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venerdì 22 luglio 2016

In Ode dell'Alito di un Temporale in sul finir di Luglio

O àër, sospìr di Temporàl fuggèvol,
lento stormo di fùlmini errabondi, i
qual per cerulèa assenza di una meta
indefiniti vàgano tra i nùgoli,
così tu, mentre leggero - ei - percuote
l’orbo spettro del vento i rami intorno
e gli estivi fogliami e i campi e i fiori,
ad alluminàr tu - tu! - vai i miei più pàllidi
orizzonti, e il mio senso che si volge
oltre le ombre tue, e lungi… lungi, in vêr
le alte e sublimi vette di montagna,
ove presto io sarò; e indi, tu mi culli
e mi paschi di un non so che di Incògnito,
tu, sguardo della mia medèsima Ànima,
tra i tuoni dei miei pàlpiti del cuore,
e le fòlgori estinte del mio più
vivo sognàr, cosicché io dica ai faggi,
e ai pioppi scialbi di malattia sana,
e ai bei castagni che pòrtano il feto
del frutto dell’autunno, e al dolce legno
delle ghiande dei mieli delle querce…
sì, cosicché io proclami, ovunque, e a Ignoto,
per ogni via, per ogni sentièr, per
l’ôr delle rive inumidite e terree,
che il mio nome è Tempesta, il mio cuor Tùrbine,
che io sono come te, àër vagabondo,
e che pur come te, mi è sempre splèndida
la Vita. Ma così presto si estingue,
come l’incendio di un fùlmine in cielo,
ciò che mi fa diverso e che mi fa uomo,
il retaggio del Sogno,
l’eredità del pianto.
O àër, sospìr di Temporàl fuggèvol,
lento… lento, su’, dimmi… di’, e rispòndimi:
se sia l’Eterno la tua ìride ardente,
se sia Finito, o se sia tomba ignuda,
dove tu vada e dove ne andrai un giorno,
se tu debba tacèr al mio gridàr.
E viene così presto la quïète
a fare tramontàr nel vacuo dì,
la tua orma, impronta di caccia, àër mesto,
e questa tua säètta che mi è sera
per l’Ànima sognatrice e incantata?....
E dopo tanto, la gioventù e poi
la vecchiaia, vièn così svelto e orbo il tèrmine
dei lagrimati Sogni,
dei rivissuti pianti.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Philip Richard Morris, Home, Sweet Home, Romanticismo vittoriano inglese, Seconda Metà del Secolo XIX



In Dì di Venerdì XXII Luglio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

giovedì 16 giugno 2016

Meditazione poetica sulla Vita

La Vita è come: un Temporale; è un fùlmine,
un’ombra oscura in su’ un faro del màr
che lì - ei solleticando - annega scogli,
e i più vecchi relitti delle vele,
lì… ignuda Ondina inerme, lì, ove canta
per la duràta di un ùnico tuono
in un sol colpo di occhi e di vani àttimi,
quando la fòlgore ondeggia e si nàufraga,
ella facendo brillàr le onde in fondo,
dove l’Eterno le ha dato in Destino
la sepoltura attesa.
E dopo la Tempesta v’è la quiete
che sol sa dare Iddio.
La Vita è come: una Sìlfide che è
serena e vanitosa e che danzando
porta uno specchio in mano perché tutti
ne pòssano vedèr il vero volto,
un otre fatto di fràgile vento:
il paradòsso perenne di un Nulla
che vive e che respira.
Ma perché io - io! - giòvine e Pöèta, forse,
ho qui päùra di incontràr la Morte,
di vedèr consumata la mia fòlgore,
e speràr, disperàr, temèr, frinìr?
Forse perché io ho vissuto solo Sogni,
e non so io ancora che sia questa Vita,
di cui canto e che temo.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Kaspar Friedrich, Paesaggio romantico invernale, Romanticismo tedesco, Prima Metà del XIX Secolo



In Dì di Giovedì XVI Giugno dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

sabato 6 dicembre 2014

Quattro Sonetti all'Alba

Nascendo il giorno muore ogni servaggio
per poi rinascer forte e più nell’ora
dell’ombre in cui crepuscolo dimora
e Luna argenta dolce ogni villaggio.

S’inizia allor l’eclettico vïaggio
un folle vento spinge l’uomo ancora
finché tenèbra tien, non l’addolora,
fa tutta la realtà sembrar miraggio.

E sgorgan voci, carezze d’amanti
teneri abbracci, dolci confessioni,
cadon lenzuola riarse da passioni
notte d’amore, catena d’istanti.

Due simulacri si fondono in uno,
l’alba dorata fa di due nessuno.

***

Qual gran tristezza affligge ogni contrada,
mute ristanno e s’acquietan le lande,
eppur già gaiezza e gioia sì grande
usavan regnar a notte ormai rada.

Cantava il rosignol sul far del giorno
e fine ponea agli amori segreti,
la voce sua inebriava ogni poeta
e tutto di dolcezza rendea adorno.

Ma oggi più non s’ode la sua melodia,
ché duro ferro ne serra le membra,
tant’è il silenzio ch’inverno già sembra
e tutto il creato par senz’armonia.

Quando all’alba muore il giorno d’estate
sai che l’araldo è con l’ali legate.

***

Piangi quan dulze canta ‘l rosignol,
fanciulla piena di speranze alate,
sospiri grevi lascian labbra amate
che l’alba spense la notte d’amor.

Non monda più ‘l tuo sguardo il gran dolor
d’un cuor dalle speranze incatenate,
megl’io morrei ancor per mille fiate
che al rimaner causarti disonor.

Addio, mia vita, cielo e dolce stella,
lontane scorron già le nostre vite,
e mai, mai, ne saranno più assopite
l’eterne strofe d’amore, mia bella.

L’alma si strappa a brani, desolata
ché giunge all’alba il “Ricordami, Amata”.

***

Spesso ebbi a parlar con me soltanto
l’alba, d’eterna calma silenziosa,
sì prodiga di pace, rossi e rosa,
ma fredda di risposte, e muto il canto.

A lei donai sussurri d’uomo quanto
può fare solo quei ch’ancor non osa
svelare co’ mortali quel che posa,
con greve crudeltà, su tutto un manto

di lenta e malinconica tristezza,
tessuto con filati d’oppressione,
d’ottundimento e vite di persone
ch’in cambio di sollievo dan cupezza.

Ma l’alba non può sciogliere il dolore,
carezza coi suoi raggi, e tosto muore.

Albert Bierstadt (1830-1902) - "Sunrise" - olio su tela