Perennemente ‘l cielo impallidisce,
e in sull’aspra mattina
nel scialbo prato copre un po’ di brina
che si marcisce,
e nella sera ‘l nembo s’annerisce
in sul Sol che declina,
e da una stalla antica l’agnellina
al fien vagisce;
e la
Notte che in ciel eterna ardisce
ottenebra meschina
la falba Luna in pianto, e malandrina
la compatisce.
Lugubremente cupo è l’orizzonte,
e l’aër sembra un marmo sepolcrale:
smorto come una pietra d’egro monte,
truce e fatale;
e nell’immenso e oscur cimiteriale
dell’orbe brume e cieche e carche d’onte
febbrilmente m’inquieto e al maëstrale
piego la fronte.
Così ‘l grigior de’i campi or privi d’onde
all’occhio un pianto brama, e l’autunnale
crepuscolo precoce è a questa fonte
torvo e glaciale.
Ma nel cor n’ho mestizia, e un turbamento
che pronunziar non so crudel si lagna,
e la mesta campagna
un latrato mi par di cieco vento,
e in sul muro mi duole ‘l muschio or spento
che vanamente in pianto qui si bagna,
e trista m’è la ragna
che tessuta sen giace come argento.
Alfin l’autunno giunge, e ‘l ciel di rame
un tramonto funereo annunzia al core,
la ghirlanda d’un nembo al bel fogliame
che lento muore,
e nell’eco si tòna ‘l cacciatore,
e la quercia si sfiora e sente fame
nell’etere stèril del tenebrore
e nel suo ossame,
e a me dianzi s’uccide un mìser stame,
e ‘l folto rovo or n’ansima in pallore
e codesta Natura veste infame
di reo dolore;
e intorno nubi more
in cielo or truci stanno, e tristi e ferme
sovra ‘l campo che muore e in gelo e inerme.
Allor nel vespro io piango e l’affannoso
sospiro a meta ignota volgo e insano -
l’orizzonte feroce e tenebroso -
e l’occhio mio sen va perfin lontano,
e questo ciglio inquieto e lagrimoso
come un fràgil fogliame appare vano,
e vessata dal vento in ciel furioso
la foglia ch’è caduta or prende in mano.
Melanconicamente a queste piante
giacciono foglie in lagna,
e gialla e secca e rossa la campagna
è a me davante,
e ‘l tristo vento gelido e or soffiante
di nebbie un rivo bagna,
e lenta n’arrostisce la castagna
al foco ansante,
e l’occhio mio contempla e lagrimante
nel gelo allor si stagna;
e un cane ancor ne veggo alle calcagna
d’un cervo urlante.
Eppur è dolce e quieto questo mese,
e i viäli ne son di stami adorni,
e pur ignudi e stanchi al mio paëse
son belli gli orni,
e leggiadre le pievi e l’altre chiese,
serenamente calmi or questi giorni -
che fumano - i camini e l’aspre attese
di caccia e i corni.
Così sedendo inerme in sull’Arbogna
i vol de’i corvi osservo e i campi mesti,
e lentamente ascolto una zampogna
a’ venti lesti,
e in petto ‘l core ansioso or geme e sogna
pria che la
Luna in cielo ormai si desti,
e son pensier molesti
d’un volto in sogno ambrato che non muore,
un nome… una fanciulla… un fior d’Amore!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Mercoledì VIII Ottobre AD MMXIV
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