in cor nascondo?....
Qual pena in me vi sia che vado errante?»,
ed ei gli disse: «Ditelo, oh errabondo!».

«Lungi dal suol natale or n’erro e volgo
non so a qual porto insano né a qual terra,
e fuggendo tremando e ognor accolgo
i sassi come ‘l pan, i campi in guerra;
e mai l’istesso covo mi rinserra,
e all’empie pietre e a’ rivi ne discuto,
eternamente cupo e qui perduto,
oltre le cime istesse e in sfida al mondo;

e all’alba al strale e dolce e rischiarante
or senza meta m’alzo e fremebondo»;
e l’oste ne tremava al spirto errante
che andava mesto in gemiti, errabondo.

«Nel bosco oscuro e insano e in tristo Fato
il meriggio ne passo e inquieto e illuso,
e verso ‘l vespro n’odo ‘l gran latrato
che del lupo n’irrora ‘l fiero muso.

Mi piovono le fronde e sterpi e foglie,
son capestri furiosi al vento fresco,
m’attanagliano crude, e io sono in doglie
senza una dolce sedia, e senza un desco;
e in sulle polvi inseguo ‘l piè fratesco
che vanamente adduce a un monastero,
e vagolo tra gli orni e ‘l cimitero,
e ‘l sepolcro crudele or m’è trasfuso»;

e l’occhio suo sen stava addolorato,
e mestamente pianse e volse in suso,
e in quest’istante udiva ‘l gran latrato
che del lupo irrorava ‘l fiero muso.

Allor più cupamente or proseguiva:
«Da mesi errante sono, e sempre in pianto
i fiorellini mesti in sulla riva
con quest’acque ne nutro, e all’arpa un canto

pizzicando le corde io mòvo a’ venti,
un’eterna preghiera innavverata,
e insonne e in duolo e a passi e folli e lenti
sempre la Notte passo ottenebrata.
Così m’è cupa pur la Luna ambrata,
e agli astri un grido svelgo e crudo e osceno,
e le nubi notturne or son veleno,
e ‘l ciel m’avvolge in negro e freddo manto»;

e l’oste udendo e quieto n’asseriva:
«Oh quanto voi ne siete e in duolo e affranto;
e i fiorellini mesti in sulla riva
di lagrime ne coprite e in molle canto!».

«Vanamente ne chiedo all’uomo ‘l pane,
e amaro ‘l fonte stilla un sorso e poco,
e sònano di Morte or le campane,
d’un mentecatto ‘l rogo or s’erge e in foco;

e ‘l mio passar perenne non si svelle,
diseredato un giorno e vil d’onore,
non ho lucerna dolce che le stelle
nell’iracondo mar d’un tenebrore,
e fiero, eterno e folle m’è ‘l dolore,
e ho perduto da tanto e in lagne adorno
perfin la via vietata del ritorno,
e ‘l Sole in ciel che brilla or veggo fioco».

Allor dicevan mesti: «Oh Sorti insane!»
color che stavan presso ‘l lieto giuoco:
«E sònano di Morte or le campane,
come un rogo crudel vi brucia ‘l foco!».

Ma a quest’istante l’oste in requie chiese:
«Perché fuggite, o prode, e sempre errate?»;
ed ei un’occhiata insana ancor gli tese,
e un bevitor gli disse: «Orben, narrate!».

Così ‘l viandante ancor si tacque e stette
in grave e reo silenzio, e ne tremava,
e come un folle in cima ad alte vette
col precipizio ai piedi or s’inquietava;
e vanamente ovunque ne scrutava,
e alfin chinava ‘l volto e si gemeva,
e a fatica e meschino ne diceva
non altro che parole or singhiozzate.

Ma l’oste insano e ancora non s’arrese,
e disse ancor le cose or domandate;
ed ei un’occhiata insana ognor gli tese,
e un giuocator gli disse: «Orben, narrate!».

Nessun commento:

Posta un commento