Sogno le steppe innevate e infinite,
uguali sempre dell’aspetto erboso, e…
e all’orizzonte oscuro dell’inverno
dove il Tàrtaro cavalca i destrieri, e…
e errabondo sen va per le smarrite
saline dei suoi laghi, e per l’ombroso
lichene dei cerbiatti, erràr eterno e
di cure e di ansie e di alti desidèri; e…
e sogno i monti, gli Urali lontani,
laddove un’ombra sta d’un monastero
nella feroce Notte iconoclasta
che nelle tenebre arde la sua Luna,
tra le guglie dorate dei sovrani
arabi, e i marmi bei d’un cimitero, e…
e l’assedio del vespro che devasta
dei tristi muschi l’inquieta laguna. E
sogno i cantici antichi, e le ballate
fìnniche e polovèsi, e i lor tamburi
selvaggi e in furie, e le ombre in danza
delle fanciulle, e la bionda Natàsha, e il
piccolo Kòlka, e l’arpe innamorate
dei primigèni orizzonti, i più oscuri,
e mentre suona la nenia in romanza (sogno)
il legnaiuolo con in mano l’ascia. E…
e sogno l’arrendevole Cosacco
che i turbini minaccia in sguardo bieco,
vanamente Titàno degli Slavi, e…
e le risse (sue) per possedèr cavalli, e il
contadino con il suo colbacco,
il campo sconfinato e oscuro e cieco, e
le mongòliche tende dei lor avi, e…
e i selvatici canti e i fieri balli; e…
e questo sogno più del freddo lito,
più della steppa mi sembra infinito.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Venerdì II Ottobre AD MMXV