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giovedì 12 luglio 2018

Il Noce delle Streghe

V’è un noce nella notturna campagna,
ed è vecchio… vecchìssimo… e funereo,
con il suo tronco negro e i suoi schelètrici
rami. Sussurra!
Lito empio di sventura e di tormenti
è il sasso su cui le ombrose sue fronde
posa. E l’orrore regna e la Luna urla,
nel vento cavo…
urla canzoni di campane oscure,
martellanti a’ i defunti al funerale…
urla per farsi sentire dovunque
da’ i stolti addormentati della Notte…
urla per far terrore.
No! occhio mio, lascia in pace il tuo volère!...
dormi, no! non scrutare questi legni
lamentèvoli a’ nùvoli adirati
del cielo!.... Fia ivi, infatti, che le Streghe
mutate dalle nòttole stridenti
s’aggrègano pe’ il Sàbbath….
No! non sono le nebbie del Tramonto
quelle che scorgi!... sono esse, le Streghe,
Ànime oppresse e infernali e crudeli  
che dall’immaginazione del cuore
sòrgon a farti paura….
Lente… lente procèdono e sommesse,
con le barbe di paglia e gli occhi ciechi,
e con i denti di pùtrido gleso[1]
se le guardi, diventi ordìto a vetro,
e ti frantùmano….
Dalle lòr bocche il tristo sangue cola
degli sbranati-vivi cervi, e vògliono
te… bere le tue bave vagabonde
con l’ùltimo respiro…
tòglierti tosto, in un àttimo solo,
dalla gioia e dalla angoscia della Vita
per calpestàrti pòlvere a’ i lòr piedi
di zampe d’ànatre….
Menzogna! Follia!... non vi sono Streghe,
e il noce è un sèmplice àlbero vecchietto
che attende la sua Morte.
Perché, allòr, tormentàrsi e obliàrsi il sonno,
oh fatàl Fantasìa?....
Occhio mio… occhio mio, mio cuòr fremebondo,
non èsser stolto:
non annegàrti nell’Odio pe’ i Sogni,
non fìngere di non cògliere le ombre
delle fiabe sul màr della tua Vita!....
Suvvia! Brinda a quel noce!
Spargi i suoi frutti nel tuo spumeggiante
nappo… e sorsèggialo! È il càlice ardente
che ti rende uomo…
bèvilo tutto! E ama anche i tuoi truci ìncubi!

Caspar Friedrich, L'Albero dei Corvi, Primo Romanticismo tedesco, Prima Metà del XIX Secolo


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Giovedì XII del Mese di Luglio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.



[1] Ambra, latinizzazione tratta dalla Germania di Tacito di un Termine germanico

