La prima
Neve
Il cielo all’orizzonte e in neve adorno
or n’odo che sospira, e veggo: i monti,
i scialbi e freschi prati, e i rivi e intorno
i valichi innevati, e i ghiacci e i ponti.
Allor pella campagna ‘l vecchio forno
un pan di ghiaccio e brina e d’altri affronti
tepidamente còce, e carco un orno
un ramo piega or come un servo a’ conti.
Ma questa tomba nivea che si stende
pur cara e dolce m’è, e come un lenzuolo
del verno che s’annunzia omai n’intende
coll’ultimo cantar del rosignuolo,
e ‘l fiocco della neve in ciel s’accende
e va d’in su’ una valle e in fino a un molo.
Alfin lo stormo in volo
velocemente fugge, e ambisce a un ermo,
rostro freddo e ghiacciato, e guardo infermo.
I Fiocchi di
Neve
Bianche le stelle e scialbi i nembi e neri
i grembi che si gemon della sera,
e di marmo ne son i bei sentieri,
e ‘l muschio che si giace ormai s’incera.
Come corde d’un’arpa i fiocchi altèri
emettono bisbigli a una riviera,
e cinguettano e dolci e lusinghieri
sull’erba che si nacque in Primavera.
Allor nel tetro vespro i lor capei
tintinnano canzoni e lamentanze,
e cadono in su’i rivi, e a’ boschi e a’ bei
portici e a’ tetti co’un passo di danze,
e ‘l campanil si geme e son le sei,
le meridiane sono or fredde stanze.
Ma canta le romanze
d’un corvo della steppa ‘l ciel di neve
a’ piè de’i pioppi spogli e d’una pieve.
La ragna che si ghiaccia or lagna e a stento
ingegnoso sen va l’abitatore,
e pizzicando ‘l ghiaccio infuria ‘l vento
in sulle paglie rie del mietitore.
Or come un violoncello ‘l scorrimento
delle nevi si lagna, e un cacciatore
co’un corno ne lamenta ‘l squartamento
del cembalo d’un cervo in mezzo al core.
Gl’ignudi ramoscelli i clarinetti
dell’ansia brina soffian, e un roveto
carco si fia e soffrente in freddi getti
d’un innevato e oscuro e cieco greto,
e i campi intorno n’hanno orrendi aspetti,
l’orizzonte si stende e in ghiaccio e inquieto;
e delle gemme ‘l feto
che testimonia ancor la fiera caccia
in agonia perpetua ormai si ghiaccia.
Inquietudine
Sangue nel core e fiele al labbro osceno,
e irrequieto mi svengo, e all’orizzonte
del meriggio ‘l mador or viene meno
‘ve carco omai mi sento or d’urla e d’onte.
Mi stringe l’alba neve al freddo seno,
e un corvo oscuro veggo alzarsi a un monte,
e febbrilmente e insano e in pianto peno
e spasimando ghiaccio or come un fonte.
Brivido indefinito, e sogno immoto,
e spasimo d’un verno è questa neve,
e ‘la mi punge insana a un cenno ignoto
che non decifro più; e scende e va lieve,
e questo mio sentir è come un loto
che incognito seduce in forma greve.
Tal essere omai deve
nell’inquieto ghiacciar il mio Destino.
Inquietudine insana. Oh me meschino!
Apoteosi
d’una Sinfonia d’Inverno
All’alba or muore scialbo ‘l ciel oscuro,
e la vetta d’un monte si lamenta,
e ‘l ghiaccio mattutin di terre è impuro.
La campagna si canta ed è sgomenta,
e bianca ormai n’appare e fresca e in core
scherzosamente e folle i passi attenta.
Allor a terra va ‘l pattinatore
che co’una dama danza or lungo i boschi
la quadriglia beäta dell’Amore.
Forse in mente si giova di Tchaikosvky,
e ‘l ghiaccio quasi in riso or qui si lagna,
e i rami ignudi e i pioppi stanno foschi;
e di nevi melliflue ognor si bagna
questa tremula e ombrosa e pia campagna.
Ma in sul far del mattino e al tetro cielo
furiosamente impazza la bufera,
e in fin del Sole ‘l strale è ordito in gelo,
e in ansio giorno appar ancor la sera,
e un ruscello si muor assiderato,
e i nivei fiocchi son di torva cera;
e così l’orizzonte è sconsolato,
e nostalgicamente è un vespro eterno
che alla neve n’esulta in cor spietato.
Meriggio di tramonto e fior d’ischerno,
la campana ne sòna ‘l mezzogiorno,
e ‘la rabbrividisce ‘l cupo verno;
e cosa veggo quivi, a me d’intorno?
Un sepolcro di ghiacci e d’ansie adorno.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Martedì IX Dicembre AD MMXIV
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