Divaga l’orizzonte buio e nefasto,
sento uno scalpiccio di cavalieri
che tornano dall’Africa di sabbia,
con scimitarre al fianco e i guardi
alteri,
vola di labbia in labbia:
“Ci hai forse tratto in inganno, oh
Parsifal?”.
Abbiamo inteso gli urli della duna,
ricercammo le terre del Sultano,
fummo desti al madore della Luna,
percorremmo un deserto assai lontano.
Nulla! Fu notte più volte e fu freddo.
I palafreni degli Arabi incedono,
cammellieri selvaggi del Mistero,
i loro sguardi coperti dai veli,
urli di guerra per spiagge furenti.
Grida il guerriero vestito di nero:
“Ritornate dai vostri, oh voi infedeli!”,
indi gli acciari gridano irridenti.
Ci hai forse tratto in inganno, oh
Parsifal?
Sento una voce tra le foglie e ascolto,
qualcuno parla tra le alte betulle
sommesso come va al vecchio raccolto
del biancospino uno stuol di fanciulle.
Forse è il vischio che io bevvi, forse
è il loto
dell’Egitto, ho sentito una malia,
uno sguardo di Vita dall’Ignoto,
dopo si placa, si tace e va via.
È il vecchio singhiozzar del venerdì
santo, la solita Anima gentile,
mi mostra un calice e tramonta il dì,
come sangue e papaveri d’Aprile.
E i cavalieri sen vanno al galoppo,
con i drappi consunti e i pover scudi,
e trascinano un Saraceno zoppo
che a stento salta con i piedi ignudi..
sen vanno al loro castello sui monti,
il Cielo bestemmiando che cercavano,
fieri i sogghigni, crudeli le fronti
come quando nell’eremo vagavano.
Sì, vi ho ingannati! Sono un puro
folle,
sono uno Spirito allegro e feroce,
di chi morì sul più splendente colle
non saprete la rosa né la Croce.
Quadro di Arthur Hacker (1858-1919), Parsifal con la Coppa del Sacro Graal, Classicismo, Accademismo, Tardo-Romanticismo, Simbolismo inglese, 1894.
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