martedì 10 luglio 2018

Ombra di un Canto di Rondine

Come canta la ròndine lontana!....
Alla finestra il cinguettìo suo flèbile
m’è pari a un’ombra di Vita e d’Estate…
un’ombra occulta,
e secreta da un Sogno dileguato
co’ i primi argenti dell’alba, e festante e…
e quieta… e dolce… un’ombra di un «Ricòrdati
di vìvere!». Poi tace.
Come ombra d’una canzone notturna!
Come la nenia di un liuto scordato,
èsule da’ i desidèri repressi
d’un Trovatore!
Come ombra che non scorge se medèsma
né l’altre ombre compagne sue, e la mia
che in lei brama confòndersi per poco
nel silenzio assordante
della foresta, donde i cinguettìi
innumerèvoli accrèsconsi ancora
man… man che il giorno s’allùmina e cresce
come fa il Sole estivo!....
Come canta la ròndine lontana!....
E come le risponde l’usignuolo
da’ il ramo del cipresso che mi ostàcola
l’eterna libertà
d’un occhio che desìdera scrutare
l’orizzonte!.... E poi come l’ombra sua
si fa sempre più viva oltre il mio udito
quasi a coprìrmi del suo bel piumaggio
canterino!.... E il suo canto
come risponde a quel mio melancònico
cuore che va in perpetuo a èsser sgraziato
e infelice più d’una solitaria
via or varcata soltanto dalle piume
degli aïroni belli!....
E come canta senza tregua e quiete!
E come intimidisce l’eco ardente
con la sua gioia, che per contrasto, stìmola
le mie làgrime amare…
làgrime sparse per folli tormenti
dell’Ànima, la qual non sa dàr loro
un nome… làgrime oscure e furenti
che danno un ritmo al cinguettàr festoso
di questa rondinella!....
Ombra… ombra! Vorrei fossi mia, ombra amica,
che invano cerchi in me il Sogno e la speme,
ma altro non trovi che perenne angoscia
degli inetti pàlpiti
di me sì disperato e tormentoso
che per le mie campagne vado errando
seduto a una finestra che amo e che odio
nell’àttimo che muore!....
Come canta la ròndine lontana!....
Oh! Come canta!....
E la sua ombra mi adduce a’ i bei ricordi,
ombra di rimembranze e di passioni…
e la sua ombra mi porta addietro, a’ i tempi
dell’incantèvole infanzia perduta,
agli àttimi piccini ove anch’io pìccolo
come loro, ne andavo al censimento
delle ròndini allegre,
di quelle ròndini or di cui ne fa ombra,
e de’ i fangosi nidi fatti e orditi
di terra e di saliva….
E la sua ombra mi sembra ricoprìrmi
per un istante del candòr bëato
del fanciullino trasformàtosi ora
quasi in un cacciatore, o in un viandante
qui dannato a inseguire
mete offuscate da’ i sensi e da’ il Fato,
e altre sìmili e più orrende ombre oscure,
dove a’ i piè d’una pieve la preghiera
mi commuove, e il Destino altrove mi urla,
e mi tradisce a’ il negro
inganno d’una Ragione molesta….
E la sua ombra mi dice che non vivo,
che non rispetto più la bella sua
gioia… la Vita… mi dice che più imbelle
di me tra quelli che pòrtan la barba
non esiste, tra gli uomini…
e, alla fine, pur ella mi tormenta….
Come canta la ròndine lontana!....
Oh! Come canta!....
E sempre è più lontana!

Eduard Manet, Le Rondini, Impressionismo francese, Seconda Metà del Secolo XIX




Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì IX Luglio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

mercoledì 4 luglio 2018

Idillio di un Riposo dell'Estate

Lenta riposa l'Estate, riposa
la Tempesta che sento tra le sabbie
d'una spiaggia, riposa la mitezza
del venticello estivo che si stenta
a soffiare, riposa il mio ruggente
cuore di pietra che del Sole urlante
brïosamente si beffa dall'alba,
roseo adamante, al fuoco del Crepùscolo;
riposa la Natura che ora attende
sotto i miei occhi il biondeggiàr delle spighe
d'oro, e le fermentate e dolci posse
dell'uve di montagna che pe' i tini
inclìnano i bei Sogni spumeggianti...
riposa il ruscelletto che mi bagna
i piedi sopra le impronte volanti
degli aïroni che gràcchiano ai rami
de' i càrpini degli stagni, riposa
l'ametìsta degli ìris per le ripe
arse dal giorno, riposa la tifa
che quando ero piccìn con la mia mamma
andavo a cògliere ivi allegramente
chiamàndola la "Rompi-testa"... e dorme,
riposa la stradìna campagnola
che le cascine lambisce e l'Agogna
con i suoi boschi ombreggianti ove ieri
ho scorsa una fuggente volpe e i suoi
denti... riposa la piova di sera
che invano annera le nubi, riposa
il ciliegio spogliato de' i suoi frutti
di rosso sangue... riposa ansimando
il noce delle Streghe e delle Villi
che si prepara al suo trionfante Autunno
quando a mille garèggiano per prèndergli
i suoi legnosi stami, buoni avvolti
in miele di castagno e dianzi a un'Ebe
che sa versare il vinello migliore...
riposa il mio nocciuòlo che rinasce
a stento dopo un anno di penuria,
ripòsan l'ànatra e i suoi bei pulcini
che natanti trascòrrono i meriggi
soleggianti, riposa il mormorìo
delle ròndini in festa e il cinguettàr
de' i pettirossi solitari, e il vacuo
che dal ramo si estende in giù, al torrente,
che il martìn-pescatore ne fia sòlito
usare per lanciarsi in vêr la preda
a divoràrla tutta, ahi vòl crudele!....
ripòsano ricovèrti di fiori
e d'erbe e di ghirlande naturali
quei che sovente io sogno i campi bruti
delle battaglie antiche nell'attesa,
forse, che giunga un nuovo Àttila, un nuovo
Vàndalo a farmi assaggiare i suoi bruschi
vini di Vita nella blasfemìa
d'un inno sacro a Wòtan, nella prece
cristiana e pia a una Madonna di pieve....
Riposa la cappelletta campestre
in sul crocicchio lìbero dal guardo
della pece funesta de' i catrami
arditi, e lì riposa al mio occhio trèmulo
una dipinta Croce con le rose
secche dei vecchi fedeli defunti....
Riposa ovunque l'Eterno, la Vita,
il Cosmo sì selvaggio con le stelle
selvàtiche che si divèrton molto
a nàscere e a morire e poi a iscoppiàr...
fors'anche Iddio dell'Estate si giova
a posare le guance sul cuscino
caldo del Sole, disgustato ancora
da questa schiatta nostra indemoniata...
riposa il Tutto, l'Infinito... il mare.
Ma solo il mio riposo è fatto tale
per cui è interrotto da ansie inavveràbili
che chiamo Sogni... e tai Sogni mi tormèntano:
sono come gli stormi di zanzare
che pungendo una vena che è ferita
danno un po' di sollievo, anche se il sangue
che pòrtano via con sè non c'è più.

