Un giorno al cupo sasso e all’ermo alpino
e alla pietra d’opàle
e in questo cor del ciel in temporale
e al nembo, e in fino
a’ mari solitari, e in veglio pino
e al pettirosso[1] e
all’ale
de’i stornelli fugaci e stretto ‘l frale
dell’Uom divino,
melanconicamente e al rosso vino
dell’ansie vene in male
or vespertino,
legno d’un vano tino,
grido e orrore e viltà d’un reo Destino;
e la
Notte n’andava, eppur fu giorno,
e ‘l suolo si percosse e si schiudeva,
e la pioggia che scese al monte intorno
un Tempio ardeva,
e all’orbo e truce legno e come un corno
tra’i nembi ‘l tòn urlava e si gemeva,
e colei a’ rami pianse e a’ tralci d’orno,
vindice d’Eva.
Allor ne’ cieli oscuri i Cherubini
e all’aëre chinati or l’esalata
prendevan l’alma santa, e i pargolini[2]
e Questa in lume or stava e avvolta in lini,
e in fiero maëstrale e pia e dorata,
e in sull’arèn[3]
ramata,
come un Calice ordiva e in buon sapore
questo vino che fu l’eterno Amore,
e in gran gloria incantata
su queste terre antìche e ormai perdute
così dal Ciel spremeva la Salute.
Vieni, oh gente salvata!
Esalta questa Croce, e Iddio ne’ Cieli
come un soffio d’Amore!…. Oh dolci veli!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Domenica XIV Settembre MMXIV
Nessun commento:
Posta un commento