Albert Bierstadt, Un Bosco, Hudson-River School, Seconda Metà del XIX Secolo


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Mercoledì IV Luglio dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

sabato 23 giugno 2018

Idillio mediterraneo

Il màr è irato, e urla rabbioso, e grida,
invòca la Tempesta che divora
le prue d'in su' gli scogli ove sorge Ilio,
le pietre urlanti di nebbie di fuoco,
di cènere e furòr,
mare crudèl!....
Tirèsia lo diceva; e presagiva
di Nettuno la Furia svergognata...
Tirèsia maledisse... e il Fato eterno
lo decretò.
Il màr è irato,
rabbioso come un lupo,
mare fatàl.
Io... ràpsodo romàntico su' greche
terre ora immaginate e un po' ghermite
con un abbraccio,
cosa ti dico? mia onda... mia ombra, e Vita?....
Odi il Sòl dell'Estate che singhiozza
l'acque bevendo... 
odi il màr, questo màr... queste onde d'una
spiaggia, odi Odìsseo che ritorna a Ítaca,
odi nel meriggio il stormìr de' i gabbiani,
il canto delle ròndini perdute,
l'Ècate che ritarda co' il suo fàscino
di tènebra; odi, o cuòr,
gli inavverati Sogni
che insieme a' la salsèdine garèggiano
per le scogliere d'ogni àvida Notte...
garèggiano bramàndosi,
garèggiano saltando
tra il sale e il fiele di sguardi perduti...
di sguardi quai d'amanti,
di sguardi e di dolòr...
gli sguardi di un'Ondina che dall'acqua
fa mostra solo degli occhi che sussùrrano
i caldi baci
che dall'imberbe pescatòr vorrìa
sopra il suo seno...
ignudo seno
di spoglio cuore.
No! Non bere, mia Vita, questo loto,
loto d'Egitto che l'ignuda donna
ne coglie per drogàr le ciglia sue
e delle danzatrici...
oh... sacre danzatrici
del Nilo dove scòrrono le tombe
dei Re! No! non mangiàr
questo pètalo folle che si piace
a inebrïàr la mente che non pensa,
che non prega...
loto fatàl!....
Loto di Sogni!....
Infatti, il Genio dell'Estate, da Ade
precedente risorto, Dea Prosèrpina
che i mistèrici riti dell'Aprile
ancor presenzia e
fecondò di germogli e nuove nàscite,
è forse il primo Sogno,
la più cara parvenza, la qual qui
or suggerisce
che il Sole più non v'è...
che l'han rapito i voli dell'Arpie...
che non v'è mare,
né steli, né vïole, nè altri fiori...
che è sempre inverno,
che Odìsseo non ritorna a' la sua Patria,
che l'Orco trattïene la fanciulla
impäurita della Primavera...
che Atene e Sparta rovinosi rami
spogli e bruciati di fuoco e di guerra
al vento èrgono ansanti di massacri....
Alle Termòpili or trecento Sogni
pugnàrono... trecento Sogni andàrono
a Morte... negli Inferi...
i Sogni miei!....
La Vita, allora - così io canto all'arpa
a Saffo appartenuta sull'Egèo -
è un ditiràmbo... un epigràmma fùnebre
che canta urlando
su' il tèrmine d'un Sogno che soffiava
liberamente nella Notta, prima
che sovvenisse l'alba con le rosee
dita assassine
d'ogni sognato sguardo, e d'ogni senso,
oltre il quale non v'è nulla, siccome
il mare che oltre i bei lìmiti di Ercole
s'acquieta e muòr.
Odìsseo sa,
Odìsseo ben conosce:
quel loto afrodisìäco d'onìrici
àttimi da Érato avvolti e convulsi e
che ei inghiotte con il pane...
il Sogno! il Sogno!...
non può èssere varcato oltre i confini.
Infatti, per colui che non vuòl Sogni
e per colòr che vògliono avveràrli
ha preparata Iddio òrrida Tempesta....
Un'Anima che non sogna mai è un'Anima
d'Inferno!

Saffo e Faone, Jacques Louis David, Classicismo francese, Epoca napoleonica, Prima Metà del Secolo XIX


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Sabato XXIII del Mese di Giugno dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

sabato 2 giugno 2018

Divertissement - Un Canto trobadorico alla Luna

Ma non rispondi ancòr, oh Luna, al tuo
Trovatòr?

E cavalca… e cavalca il prode bardo,
avvolto della Notte in nèr mantello.
Qui il suo cuòr freme e l’arpa sua gli avvampa.

Canta… canta la sua voce tremante,
e canterà fin quando non fia l’alba,
il liuto pizzicando e il suo desìr.

Nelle tènebre, infatti, miràr brama
il guardo tuo, che non vergogna, o Luna;
e quiete non avrà se non sia pago.

Hai forse tu timòr d’un vagabondo
Trovatòr?

Canta… canta, e ei si duòl del tuo silenzio,
donde le corde del liuto or riporta
l’opprimente eco a questo cuòr che soffre.

E il cavalièr lamenta il suo Destino,
ei, or solitario su’ inemìca terra,
che più non può il tuo sembiante iscordàr.

E il cavalièr si strazia ripetendo
le cortesi canzòn di giostre e gesta
a te, il cui petto di ciò forse astio ha.

Vuoi forse tu sdegnàr d’un errabondo
Trovatòr?

Ma non è Notte il giusto istante in cui
di te fàr sì profana questua, oh Luna,
e ottenèr di codesta ambito premio?....

Canta… canta l’errante menestrello,
e se le pietre un’Ànima tenèssero,
ei di lòr ne farìa il cuòr lagrimàr.

Ma Amòr è tàl che di sassi non nudre,
se non di te, oh follemente desiata,
cui il vagabondo or grida estremo canto!

E tu lo senti, lo intendi, e sai bèn
che ei t’ha cercata in tanta oscura Notte,
con fedèl ansia e tormentata speme.

Ma non rispondi ancòr, oh Luna, al tuo
Trovatòr?

Luna fatàl!



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Sabato II Giugno AD MMXVIII.


domenica 20 maggio 2018

Una Fiaba poetica - La Foglia, ovvero Come nacque la Ninfea

È una fràgile foglia appesa a un ramo,
è viva a stenti... a malapena, è viva
in un giorno di vento.... E ha päura;
è viva, ma ora trema.
"Salvàtemi da questa Furia" grida
la poverina, mentre il Temporale
è giunto. È viva!
"Salvàtemi vi prego!" implora e prega
al folgoràr de' i primi tuoni. Piange....
Perché…
perché l'ha generata marzo sì
fràgile?.... Pensa… e chiede.
L'eco de' i Sogni e del pensièr si tace,
mèdita. È viva.
È viva... ma le compagne da' i pioppi
la schernìscono, oh povera! e nemmèn
il picchio vuòl fàr suo nido su' sua ombra,
né la pioggia cadèr dal palmo suo,
né il Sol baciàrla,
ahi miseràbile!....
È viva... ma sospesa d'in su' il vento:
un soffio appena, appèn più forte e cade.
E tutto sa.

È viva; e il vento da lontano soffia…
soffia, pianìn… pianino, e poi più forte,
e poi più orrendo, e poi più cupo e crudele,
e chiama ad avventàrsi d’in su’ i nùgoli
le fòlgori più ululanti co’ i tuoni,
come Valchirie chiamate da Donner….
Oh vìl vento fatàl!
È viva; ma fia presto che tal Furia
dall’arboscèl la stacchi, e la trascini
nelle sue fauci che gìrano il mondo…
vìscere brute d’un viandante orrìbile
che è mai pago d’orròr.
È viva; ma si perde in suo spavento,
odia l’empia Tempesta, odia la possa
degli Elementi invasati da’ i diàvoli
dei lampi, odia la Vita… odia la Morte…
odia ma più che sprezzo
ha alto terròr.

Ma è così che purtroppo il vento oscuro
dal ramo la lontana.

Ella ha socchiusi gli occhi, e il Fato attende,
è viva. Attende Morte.
Ma questa Morte non arriva… tarda…
si perde… non arriva né urla più.

Come una giostra adora questo vento…
ella… la foglia, svolazza… svolazza,
e danza con quest’àër che la porta
stretta a sé… verso l’Incògnito, verso
una campagna nuova, e sur d’un stagno.
Qui, si posa, sull’onde… sulle sue acque,
e galleggia… galleggia… e ride… e bèa.
È viva ancòr!

E qui, mentre si placa il Temporale,
la raggiùngono pètali di fiori…
pètali vivi:
il più roseo Tramonto di camelie;
il sangue delle rose; e delle viole
il delicato velluto; e l’occhietto
dell’ìris… e li cùllano… li cùllano
le tife estive
che càntano la ninna-nanna
lievemente agitando l’onde amiche….
È viva; e circondata da altri stami,
e pàrlano tra lòr.

È viva; e dice: “Vengo da lontano”.
“Anch’io” - ne osserva un pètalo di rosa,
“Anche noi” dìcono in coro altri fiori.
Ma tutti insieme chièdon “Che si fa?”….
È viva; e dice: “Io sono una foglia
che sull’acque galleggia; in me riparo
avrete voi. Deboluccia io son; pur vero
sì lievi siete.
Deh, venite! Sarò per voi una cimba…
una barca vitàl!”
“Noi” le rispòndono i fiori “possiamo
fàr quello che tu vuoi; anzi, un nuovo fiore
noi farèmo con te!”.
“Noi siàm gli stami” dìcon le camelie,
“e noi altri pètali” ùrlano le rose,
“e noi i pistilli” singhiòzzan le viole….
“E io sarò il gambo… le foglie io sarò!”….
E tutti dànzano or intorno… intorno
e un nuovo fiòr sarà.

Ma un tonfo all’onde d’un tratto si sente…
non è Tempesta che finita è già.
Chi mai verrà?....
È una Ninfa pel bagno serotino,
e questa foglia e questi fiori scorge.
Va loro incontro.
Lieta li osserva… e poscia chiede loro:
“Che cosa state facendo, oh bei pètali?”.
“Un nuovo fiòr” le risponde la foglia:
“Da lontano veniàm, noi siamo i dèboli
che la Tempesta ha tolti dalle selve…
vìvere insièm bramiamo…
bramiamo èssere un fiòr!”.
“Ma come lo pensate, oh fiorellini,
che non avete nemmèn una ràdica?....
Presto morirete. E poi?”
dice la giòvin dello stagno aprìco
che, sbigottiti mirando i compari,
tosto li prende in mano, e li raccoglie
appena… appena; e tenèndoli sopra
i palmi suoi, e lievemente sospesi
dall’onde, canta un inno sacro al Cielo.
Allòr li bacia!
E come per un incanto, ecco! oh gioia!
essi si sòn cangiati in un fiòr.
“Per me ti chiamerai, mio fiòr, ninfèa…
foglia e pètali, e dello stagno Dea!”.

È così che una foglia così fràgile
e de’ i pètali a Morte condannati
un incanto divèntano per l’onde
d’uno stagno… e sull’ombre di tàl fiòr
il vento soffia invano,
e si riposa la rana, il serpente, e il girino,
e finalmente è sconfitto il Destino!

 
Claude Monet, Ninfee, Impressionismo francese, Fine del Secolo XIX

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XX del Mese di Maggio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.